Il paradosso Iron Dome

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Il paradosso Iron Dome

Le Forze di Difesa israeliane, assieme agli Stati Uniti, stanno per inaugurare un nuovo sistema di difesa missilistico da svariati miliardi di dollari. L'ultima volta, però, non è andata tanto bene.

Iron Dome in azione, via The Conversation.

Se c'è una cosa che manca al mondo moderno, quella cosa è un po' di sana magia con cui condire le guerre e i conflitti in giro per il mondo. D'altronde che gusto c'è ad ammazzarci a vicenda senza un po' di sana mitologia machista per reparti militari poco sicuri di sé?

Fortunatamente, quando le vicende internazionali si fanno troppo piatte, gli Stati Uniti entrano immediatamente in gioco per regalare un po' di brio alla situazione. Questo volta l'hanno fatto dando una mano ad Israele — Secondo il Washington Post, una serie di esercitazioni eseguite in collaborazione tra le Forze di Difesa israeliane e il Comando Europeo Statunitense sono il preludio dell'inaugurazione del nuovo scintillante sistema di difesa israeliano da svariati miliardi di dollari. Secondo i progettisti, "Il sistema missilistico di difesa aereo israeliano sarà decisamente superiore a qualsiasi altro sistema di difesa del Medio Oriente, e darò filo da torcere in velocità e precisione anche ai sistemi europei e americani."

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Quella tra Israele e i sistemi di difesa missilistici, però, è una relazione lunga e complicata. Comincia diversi anni fa, nel 2004. La Cupola di Ferro — in ebraico כיפת ברזל , inglesizzato Iron Dome — secondo quanto descritto dall'opuscolo pubblicitario diffuso dall'azienda produttrice, è "un sistema di difesa mobile progettato per intercettare e distruggere granate, proiettili d'artiglieria e razzi balistici a corto raggio; è operativo in qualsiasi condizione meteo ed è studiato per la difesa di punto di piccole città e obiettivi militari dai 3 ai 72 km d'estensione".

L'azienda produttrice, la RAFAEL Advanced Defense Systems, è la principale protagonista dell'industria bellica israeliana ed è stata fondata nel 1948 dal Ministero della Difesa: l'idea era quella di creare un laboratorio di ricerca e sviluppo per tecnologie militari (Israel's National R&D Defense Laboratory), ma nel 2002 è stata incorporata in una SRL di proprietà statale. Come tutti i prodotti e le tecnologie sviluppate dalla RAFAEL, la Cupola di Ferro è destinata sia ad un uso interno che alla vendita.

Militare Israeliano vicino all'unità lancia missili di una batteria Iron Dome. via Wired

La necessità di avere a disposizione un sistema di difesa anti-missile si solleva nei primi anni 2000, quando le milizie libanesi di Hezbollah e quelle palestinesi di Hamas intensificano l'offensiva aerea su Israele, esponendo il popolo israeliano alla minaccia balistica. A differenza degli stati confinanti e per chiari motivi storici, Israele è un paese moderno e democratico con un'economia di tipo occidentale. E nonostante il mosaico di etnie, culture e fedi diverse, internamente non si verificano scontri armati per la supremazia religiosa e la prevaricazione culturale come avviene in alcuni stati limitrofi, impegnati nella lotta armata per la diffusione di declinazioni estremiste dell'Islam.

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Il Governo e le Forze di Difesa israeliane sono quindi costantemente impegnate nella difesa della nazione dalle minacce jihadiste per preservare la pace interna e garantire la sicurezza della popolazione. Per trovare una soluzione alle minacce dell'esercito di Hezbollah e di Hamas, nel 2004 il Generale Daniel Gold, presidente e fondatore del Laboratorio di Ricerca e Sviluppo, inizia a lavorare al progetto di quello che sarebbe poi diventato la Cupola di Ferro.

Iron Dome è una sfida molto ambiziosa. Ogni batteria del sistema anti-missile è composta da un radar per il rilevamento e l'intercettazione dei razzi, un sistema di gestione centrale costituito da un computer con un software dedicato all' elaborazione dei dati e da un'unità di fuoco contenente 20 missili Tamir. Il radar deve funzionare 24 ore su 24 e in qualsiasi condizione meteo e una volta identificato il razzo nemico, trasferisce le informazioni sulla sua posizione e velocità al software del computer del centro di controllo che, attraverso dei calcoli, definisce la traiettoria e il luogo dell'impatto. Se il missile costituisce una minaccia viene intercettato e fatto esplodere attraverso il lancio di un secondo missile, il Tamir, che lo abbatte lontano dall'area da proteggere. Tutto questo avviene in un tempo massimo di 15 secondi.

