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Ai Weiwei continua a far incazzare il governo cinese

Intervista alla regista di "Never Sorry", un film sulla reclusione dell'artista cinese.

Venerdì scorso i giornali hanno riportato la notizia che il ricorso contro la multa da due milioni di dollari per evasione fiscale lanciato da Ai Weiwei, il più conosciuto artista e dissidente cinese, è stato rifiutato. La notizia arriva dopo il divieto imposto ad Ai Weiwei di presentarsi in tribunale, nemmeno per sentire il verdetto. La notizia ha scosso i suoi fan e lo stesso Ai, il cui futuro al momento è piuttosto incerto.

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Detto questo, la storia dell’evasione fiscale potrebbe essere solo un pretesto per reprimere le critiche mosse dall’artista nei confronti del Partito Comunista Cinese. In effetti potrebbe sembrare una cosa molto ovvia, lo so, l'avete pensato tutti: “Be’, è evidente, è esattamente quello che stanno facendo, VICE. Pensavate davvero che l’avrebbero fatto assassinare?” Metterlo sotto stretta sorveglianza e impedirgli di lasciare il Paese è un modo più carino di metterlo a tacere.

Ai Weiwei adora internet e il suo potere di diffondere rapidamente informazioni e idee. E un gatto.

Il 10 agosto uscirà un film girato da Alison Klayman—amica di Weiwei—intitolato Never Sorry. Alison ha seguito Ai dal 2008, l’ha filmato, e l’ha intervistato, tutto per conoscerlo meglio. Il film termina nel 2011, a breve distanza da quando Weiwei viene rilasciato dal carcere, dopo 81 giorni di detenzione per evasione fiscale.

Tolta la veridicità o meno delle accuse—false secondo Alison e secondo quasi tutti quelli che non sono membri ufficiali del Partito Comunista Cinese—il caso di Ai ha dello sconvolgente. In Never Sorry Weiwei parla delle condizioni del suo rilascio, della sua esperienza e della sua detenzione. Ho parlato con Alison di Ai e del film. Ecco la nostra chiacchierata.

VICE: Ciao Alison. Per quanto tempo hai seguito Ai?

L’intero progetto ha richiesto tre anni di riprese. L’anno scorso viaggiavo avanti e indietro, ovviamente lui era detenuto e nessuno poteva incontrarlo, ma io gli ho fatto visita dopo la prigionia [nel 2011].

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Avete parlato molto della sua reclusione?
Sì, dopo il rilascio. Non aveva difficoltà a parlare di ciò che gli era successo. Il problema era che non sapeva cosa gli fosse consentito dire e cosa no. Era molto preoccupato, un po’ lo è ancora. Non sa cosa accadrà, non sa quale dovrà essere la sua risposta, creativamente, politicamente, e personalmente. È un problema continuo per lui. Mi ha raccontato di quegli 81 giorni, degli interrogatori, del cibo e del fatto che il dottore andasse a visitarlo regolarmente per far sì che non stesse male fisicamente, ma psicologicamente è stato un completo… Era distrutto. E lo si può notare dal suo volto nella ripresa finale del film.

Ai Weiwei, in ospedale ma ancora in vena di mandare tutti a fanculo.

È un’immagine triste. Nel film si verifica una transizione sorprendente di Ai Weiwei pre e post reclusione. All'inizio è una persona ottimista, aperta, quasi scherzosa, disposta a concedere interviste e a parlare con tutti, poi all’improvviso niente, chiuso. Hai idea del perché?
Credo che stesse proteggendo la famiglia, in particolare il figlio e la madre, e la loro privacy. Ai è convinto che la sua scelta di sfidare le autorità non debba avere niente a che fare con la sua famiglia, soprattutto con la madre. Una volta gli agenti le entrarono in casa. Era lo stesso periodo in cui chiusero il blog di Ai, nel maggio del 2009. Lui si arrabbiò incredibilmente. Credo che il suo fosse un modo di proteggerli.

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L’Ai Weiwei degli ultimi anni, l'Ai Weiwei del mio film, è un uomo in equilibrio, all'eterna ricerca di un limite da non valicare. È sempre stato bravo in questo, e mi ha sempre stupito. Credo che Ai sia un uomo coraggioso, soprattutto nel crearsi un limite e nel cercare di non oltrepassarlo. Ora quel confine, tutti quei confini, si sono spostati e Ai è perennemente sotto pressione. Oggi come oggi non gli è più concesso porsi certe domande, “Sono andato troppo oltre? Ho superato il limite?” La sua linea di confine è stata tracciata il 22 giugno del 2011, quando l'hanno rilasciato. Quel giorno le autorità gli hanno comunicato le condizioni del suo rilascio. Lui le ha infrante tutte, rilasciando interviste e tornando su Twitter, anche se in modo più contenuto.

Ora quei giorni sono passati, eppure le autorità gli hanno fatto sapere che “Non ti restituiremo il passaporto, non puoi viaggiare, e sei ancora sotto indagine per un mucchio di altre cose.” Ai vive ancora nell’incertezza. Eppure non è cambiato nulla—la sua opinione, le sue idee. Se qualcosa è cambiato è la sua sicurezza, il “So cosa aspettarmi, me la caverò” per Ai, non vale più.

