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Perché Bonucci è uno dei calciatori più odiati d'Italia?

Come siamo arrivati a ritenere il difensore della Juventus e della Nazionale uno dei più arroganti del nostro campionato? Ma soprattutto: quest'odio è giustificato dai fatti?

Ieri, durante la conferenza stampa che ha preceduto l'amichevole Germania-Italia, Leonardo Bonucci ha deciso di offrire un diversivo alle dichiarazioni paracule, fino ad arrivare ad alludere di essere tra i giocatori più in forma del momento nel suo ruolo. "Se sono uno dei migliori difensori al mondo e in Europa, è grazie a lui [ ]," ha detto, facendo eco alle parole di Pep Guardiola che, qualche settimana fa, lo aveva definito

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Antonio Conte

uno dei suoi giocatori preferiti da sempre.

Eppure, e basta chiederlo a chiunque segua anche solo minimamente il calcio, Bonucci è anche uno dei giocatori più odiati del panorama italiano, una specie di Marco Materazzi senza il carico di riscatto portato dal sollevare una coppa del Mondo e farsi rompere lo sterno da Zinedine Zidane.

E per capire perché Bonucci possa al contempo essere il difensore italiano più forte e quello più odiato, bisogna ripercorrere le tappe che hanno portato migliaia di italiani a dedicargli insulti e prese per il culo.

La ragione principale per la quale si odia Bonucci è banalmente una: incarna perfettamente lo spirito juventino. Sembra avere tatuato persino nell'iride la frase "vincere non è importante, è l'unica cosa che conta," e questo suo modo di fare lo rende il bersaglio preferito dei tifosi avversari.

La sintesi perfetta di questo odio l'ha espressa qualche mese fa Pasquale Bruno, ex difensore del Torino famoso per la sua ruvidezza: "L'altra sera guardavo la Juve contro il Toro e vedere Bonucci protestare mi ha fatto pensare. […] Vederlo così tanto eccitato, euforico, pronto a protestare sempre, mi ha fatto immaginare Pasquale Bruno nel tunnel che dà un pugno in faccia a Bonucci, gli spacca il labbro con cinque punti di sutura e così non parla per cinque mesi. È insopportabile per il suo comportamento."

Ma la rincorsa all'odio ha origini abbastanza lontane: dopo anni di insuccessi, tra la primavera dell'Inter e la tribuna in B con il Treviso, Bonucci ha conosciuto Alberto Ferrarini. Ferrarini è il titolare di una autoscuola di Treviso, un personaggio particolare che in qualche modo è diventato il mental coach del giocatore, nonché la sua ombra. Ha iniziato a chiamarlo soldato, gli urlava frasi del tipo "guardati allo specchio, cosa vedi? Io vedo un guerriero." Gli ha fatto mangiare le caramelle all'aglio.

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la differenza fra un CAMPIONE e un perdente sta :

un CAMPIONE trova ' una soluzione '
SEMPRE !
un perdente invece ' trova un alibi '
SEMPRE

— Alberto Ferrarini (@Alberto15_07)21 aprile 2015

In generale poi, Bonucci non segna tanto—è pur sempre un difensore—ma quando lo fa è con gol importanti (sei degli undici segnati si sono rivelati decisivi). Il gol simbolo di questa sua caratteristica è quello del 3 a 2 contro la Roma, quando ha deciso una gara in cui successe di tutto con un destro al volo da fuori area.

Questa rete è risultata determinante per la stagione 2014/15 e, come tutte le altre, è stata festeggiata da Bonucci con il gesto di portarsi l'indice alla bocca e rotearlo come a dire "sciacquatevi la bocca". Un altro degli elementi dell'odio è legato proprio alle sue esultanze, che lui ha spiegato così: "Ho il massimo rispetto di chi indossa i colori giallorossi e di chi li porta nel cuore. Chi mi conosce sa che quello è il mio modo di esultare dedicato agli juventini e ai miei amici. Non volevo attaccare nessuno. Un gol così, magari, non lo segnerò mai più e ho pensato di prolungare la felicità…"

Oltre al gol alla Roma, Bonucci ha recentemente segnato due gol all'Inter: prima in campionato, indirizzando la sfida, e poi, più importante, il rigore decisivo che ha eliminato i nerazzuri in semifinale di Coppa Italia vanificando una disperata rimonta. Così da farsi odiare doppiamente: il goal dell'ex che è anche condanna.

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L'odio per Bonucci, però, non si limita al campo: lo odiano gli avversari, sì, ma persino il più disinteressato dei tifosi avversari lo reputa scarso, lo sminuisce. Questa idea è nata dai primi due anni difficili alla Juventus, forse i peggiori della sua carriera.

La svolta è arrivata con la comparsa di un'altra figura determinante per la sua carriera: Antonio Conte, che secondo Bonucci "oltre alle conoscenze, con le quali il mister ha cambiato la Juve e la Nazionale, ha dato la mentalità e la voglia di vincere sempre: l'abitudine a proiettarsi alla partita successiva, già il giorno dopo l'ultima giocata, quando la analizzi."

Poco dopo il suo arrivo alla Juventus, Conte ha spostato Bonucci al centro della difesa a tre, rendendolo ciò che è oggi: un leader della difesa, ma al contempo centrocampista aggiunto, in un ruolo che potremmo definire playmaker difensivo. Oltre la grinta, Antonio Conte ha fatto in modo che Bonucci apprendesse il senso della posizione e quello dell'anticipo, e da giocatore agonico, lo ha trasformato in un elemento rilevante a livello tattico.

È una variante tattica che si sarebbe rivelata fra le basi dei successi della Juventus che comprendono quattro scudetti, una Coppa Italia, tre Supercoppe Italiane e una finale di Champions. Secondo i critici di Bonucci, del resto, tutto questo è stato possibile grazie all'apporto di Chiellini e Barzagli, i suoi compagni di reparto e unici artefici della solidità difensiva della Juventus.

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La verità è che Bonucci nei suoi anni alla Juventus ha continuato a migliorare, diventando non solo uno dei difensori con i fondamentali tecnici migliori della serie A, ma anche affinando le sue doti difensive—tanto che oggi può giocare indifferentemente nella difesa a tre o a quattro. Questi miglioramenti sono stati il frutto di lavoro tattico e fiducia crescente, che specialmente all'inizio hanno causato dei problemi, come l'errore che causò il gol del Milan nella sfida scudetto passata alla storia per il gol non convalidato di Muntari.

Al di là di ogni antipatia di sorta, quindi, non riconoscere a Bonucci di essere all'apice della sua carriera a 28 anni sarebbe poco oggettivo. La sua storia, infatti, denota come con la crescita dell'odio che genera cresca anche la sua capacità di stare in campo.

Perché la dicotomia fra Leonardo Bonucci e i suoi detrattori è fondata su un meccanismo che si autoalimenta: l'astio che i tifosi avversari provano per Bonucci fa parte integrante dei motivi per cui il suo ego, fomentato da motivatori e slogan aziendali come #Finoallafine e #Vincereunicacosacheconta, continua a bearsi di se stesso.

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