Quando il Gold offre alla RAFAEL l'incarico di sviluppare il prototipo del suo progetto, il presidente della società, Ilan Biran è scettico. Non se la sente di approvare il progetto senza farlo prima esaminare ai suoi ingegneri per valutarne i costi e la fattibilità. Nel 2006 le analisi però si bloccano a causa dello scoppio della seconda Guerra del Libano: nonostante la superiorità militare delle Forze di Difesa, in soli 33 giorni di conflitto, 4200 razzi colpiscono i territori israeliani causando la morte di 43 civili e 119 militari. Parallelamente, a Gaza, Hamas lancia su Israele più di 1000 razzi Qassam. La necessità di uno sbarramento del fuoco nemico diventa prioritaria per il governo israeliano e il Generale Gold presenta anche al Ministro della Difesa Amir Peretz il progetto Cupola di Ferro, conquistando così il suo appoggio politico.

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Amir Peretz, sulla destra, che, durante la guerra del Libano, esamina il campo di battaglia con le ottiche del binocolo ancora tappate. via Delet.sk

Nonostante fosse il Ministro della Difesa, secondo il Wall Street Journal non aveva molta esperienza in campo militare. Alla fine la RAFAEL accetta l'incarico di Gold e sembra filare tutto liscio finchè il primo ministro Ehud Olmert, dopo aver consultato l'esercito, nega i fondi per lo sviluppo del prototipo preoccupato soprattutto dai costi eccessivi. Intercettare un razzo nemico del valore di un centinaio di dollari ne costerebbe in media 70 mila.

Peretz però non demorde — si coalizza con Gold e stanzia alla RAFAEL 10 milioni di dollari del budget per la difesa. La mossa crea non poco scalpore: così facendo il Ministro viola delle direttive governative secondo cui un progetto non approvato dal governo o dall'esercito non può essere finanziato. Yossi Drucker, supervisore del team RAFAEL che ha lavorato a Iron Dome, conferma l'accaduto, "…se si vogliono ottenere dei risultati in tempi brevi è spesso necessario eludere la burocrazia". Nonostante ciò il progetto va avanti.

Siamo nel 2007, il prototipo è fase di sviluppo ma i fondi non sono ancora sufficienti. A Israele non basta una sola batteria di Iron Dome per difendere tutte le città israeliane sotto il tiro dei razzi nemici, gliene servono circa una decina. Peretz si gioca il tutto per tutto e, rivolgendosi agli alleati americani, chiede al presidente George W. Bush un ingente aiuto economico. Il presidente invia in Israele una troupe di ingegneri del Pentagono per valutare il prototipo, ma dopo uno studio di fattibilità il responso è negativo, per gli Stati Uniti non vale la pena investire su Iron Dome, il sistema è definito obsoleto e costoso. Suggeriscono invece di adottare il sistema anti-missile Vulcan Phalanx, utilizzato dalle truppe americane in Iraq. Peretz e Gold rifiutano e la mossa di Bush non piace nemmeno ad Olmert che non accetta il dietrofront dell'alleato americano.

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Nonostante il rifiuto iniziale, Olmert si accorda con Peretz e finanzia il progetto Iron Dome prelevando dalle casse dello stato 200 mila dollari per stanziarli alla RAFAEL. Gli investimenti danno i primi frutti a luglio 2009, quando il prototipo di Iron Dome riesce ad intercettare con successo dei razzi durante i test operativi finali in cui si sono simulate situazioni reali di conflitto. Televisione e stampa recensiscono positivamente la vicenda mobilitando l'opinione pubblica a favore del sistema anti-missile. Anche il neo-eletto presidente degli Stati Uniti Obama, impegnato nel processo di pace in Medi Oriente, vede nel finanziamento di Iron Dome uno strumento per distendere i rapporti con Israele. Gli stessi ingegneri del Pentagono che due anni prima bocciavano il progetto, tornano in Israele con il compito di revisionarlo. Alla visita segue un finanziamento di 200 mila dollari; il primo di una lunga serie, per un totale di 1 miliardo di dollari.

A marzo 2011 il sistema Cupola di Ferro è dichiarato operativo e il ministro della difesa ne autorizza il dispiegamento.

Intercettazione di un razzo Qassam. via i24news

Dopo tre anni le Forze di Difesa israeliane sostengono che il tasso di intercettazione di Iron Dome sia salito al 90% e che nel corso dell'Operazione Margine di Protezione, grazie alle batterie su Ashkelon, Sderot, Beersheba e Tel Aviv, le perdite umane siano state di soli 6 civili in due mesi di scontri. Le notizie fanno il giro del mondo, per i media Cupola di Ferro è il fiore all'occhiello delle tecnologie di difesa militare e il Generale Gold diventa a tutti gli effetti un eroe.

