girls do porn conseguenze
Illustrazione di Michelle Urra
Tecnologia

Sono stata filmata in un video porno non consensuale, e anni dopo non ne sono ancora uscita

Una delle donne costrette a girare scene per 'Girls Do Porn' racconta come, nonostante gli anni passati e le vittorie in tribunale, le persecuzioni continuino.

Attenzione: questo articolo include resoconti in prima persona di abusi sessuali.

Aggiornamento del 15/06/2021: Il 14 giugno 2021, un tribunale federale della California ha condannato a 20 anni di carcere Ruben Andre Garcia, l’uomo che compariva nella maggior parte dei video girati da Girls Do Porn. Garcia si era dichiarato colpevole delle accuse di traffico sessuale, frode e coercizione durante le indagini sulla casa di produzione. L’FBI ha pubblicato l’ammissione di colpevolezza di Garcia, in cui l’uomo dice che, con l’aiuto dei suoi collaboratori, bloccava le porte con i mobili quando le donne costrette a girare i video non consensuali cercavano di andarsene, oltre a “minacciarle di denuncia, di cancellare i loro voli o di postare online i materiali filmati—cosa che, all’insaputa delle vittime, sarebbe poi successo lo stesso.” Nel frattempo, il fondatore di Girls Do Porn Michael Pratt—fuggito dopo le accuse—è ancora sulla lista dei maggiori ricercati dell’FBI, che offre una taglia di 10.000 dollari a chiunque fornisca informazioni utili al suo arresto.

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Nell’inverno 2015, Jane ha lasciato la casa dei suoi genitori, dove si trovava per il Ringraziamento, e si è recata in un hotel in una parte trafficata della città. Jonathan, il talent scout dell’agenzia di modelle con cui era in contatto da diverse settimane, l’ha raggiunta nella lobby. Jane non era convinta di fare un servizio “per adulti” e non era neanche sicura di cosa significasse—aveva immaginato che fosse un film indipendente con scene di sesso o un servizio fotografico di lingerie di gusto. Ma le servivano i soldi per aiutare i genitori e Jonathan l’aveva convinta ad accettare un lavoro di un paio di ore per qualche migliaio di dollari. Era gentile, mentre l’accompagnava di sopra.

Jane (a cui Motherboard ha garantito l’anonimato per la sua sicurezza) è entrata nella spoglia stanza d’albergo dove un cameraman li stava aspettando, con la videocamera puntata sul letto. Una truccatrice, una donna più grande di lei, le ha chiesto cosa ci facesse lì. Come ti sei fatta coinvolgere? È una delle frasi che, in retrospettiva, Jane identifica come un campanello d’allarme. All’inizio, ha cercato di scrollarsi la sensazione di dosso. La donna se n’è andata e Jonathan le ha detto di svestirsi. Le ha fatto qualche foto, dicendo che le stava mandando al suo capo, poi l’ha informata che dato che aveva cicatrici sul petto e cellulite sulle cosce, il compenso sarebbe stato ridotto di svariate migliaia di dollari.

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“Ero lì, nuda, in una stanza di hotel da sola con questi due uomini,” mi racconta Jane. “Ero convinta che sarei andata su un set legittimo, con una intera squadra di persone, non solo due sconosciuti in una stanza di hotel. Ero nel panico.” Jonathan le ha rivelato a quel punto che non c’erano altre modelle. Era lì per fare sesso con lui davanti alla videocamera. Sia lui che il cameraman le hanno assicurato che il video non sarebbe mai stato ricondotto a lei.

Le è stato detto che ci sarebbero volute un paio di ore. È entrata in quell’hotel alle 9 di mattina ed è uscita alle 4 del pomeriggio.

Ciò che è successo in quella stanza ha stravolto completamente la vita di Jane—l’ha perseguitata durante gli studi, nel suo primo lavoro finito il college, in ogni traguardo che ha saputo conquistare, in ogni relazione. Jane è una delle 22 donne che hanno fatto causa alla casa di produzione pornografica fraudolenta Girls Do Porn e hanno ottenuto milioni di dollari di risarcimento nel 2020, e le cui testimonianze hanno portato l’FBI a incriminare i proprietari e i gestori del sito. Il vero nome di “Jonathan” è Ruben Andre Garcia, che si è dichiarato colpevole delle accuse di traffico sessuale a dicembre 2020. Teddy Gyi, il cameraman, si è dichiarato colpevole per aver mentito a Jane e molte altre donne circa la distribuzione dei video. Michael Pratt, co-proprietario della casa di produzione insieme a Matthew Wolfe, è sulla lista dei principali ricercati dell’FBI, da quando è—presumibilmente—scappato dal paese.

