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Poltronette

Credere, Obbedire, Compliance

Liquidare Compliance come un film misogino equivale ad alzare la cornetta, obbedire agli ordini e inserire un doppio dildo nella propria intelligenza.

Oh.

Buonasera o buongiorno. È successo che, da gennaio a questa parte, un film ha fatto il giro dei festival lasciando una scia di spettatori e critici entusiasti o disgustati. Un quotidiano piuttosto noto, citando un blog piuttosto noto, ha segnalato che, alla proiezione di New York, almeno otto persone in sala si sono alzate e se ne sono andate. Che non è un dato stupefacente, se si considera che nel 2007, durante la proiezione di Inland Empire a cui andai, 16 persone se ne erano già andate dopo un'ora e 45. Il blog piuttosto noto, nel frattempo, definisce il film come “il più inquietante di sempre,” e l'opinione pubblica grida a misoginia e gratuità.

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Uh?

Non male per Compliance, secondo lungometraggio di Craig Zobel, regista dalla faccia lunga.

Il film, uno dei cui produttori esecutivi è David Gordon Green, è ispirato a una storia vera: un troll di fatto, tal David Stewart, per dieci anni ha telefonato a supermercati e fast food in 30 Stati d'America e, fingendosi un agente di polizia, ha convinto Gestore X a far spogliare Impiegato Y con la scusa di una perquisizione. Ci è riuscito 70 volte. Poi qualcuno ha capito chi fosse. A spese, però, di un'ultima vittima e di un ultimo scherzo telefonico, culminato con sculacciate e coercizione al sesso orale. Succede solo da McDonald's.

Ah.

Compliance è la ricostruzione di quest'ultimo caso e, inutile dirlo (forse ci avevate già pensato), non è un punching ball gratuito a spese delle donne, che o sono ottuse o sono nude. Si badi bene, una protagonista è quasi sempre nuda, mentre l'altra è quasi sempre ottusa, ma forse occorre dare uno sguardo al contesto prima di gridare all'oltraggio.

Se è pure vero che il film riesce egregiamente a fare certi discorsi, è comunque necessaria una premessa: Compliance avrebbe potuto avere la struttura da thrillerone a sfondo di un'ampia riflessione sociale, un concetto che George Clooney ci si leccherebbe i baffi fino a strapparseli, e invece ha scelto di piallarsi da solo una bara marchiata di scritte “fail” decidendo, da un certo momento in poi, di mostrare IL COLPEVOLE. Ecco il colpevole che si fa un panino a casa, mentre costringe gli innocenti a spogliarsi. Ecco il colpevole che cambia la scheda al telefono. Ecco il colpevole che ghigna in maniera sinistra. Spettatori, qui e in prima serata, la banalità del male! Guardate come siamo sottili nella funzione metaforica.

Che sia stata scelta una donna è un fatto solo marginalmente rilevante (un corto che riprendeva questi casi e invertiva i ruoli—donna fa spogliare uomo—è stato realizzato, si intitola Plainview, e ha un direttore della fotografia terribile).

Ciò che interessa sono le dinamiche dell'autorità, l'immediatezza del credere-obbedire-combattere di fronte alla parola “polizia”, il sadismo di alcuni individui e l'indifferenza di altri (I GRANDI TEMI DEL VENTESIMO SECOLO), ma soprattutto l'egoismo dell'umanità tutta quando è il proprio posto di lavoro a essere messo in gioco. Compliance non giustifica, né tantomeno crea un messaggio di “donne che reagiscono irrazionalmente a una minaccia verso cui non sollevano neanche un dubbio.” Ritrae una situazione verificatasi realmente, purtroppo lo fa con un colpevole che ghigna, ma voltare la faccia al mondo reale liquidandolo con “misogino” equivale a rispondere alla telefonata, obbedire agli ordini, e inserire un doppio dildo nella propria intelligenza.