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Una giornata nel centro commerciale più grande d’Italia

Il Centro di Arese è "il centro commerciale più grande d'Europa" o "uno dei centri commerciali più grandi d'Europa" o "il centro commerciale più grande d'Italia." In un modo o nell'altro, ci ho passato una giornata per l'inaugurazione.
Niccolò Carradori
Florence, IT

Membri del personale del centro commerciale di Arese. Tutte le foto di Stefano Santangelo.

Avete presente quella strana sensazione di spossamento fisico, nausea da iperstimolazione e vuoto esistenziale che è possibile provare all'uscita di un qualsiasi parco a tema, maxievento o luogo di aggregazione umana pensato appositamente per drenare denaro in cambio di intrattenimento e oggetti? Non ho mai capito se ha un nome vero e proprio, ma in caso contrario dovremmo cominciare a trovarglielo, perché potrebbe potenzialmente essere catalogato come emozione secondaria: l'emozione del consumismo.

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Io l'ho sperimentata per l'ultima volta qualche ora fa, mentre uscivo dalle porte del centro commerciale di Arese, circondato da una folla variegata e multidirezionale che tentava di accaparrarsi quanti più gadget, trattamenti esfolianti e regali omaggio possibile. Ieri infatti era la data fissata per l'apertura al pubblico del Centro, situato a circa 15 chilometri a nord est di Milano e presentato a seconda della fonte come "il centro commerciale più grande d'Europa" o "uno dei centri commerciali più grandi d'Europa" o "il centro commerciale più grande d'Italia."

La struttura—sorpresa!—è effettivamente grande: si tratta di un complesso di legno lamellare, metallo, plastica e materiali ecosostenibili che ingloba 200 negozi, 25 ristoranti, un centro diagnostico, un polo sportivo e diverse aree per lasciar pascolare liberamente i bambini, pubblicizzato insistentemente anche per la presenza del primo store italiano della catena d'abbigliamento Primark e del sesto esemplare di Kentucky Fried Chicken italiano, il primo nella zona di Milano.

Costato circa 300 milioni di euro, e realizzato in un'area che ospitava gli ex stabilimenti Alfa Romeo, il centro è stato circondato fin da prima dell'apertura da una serie di sbandierate dichiarazioni riguardo la riqualificazione di un'area ormai considerata industrialmente deceduta, e la possibilità di creare più di un migliaio di posti di lavoro.

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Per capire come effettivamente il pubblico avrebbe accolto l'apertura, che tipo di struttura possa rappresentare il centro commerciale di Arese per l'hinterland milanese, e quanto queste due cose mischiate insieme possano comunicare riguardo a quella categoria umana che negli Stati Uniti definiscono "discountari", ho deciso di unirmi alla folla che ha preso parte all'apertura del Centro.

Non particolarmente avvezzi al pellegrinaggio da consumo, io e il fotografo partiamo in macchina da Milano leggermente troppo tardi per non beccare una serie di file in autostrada che ci impediscono di essere di fronte sul posto nel momento esatto dell'apertura, e quando raggiungiamo l'area del complesso la fiumana di auto per accedere ai parcheggi è piuttosto massiccia e incanalata da una serie di checkpoint della polizia locale.

Uno dei punti di forza del nuovo centro commerciale, secondo i professionisti che ci hanno lavorato, è il concept architettonico ispirato alle antiche corti lombarde, e che da lontano ricorda un'enorme costruzione a incastro di vaporiere cinesi.

Sono circa le 9.40 quando entriamo, e il balletto di San Vito fra i negozi è già iniziato: ovunque ci sono persone che si accalcano fuori dai piccoli bar, costruiti a equa distanza l'uno rispetto all'altro lungo il corridoio centrale, si stipano nei negozi e fanno incetta di una variegatissima oggettistica omaggio. Ci sono piantine omaggio, cappellini omaggio, assaggi culinari omaggio, palloncini omaggio, braccialetti omaggio e molto altro ancora.

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Ovunque c'è odore di legno trattato e gomma nuova, e sembra di stare dentro il vano porta oggetti di una macchina appena uscita dal concessionario.

Le hostess stazionano in punti strategici, cercando di fornire indicazioni utili sulla logistica di vari negozi. Una di loro è circondata da un gruppo di persone che vogliono disperatamente fumare, ma che hanno apparentemente finito in quel momento le sigarette e non trovano un tabaccaio presso cui rifornirsi.

La fauna è composta soprattutto da liceali che hanno palesemente fatto sega a scuola, persone in vari gradi di anzianità, casalinghe, e una percentuale minore ma comunque significativa di individui che in questo momento dovrebbero essere altrove se dotati di un lavoro.

Quando indago sulla loro presenza, le motivazioni che ottengo in risposta sono perlopiù basate sul "non avendo altro da fare…", come se ci fosse sempre un certo senso di imbarazzo nel dover argomentare i motivi che ti spingono a passare ore girovagando a caso per negozi. Moltissimi non sono a conoscenza degli store debuttanti come Primark e KFC—hanno semplicemente sentito che c'era un nuovo centro commerciale, e volevano vederlo. Più grande, in questo senso, sembra già di per sé una motivazione valida per passarci il giovedì mattina.

Se gli adulti sono qui per mera attrazione centrifuga, i liceali hanno un solo scopo: Primark. Il restante 99,8 percento del centro commerciale ai loro occhi appare solo come una cornice. Osservando la foto qua sotto, potrete già fare da soli varie riflessioni sul posizionamento del brand irlandese, e sul tipo di aspettativa che sarebbe giusto aspettarsi.