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I fatti sembrano parlare chiaro sul successo di Iron Dome — Qualcuno, però, è scettico. Si tratta di un professore dell' MIT; un esperto in tecnologie militari, per l'esattezza proprio in sistemi anti-missile. Parliamo di Theodore Postol, ex ingegnere del Pentagono che da anni si dedica alla progettazione e all'analisi di sistemi di difesa militari. Postol non è nuovo a critiche di questo tipo, ha già sfidato nel 1991 il Pentagono per aver diffuso percentuali false sull'accuratezza del sistema anti-missile Patriot e nel 2001 ha ricevuto il premio Norbert Wiener proprio per aver smascherato le false dichiarazioni del Pentagono sugli esiti dei test e sulla reale efficienza del sistema Patriot nel campo di battaglia.

Anche per quanto riguarda Iron Dome, con un'accurata analisi tecnica pubblicata sul sito del Massachusetts Institute of Technology, Postol espone in maniera chiara e sistematica cosa non lo convince del sistema anti-missile della RAFAEL. Secondo lui la percentuale di successo di Iron Dome non può essere superiore al 6%.

Rappresentazione grafica di una batteria di Iron Dome a protezione di Tel Aviv.

Analizzando le traiettorie dei missili Qassam, Postol registra che questi possono essere disarmati solo se il Tamir centra la testata con un impatto frontale e, stando ai video delle intercettazioni divulgati dal Ministero della Difesa, ciò avviene solo nel 10 - 20% dei casi. Moltiplicando questa cifra per la probabilità di detonazione, che va dal 30 al 60%, si ottiene una probabilità di successo tra il 6% e il 12%.

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Nella maggioranza dei casi invece il Tamir colpisce i razzi di lato o da dietro, limitandosi a deviarne la traiettoria. Quando la detonazione non avviene, il missile costituisce comunque un pericolo in quanto può ancora esplodere durante l'impatto al suolo. Le Forze di Difesa, criticate per non aver mai rilasciato alcun dato riguardo il numero delle intercettazioni e sul risultato finale dei test, hanno preferito astenersi dal commentare l'articolo.

Iron Dome non convince nemmeno l'analista militare Reuven Pedatzur e l'esperto d'armi Moti Shefer. Secondo loro è impossibile intercettare un missile lanciato a meno di 5 km di distanza. Inoltre i Qassam, essendo razzi economici e rudimentali, potrebbero esplodere spontaneamente in volo, e queste esplosioni possono facilmente essere scambiate per intercettazioni da un osservatore esterno. Il Ministero della Difesa ignora le critiche di Postol, Pedatzur e Shefer, mentre Gold si limita a replicare, "Lasciategli credere quello che vuol credere…. Tutte le intercettazioni sono registrate e documentate… Iron Dome funziona" quando Postol lamentava esattamente il fatto che le uniche prove fossero dei video amatoriali a bassa risoluzione da cui si capiva ben poco.

Difficilmente scopriremo quanto Iron Dome sia stato decisivo a livello strategico nei conflitti contro Hamas, ma l'idea di proteggere intere città con uno "scudo d'acciaio" che neutralizza le minacce balistiche ha avuto un peso sociale ed economico incredibile sulla società israeliana in tempi di guerra.

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Di recente ho passato un weekend a Tel Aviv, una città multietnica dal clima rilassato. È febbraio, ma passeggiando sul lungo mare incrocio belle ragazze in costume, giovani su hoverboard, surfisti, arabi che grigliano spiedini, uomini d'affari in pausa pranzo e qualche maestro rabbino.

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Il lungomare di Tel Aviv.

Tel Aviv è il cuore economico e culturale di Israele, con negozi per tutti i gusti, gallerie d'arte, uffici, musei, mercati e bar. Anche l'architettura è quella di una città europea: oltre alle abitazioni mediorientali, ci sono grattacieli moderni, palazzi Bahuaus e interi quartieri dove graffiti e murales sono legalizzati. Sarebbe un peccato, ed un grave danno economico, se qui si iniziasse a temere la guerra.

Eppure nel 2014 Benjamin Netanyahu, per rispondere al rapimento di tre miltiari israeliani e fermare l'avanzata di Hamas su Gaza, lancia l'operazione Margine di Protezione iniziando gli scontri armati con la Palestina.

Secondo Amnesty, "Durante il conflitto, l'esercito israeliano ha schierato o utilizzato una vasta gamma di armi convenzionali, tra cui missili, sistemi di artiglieria di grosso calibro, droni militari […], aerei da combattimento, carri armati, veicoli corazzati, navi e armi leggere e di piccolo calibro […]. I gruppi armati palestinesi hanno usato o schierato lanciarazzi, razzi e SALW con corrispondenti munizioni."