Vi parlate ancora regolarmente?
Sì, su Twitter, e questo potete vederlo, e al telefono, o via sms. In realtà non usiamo spesso il telefono, è un po’ strano conversare con la consapevolezza di essere controllati. Gli ho parlato proprio una settimana fa. È sempre piacevole sentire come sta.

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Le dichiarazioni che compaiono nel film sono diverse da quelle che non hai potuto registrare?
Ai era detenuto in una specie di albergo adibito a questo genere di reclusioni. Le luci erano accese 24 ore su 24, gli interrogatori non finivano mai. Al suo fianco c'erano sempre due giovani guardie, a turni di tre ore l'una. Erano sempre lì, quando andava in bagno, mentre si faceva la doccia, dormiva o mangiava. Tutto questo per 81 giorni, una situazione da farti uscire di testa. Niente percosse, niente digiuni forzati, solo pressione psicologica. Dopo circa una settimana, il governo ha finalmente ammesso di averlo in custodia, senza però parlare del 'dove'. Le autorità sostenevano che fosse sotto controllo per evasione fiscale, eppure lui, di questo, nei giorni di prigionia non ha mai saputo nulla. "Da dove mi trovavo non potevo sapere che soldi e tasse fossero l'argomento di discussione.” In 81 giorni di reclusione nessuno lo ha mai interrogato sulla questione 'tasse'. “Stai fomentando la Rivoluzione dei Gelsomini? Hai contatti con l'estero? E queste interviste? Cosa fai su Twitter?” Le domande erano indirizzate a ben altro, sulle tasse, niente.

Ai Weiwei produce una delle sue opere.

Pensi che abbia mentito ai suoi carcerieri?
Mmm, bella domanda. Non lo so, gli fecero così tante domande, non posso saperlo. Ai ha dichiarato che a un certo punto ti trovi in una posizione in cui diresti di tutto pur di tirartene fuori. L'ho letto da qualche parte, non me ne ha parlato personalmente e non posso averne la certezza, ma una cosa del genere ti fa riflettere, ad esempio sulla questione del rilascio. Quando le autorità lo scarcerarono dissero che Ai aveva firmato una confessione. Ecco, sulla sua validità si potrebbe discutere a lungo.

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Ti ha mai scioccato in qualche modo?
Sì. Mi scioccava spesso quando rilasciava interviste, ad esempio, quando diceva cose talmente negative sul partito che mi faceva pensare solo “Non sarebbe vietato dire queste cose?” Dovresti vedere il suo documentario Disturbing The Peace. Racconta della notte in cui è stato picchiato. Dura un’ora, lo trovi su YouTube. Sono quasi sicura di essere rimasta a bocca aperta per tutta la durata del film. Dopo il pestaggio lo rispedirono a Pechino, senza rilasciare uno dei suoi assistenti, una donna. Il giorno dopo Ai tornò indietro, con i suoi avvocati e non se ne andò fino a quando rilasciarono anche lei. Ai riprese tutto, per tutto il tempo. È una cosa incredibile. Dopo averlo visto non puoi che ammirarlo, specialmente se sei un cittadino cinese, giovane. Ti viene da pensare, “Si può fare? Davvero?” Wow, è pazzesco.

Disturbing The Peace, di Ai Weiwei.

Cosa farà adesso? Si calmerà? So che scrive ancora su Twitter ma non riesco a capirci niente perché non parlo cinese. Come si comporterà d’ora in avanti?
Speravo che dopo il 22 giugno la situazione potesse sbloccarsi, ma non è così. Ai ha in programma diverse mostre in giro per il mondo. Nei prossimi mesi dovrebbe andare a Berlino, per un nuovo progetto, e in autunno dovrebbe volare a Washington D.C. per l'inaugurazione di una sua mostra. So che sta lavorando a molti progetti e che dobbiamo aspettarci ancora molto da lui. Il problema è un altro, lo lasceranno partire? Riusciremo a vedere le sue opere? Riuscirà a portarle fuori dal Paese? La sua libertà di movimento resta un grande punto interrogativo.

Come reagirebbe il governo cinese se Ai continuasse a fare quello che ha fatto fino ad oggi?
È una questione molto delicata, è difficile rispondere. Ci penso di continuo e non riesco a convincermi. Per quanto ne sappiamo potrebbero ridargli il passaporto anche domani, potrebbero dirgli “Vattene, e non tornare mai più.” E lui? Cosa farebbe? Se ci fossero più proteste internazionali, se i musei e i ministri di tutto il mondo dicessero “Lasciate libero Ai Weiwei!”, cosa succederebbe? Sarebbe un sogno, ma ora come ora si possono solo fare ipotesi. Nemmeno Ai ne ha idea.

Potrebbe vivere in esilio se glie ne dessero la possibilità?
Magari, in futuro, ma non ora. Ma come ho detto, non dipende da lui, non del tutto. La sua scelta dipenderà da quello che gli si presenterà davanti, e dalle pressioni del governo centrale.