I tormenti di un 26enne italiano che ha mollato l'università e deciso di tornarci

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I tormenti di un 26enne italiano che ha mollato l'università e deciso di tornarci

Tornare a studiare e laurearmi è stato il mio buon proposito per l'anno nuovo, nonché una delle cose più difficili che abbia mai fatto.

Mentre inizio questo pezzo controllo per l'ennesima volta la mia pagina su Unimia, il piano di studi registrato, gli esami già dati e quelli mancanti. Controllo quando mi arriverà il nuovo badge e mi chiedo se al prossimo esame dovrò di nuovo avvisare il professore del fatto che ho perso il libretto, che chissà dov'è finito. Per la prima volta da qualche anno mi sto organizzando per finire l'università—mi mancano quattro esami—ma sono terrorizzato dalla possibilità di aver dimenticato qualcosa. Un laboratorio, un accertamento delle competenze linguistiche, una di quelle cazzatine da tre crediti che potrei essermi perso e che potrebbe venire fuori solo alla fine, a bloccarmi la strada a un passo dalla laurea.

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Rimettermi a studiare è stato il mio buon proposito per l'anno nuovo e per ora gli sto tenendo fede: qualche giorno fa sono andato a dare un esame e l'ho passato, una cosa che non succedeva da anni. Precisamente dal 10 febbraio 2015, da un 25 in Storia greca. Negli ultimi due anni la mia carriera universitaria è rimasta in stato d'abbandono, come qualcosa che sai che è lì ma che diventa un po' meno concreta ogni giorno che passa. Era talmente poco concreta che ormai la davo per perduta, tanto che mia nonna ha smesso di chiedermi della laurea e io a settembre non ho nemmeno rinnovato l'iscrizione. Poi ho cambiato idea e adesso dovrò pagare 30 euro di mora per essermi iscritto in ritardo.

E dire che avevo iniziato bene. Il primo anno prendevo l'università molto sul serio: non sapevo bene come mai avessi scelto proprio Filosofia, ma mi piaceva. Seguivo i corsi, prendevo appunti. Avevo preso un paio di 30 e avuto la voglia e la forza d'animo di studiare tutto agosto per dare un esame molto complicato a settembre. Anche l'anno dopo l'avevo finito perfettamente in corso. Poi mi sono arenato.

Ovviamente non sono un'eccezione. Secondo le statistiche MIUR del 2015, in Italia solo il 22 percento dei giovani tra i 25 e i 34 anni arriva alla laurea. Tutti gli altri arrivano a un certo punto e poi lasciano perdere, chi per motivi economici, chi per la qualità della didattica, chi per lavorare e chi per altro. Fatto sta che il 20 percento si ritira dopo il primo anno, il 39 percento dopo i primi due, il 42 percento dopo i primi tre. Quando ho iniziato a lavorare, sono stato a un passo da finire a far parte di quest'ultima percentuale. E tra le persone che conosco ce ne sono una miriade che appartengono alle altre categorie.

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Tommaso (22 anni), per esempio, fa parte della prima: ha mollato l'università dopo il primo anno di Lettere. "Mi sono iscritto all'università perché mi sembrava l'unica strada, la cosa da fare per forza dopo le superiori," mi ha detto. "Ma presto mi sono reso conto che non era così. Ho dato qualche esame, poi ho cominciato a fare qualche lavoretto ed è stato abbastanza automatico buttarmi su quello. Non tanto perché stessi facendo la cosa che avrei voluto fare nella vita, quanto più che altro perché non sono mai stato particolarmente bravo a studiare." Riconoscere di non essere fatti per studiare invece non è del tutto automatico, e per alcuni fare pace con questa eventualità può richiedere anche anni—soprattutto quando di mezzo ci sono le aspettative della famiglia.

Nel mio caso, sono vere entrambe le cose: mi sono iscritto sia perché non avevo idea di cosa avrei fatto della mia vita e ho pensato di prendermi altro tempo per pensarci, sia perché mi sembrava naturale andare all'università—e sembrava estremamente naturale, se non direttamente obbligatorio, ai miei genitori. Infatti, nonostante le sconfortanti statistiche sulla disoccupazione giovanile, sembra che la generazione precedente alla nostra sia convinta che laurearsi sia la condizione assolutamente necessaria e imprescindibile per raggiungere la stabilità finanziaria e l'indipendenza. "Penso che i miei genitori abbiano una visione idealizzata dell'università come unico modo di realizzarsi nella vita, per questo hanno sempre cercato di convincermi a studiare," mi ha detto Tommaso. Oggi in realtà anche questo passaggio è meno scontato di quanto pensino molti: stando all'ultimo report di AlmaLaurea, per esempio, solo il 27 percento dei laureati in triennale—considero la triennale perché è il mio caso—ha un contratto a tempo indeterminato a un anno dalla laurea.