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Campagna pubblicitaria dell'Operazione Margine di Protezione.

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Nonostante entrambe le parti abbiano commesso gravissime violazioni del diritto internazionale umanitario, non è una battaglia combattuta ad armi pari e la superiorità militare delle Forze di Difesa israeliane è innegabile. Netanyahu sapeva che il suo paese avrebbe vinto il conflitto senza rischiare molto; a fronte delle 6 vittime israeliane, i civili palestinesi che hanno perso la vita sono stati 1462.

Ma con un arsenale così imponente era necessario spendere più di un miliardo di dollari per lo sviluppo di Iron Dome? Un sistema progettato in tempi record e criticato negativamente da esperti mondiali in tecnologie di difesa era realmente indispensabile? Postol sostiene di no. Secondo lui l'esiguo numero di vittime dell'operazione Margine di Protezione è da attribuire ad una migliorata gestione delle emergenze, all'abbondanza dei rifugi anti-aerei e all'efficienza dei sistemi di allerta precoce.

Finché il Ministero della Difesa non dichiara il numero dei razzi abbattuti da Iron Dome, Postol non può essere smentito e, se adesso la guerra non è più un intralcio alle attività economiche e alla routine di chi vive in città, probabilmente il merito non è solo dell'efficienza tecnica della Cupola di Ferro ma più in generale della crescente fiducia del popolo israeliano nei sistemi di difesa implementati dal governo.

Durante gli scontri del 2014 a Tel Aviv e nelle città protette dalle batterie di Iron Dome, uffici, fabbriche, scuole e negozi sono rimasti aperti, mentre nel 2006 i razzi di Hezbollah avevano paralizzato Israele, causando danni per circa un miliardo di dollari. Ora i cittadini di Tel Aviv si sentono sicuri anche in tempo di guerra, si recano al lavoro e non lasciano che la paura prenda il sopravvento nella loro quotidianità.

Se il governo è riuscito a conquistare la fiducia del suo popolo, però, è anche merito della Cupola; non ha progettato un'arma infallibile ma ha costruito uno scudo contro la paura, distogliendo l'attenzione dei cittadini dalla preoccupante situazione politica del paese e facendo loro credere che la sicurezza della nazione fosse costantentemente una priorità. Israele ha portato sul campo di battaglia un simbolo, un'idea di impenetrabilità che ha prodotto risultati economici, psicologici e politici senza precedenti.

Ne sono un esempio William Lewis, giovane sostenitore di Iron Dome che si è tatuato un missile Tamir sul braccio, o un copyrighter improvvisato di Tel Aviv che, mentre piovevano razzi sulla città, ha ideato la linea di preservativi Iron Dome, pubblicizzati dallo slogan "Sesso sicuro per un Israele sicuro". Purtroppo un'eccessiva fiducia nella Cupola è stata fatale per due civili che, ignorando le sirene d'allerta non sono scese nei rifugi e sono morte a causa dell'esplosione di un razzo sfuggito a Iron Dome. Un triste avvenimento che ancora una volta ha evidenziato l'inefficienza del sistema di intercettazione.

Nelle città protette dalla Cupola si vive quasi normalmente anche sotto assedio, ma è doveroso ricordare che chi abita a Gaza non è ugualmente fortunato. Le Nazioni Unite hanno criticato Israele per essersi rifiutato di disporre una batteria di Iron Dome a difesa dei civili colpiti dai razzi di Hamas nella città di Gaza. Dopo aver visitato Tel Aviv mi auguro che una città culturalmente così viva non abbia mai più bisogno della protezione di un sistema anti-missile, ma la realtà è che Tel Aviv è un'oasi di pace in uno stato militarizzato.

La critica sociale più pesante fatta a Iron Dome è che nonostante abbia minimizzato i danni degli attacchi missilistici, parallelamente ha posticipato la formulazione di una politica estera in grado di eliminare alla radice la necessità di sistemi di difesa. Risolvendo una volta per tutte le cause dei conflitti con la Palestina sicuramente gli scontri armati per il controllo della striscia di Gaza terminerebbero o si ridurrebbero.

In conclusione, ribadendo i dubbi precedentemente sollevati sull'efficienza sociale e tecnologica della Cupola di Ferro, cito Reuven Pedatzur, "Supportare progetti come questo, per l'industria militare è una questione di soldi e per i politici significa mostrare agli elettori che si sta facendo qualcosa di concreto per rispondere ad una minaccia inevitabile". Non resta che chiedersi cosa ne sarà di questo nuovo sistema di difesa missilistico da svariati miliardi, nella speranza che non si tratti di un nuovo Iron Dome.