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Entriamo così nel negozio, stipato di giovani clienti che si aggirano fra banchi di cotone semigrezzo in varie tonalità cromatiche, stampe e tagli sartoriali assortiti. Tutti hanno in mano una borsa di tela con dentro qualcosa, e diverse ragazze ne hanno una già piena in una mano e una semipiena nell'altra.

Quando le chiedo di spiegarmi la netta differenza fra la maxicatena d'abbigliamento che dista appena cinque metri e quella in cui siamo adesso, una di loro mi risponde indicandomi un paio di pantaloni. "Vedi? Costano solo sette euro!"

In questo caso però l'attrattiva sembra determinata più che altro dalla novità, dal fatto che prima "era possibile visitarlo solo a Londra". Tutti sembrano comunque soddisfatti di quello che hanno trovato, come ad esempio Valeria e Luca, che si stanno apprestando a spendere "circa 60 euro a testa."

Usciamo dallo store e passeggiamo a caso, aspettando l'ora di pranzo per mangiare qualcosa, e ne approfittiamo per dare un'occhiata agli altri negozi. C'è un Zara Home pieno di bicchieri simil-arabeggianti in vetro colorato la cui gestalt sensoriale ricorda una gita all'interno di un deodorante per ambienti, uno store LEGO i cui prezzi per acquistare delle confezioni di mattoncini sono assimilabili a una gara d'appalto per una grande opera, e svariati negozi che vendono prodotti industriali di marchi esteri.

Fortunatamente, visto che ci troviamo in un'area che ha dato lustro al made in Italy, troviamo anche un po' di orgoglio italiano.

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Una cosa che mi ha sempre colpito dei centri commerciali è la loro capacità di farti sentire inadeguato: sarà che è l'apertura e tutti si sono imbellettati, sarà che non sono mai stato troppo attento al mio aspetto e me ne ricordo solo quando sono in pubblico, ma dopo tutto questo guardare abiti, manichini e gente in tiro mi sento ancora più grasso e spettinato del solito.

Così decido di abbandonarmi alle lussureggianti offerte del Centro, e mi sottopongo a un trattamento barba omaggio. Fondamentalmente il trattamento è una via di mezzo fra un'esperienza di premorte e una puntata di Pimp My Ride: prima vieni mummificato sotto vari strati di asciugamani caldi e umidi, e poi vieni sottoposto a quello che il barbiere ha definito "riassetto barba". Il che in pratica significa che ogni gemma pilifera del volto viene sagomata come se non esistesse la geometria solida.

Per sottopormi al trattamento ho dovuto aspettare circa 30 minuti; nessuno degli uomini in fila sapeva cosa stessimo per fare, "ma è gratis."

Verso le 12,30 ho sentito che alcune persone già parlavano della fila che si era creata fuori dal KFC. Quindi, visto che iniziavo ad avere fame, ho deciso di raggiungerlo. Una volta arrivato mi sono trovato davanti a questo Twister umano:

Dopo circa 40 minuti, trascorsi tentando di arginare gli adolescenti che volevano in tutti i modi balzare la coda indicando qualche loro conoscente e facendo finta di raggiungerlo per parlargli, abbiamo conquistato un cestello di cosce di pollo fritte e due bibite. Subito dopo però mi sono accorto che non esisteva neppure un tavolo disponibile, visto che stupidamente non avevo previsto la tecnica strategico-militare delle famiglie discountare italiane "piantonamento tavolo della prole+acquisto cibo dei genitori". Così ho pranzato in piedi, ungendomi anche i gomiti, con la colonna sonora di qualche centinaio di articolazioni mandibolari che masticavano sonoramente tutto intorno a me.

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È stato a quel punto, a stomaco pieno, che mi sono scontrato con la realtà estremamente pratica di una delle prime cose che avevo notato al mio ingresso. La hostess aveva così tante difficoltà a indicare la posizione del tabaccaio per un semplice motivo: non esiste alcun tabacchi né bar che venda sigarette o affini all'interno del centro commerciale.

Una guardia di sicurezza a bordo di un segway vigila il centro commerciale di Arese.

Indignato, sono uscito per cercare di scroccare una sigaretta a chi diligentemente era arrivato fornito, e per giustificare la mia pezzenteria ho cominciato a lamentarmi di questo fatto increscioso. Le mie lamentele, però, hanno avuto una reazione quasi chimica, che ha generato una sorta di capannello di persone sconosciute che valutavano le mancanze del centro commerciale.

"Come fai a mettere 200 negozi in un centro commerciale e non pensare a un cazzo di tabacchi?" ha detto uno di loro quasi ghignando; "e il Wi-fi? Completamente MORTO!" gli ha fatto eco un altro.

Al di là delle lamentele, i rimbrotti sembravano quasi liberatori: eravamo tutti lì per pompare denaro a caso nelle tasche di gruppi industriali gargantueschi, e farci beffe delle mancanze della struttura sembrava quasi un atteggiamento lenitivo.

L'autore all'interno di una delle strutture ricreative del centro commerciale di Arese.

Ed è fondamentalmente così che ricorderò questa esperienza al più grande centro commerciale d'Europa (o uno dei più grandi, o il più grande d'Italia): un'enorme fetta di domanda esaudita attraverso prodotti di qualsiasi tipo, la smania di un'enorme quantità di gente nel partecipare all'evento, e la strana sensazione che avrebbe dovuto essere di più provata da chi ha speso ore intere là dentro.

Come questo si leghi alle questioni del reintegro di un'area industriale che aveva perso competitività, alla trascendenza del consumo dai piccoli poli nazionali a quelli ultracapitalistici e alla percezione che i consumatori hanno di se stessi e dei servizi e delle strutture che sfruttano è talmente lapalissiano che non sto nemmeno a spiegarlo.

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