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"Credo che in realtà i genitori siano semplicemente terrorizzati dal fatto che tu non sappia badare a te stesso," mi ha detto Giacomo, 29 anni. "Considera che i miei genitori sono entrambi insegnanti, mio padre addirittura è stato il primo della sua famiglia a laurearsi, quindi hanno un concetto di cultura piuttosto preciso e legato all'accademia."

Giacomo, nello specifico, ha lasciato a un esame dalla laurea in Lettere. E per quanto la sua decisione sembri totalmente priva di senso, mollare a laurea praticamente in tasca non è così insolito. "Ho iniziato a lavorare al primo anno di magistrale [di Scienze Politiche] con la prospettiva di accedere al dottorato," racconta Cecilia, 30 anni. "È andata a finire che ho abbandonato poco prima di iniziare a scrivere la tesi, quando sono stata presa a tempo pieno. Fin da subito però, anche quando facevo part time, vedere i risultati concreti del lavoro di fronte alla lentezza dell'università mi ha dato una prospettiva completamente diversa su ciò che stavo facendo—oltre che farmi odiare le mie coinquiline per abitudini in cui fino a qualche settimana prima ero perfettamente inquadrata anche io."

Anche nel mio caso l'impressione di aver iniziato finalmente a fare "qualcosa di serio"—in opposizione a un mondo accademico percepito come soffocante e stantio—è stata determinante. Quando me ne sono reso conto la mia già scarsa motivazione è sparita definitivamente, ho cominciato a impantanarmi e ad allontanarmi dallo studio. Eppure, dopo due anni, sono di nuovo a quel punto.

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Se ho deciso di riprendere a studiare non è stato perché sono stufo del lavoro, per via delle pressioni della mia famiglia—alla fine, con il tempo ho imparato a ignorarle del tutto—né per una particolare inclinazione nei confronti della materia: di studiare filosofia, detto sinceramente, ormai non me ne frega proprio più niente. E non è stato nemmeno per una paura del futuro, per l'idea che un domani potrei perdere il lavoro e a quel punto un titolo di studio potrebbe servirmi per trovarne un altro.

Nel mio caso è stato un impulso momentaneo. Un giorno mi sono svegliato e mi sono detto, "Mi manca poco, basta uno sforzo di volontà e posso chiudere definitivamente questo capitolo." Più che pensare a quello che posso guadagnare dall'avere una laurea ho pensato a cosa mi trattiene dal prenderla—una motivazione simile a quella che mi ha fatto smettere di fumare. Non fumo da quasi due anni.

Per altri l'impulso non è abbastanza forte: "Anche se mi è sempre piaciuto studiare e ho sempre avuto ottimi voti," spiega Cecilia, "ormai la sola idea di provare a rimettermi sotto con la tesi per la semplice soddisfazione di finire una cosa che ho iniziato mi sembra complicatissima. Sarò ancora capace? Riuscirei a tenere fede alla mia media? Non che abbia una risposta a queste domande: in generale preferisco continuare a rimandare per paura di dover riconoscere che ho deluso me stessa."

Non nego che nel mio caso riprendere sia stato complicato. Durante l'ultima sessione lavoravo cinque giorni a settimana e passavo il sabato e la domenica a studiare senza interruzioni, ed era sfinente. Ma non è solo questo: "Tornare all'università dopo il lavoro e l'indipendenza è stato straniante," mi ha detto Marta, 31 anni, che dopo aver mollato senza dare nemmeno un esame e aver lavorato per un po' "giusto per dimostrare ai miei genitori che non ero un totale fallimento" è riuscita a riprendere e laurearsi. "È stato difficile riabituarsi soprattutto alla condiscendenza dei docenti, agli orari senza senso e alla burocrazia."

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Ora prima di ogni esame scrivo duemila mail ai professori per essere certo di studiare il programma giusto sui libri giusti—mi è già capitato di non poter dare un esame per questo o quest'altro cavillo. Per ogni minimo dubbio tempesto di mail la segreteria dell'Università. Tutti i venerdì vado a seguire un laboratorio su un argomento di cui mi interessa meno di zero solo per avere dei preziosissimi cfu. Dovrei riuscire a laurearmi a dicembre, se non ho dimenticato niente.

Thumbnail via Flickr. Segui Mattia su Twitter

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