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Solo una manciata delle centinaia di donne che Girls Do Porn ha filmato dal 2009 al 2020 ha parlato pubblicamente di ciò che ha subito—e un numero di donne ancora inferiore l’ha fatto fuori dal tribunale. Le loro storie si somigliano tutte: hanno risposto a un annuncio per modelle su Craigslist, in cui si chiedeva di incontrare gli operatori in un hotel lontano dalle loro città natali. La natura pornografica del servizio era in genere omessa, o c’era solo un allusivo “per adulti,” finché le donne non arrivavano all’hotel. Quando Girls Do Porn rivelava il reale scopo dell’incontro, mentivano dicendo che i video sarebbero stati venduti solo in altri paesi e mai distribuiti diffusamente online.

Il sito di Girls Do Porn è ora offline, i loro video sono stati in grandissima parte rimossi da Pornhub e le azioni legali hanno portato a diverse condanne—eppure la storia di Jane dimostra come i crimini commessi da Girls Do Porn continuino a danneggiare le vite delle persone. Spesso non sono le piattaforme o i siti porno a infliggere il danno peggiore, ma i siti mainstream come YouTube, Twitter e Reddit, dove gli utenti mostrano a scuole e datori di lavoro i momenti più bui delle vite di queste persone.

“Non riuscivo a capire come qualcuno potesse fare una cosa del genere.”

Una volta che Garcia ha mandato le foto e stabilito la nuova paga ridotta di Jane, lei si è appartata in bagno, dove si è accorta che le erano venute le mestruazioni. Si è sentita sollevata—ora avrebbero dovuto rimandare, ha pensato, e lei poteva andarsene. Quando è uscita dal bagno, i suoi vestiti erano spariti. Si è scusata, ha spiegato che avrebbero dovuto rimandare a un altro giorno.

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“Le loro facce sono molto preoccupate. Le raggiungo e mi dicono, ‘cosa hai fatto?’ Stanno piangendo. ‘Cosa hai fatto, cosa hai fatto?’”

Garcia era rabbioso. “A quel punto mi afferra e mi porta in bagno. È molto aggressivo. La sua gentilezza è svanita. Prende una spugna come quelle che si usano per dipingere e senza chiedermi niente, in una violazione completa, mi allarga le gambe e me la spinge dentro la vagina. Il più in profondità possibile.”

Jane ricorda Garcia dirle “Ok, a posto, siamo pronti,” e tornare nella stanza. “Mi sono sentita come se fossi stata stuprata. Non riuscivo a capire come qualcuno potesse fare una cosa del genere,” racconta Jane.

Durante il processo civile, gli avvocati di Girls Do Porn hanno torchiato Jane e le altre querelanti, chiedendo perché non se ne fossero andate. Se erano così a disagio, perché sono rimaste nella stanza di hotel?

“A quel punto, quando mi ha spinto quella cosa dentro, ero tipo… non lo so… come faccio ad andarmene se è capace di cose come questa?” racconta Jane. “Ero lì, nuda, loro avevano la mia carta d’identità, il mio portafoglio. Avevano i miei vestiti. Cosa posso fare, uscire senza nulla, neanche il telefono, nel mezzo della strada?”

Garcia e Gyi hanno fatto firmare in tutta fretta dei documenti a Jane e lei racconta che le hanno più volte assicurato che nessuna immagine girata quel giorno sarebbe stata vista dai suoi amici e parenti. Sarebbe andata a “collezionisti privati,” spiegavano, in negozi di DVD per adulti in Nuova Zelanda e Australia. Lei ha letto di fretta il contratto mentre loro, spazientiti, le dicevano che gli aveva fatto perdere già abbastanza tempo.

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Hanno passato le successive ore a filmare rapporti aggressivi con zero comunicazione al di là delle critiche alla sua capacità performativa. Su un set porno legittimo vengono stabiliti i confini, accertato il consenso dei partecipanti e concordato il processo di contratto, con tutte le parti coinvolte a stabilire insieme cosa faranno e cosa invece non è permesso, e a che punto una certa scena deve interrompersi—che sia temporaneamente o per il resto della giornata.

“Nessuna casa di produzione pornografica legittima opera nel modo in cui ha fatto Girls Do Porn. Il loro caso non è emblematico dell’industria, è una serie di crimini odiosi che sono stati filmati e sfruttati per soldi,” ha detto a Motherboard nell’ottobre 2019 Alison Boden, CEO di Kink.com, mentre la causa civile era in corso.

“Un paio di volte ho chiesto di fermarci, che avevo bisogno che ci fermassimo, perché il dolore era troppo,” racconta Jane. “Ho detto che non potevo andare avanti. Ma la mia voce non era presa in considerazione.”

Finite le riprese nel pomeriggio, umiliata ed esausta, Jane è stata scortata fuori dall’hotel da Garcia. “Mentre usciamo, vedo la prossima ragazza arrivare,” racconta. “Ci passiamo accanto, ci guardiamo negli occhi. Se la vedessi di nuovo la riconoscerei di certo. Era esattamente come me—una ragazza carina, dall’aria molto innocente. E io volevo urlarle ‘Scappa, mettiti in salvo, non entrare.’ Ma non ho potuto.”

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Jane è tornata a casa e non ha raccontato a nessuno cosa era successo.

"Chiedo solo che rispettino le loro stesse regole."

Dopo le riprese, Jane è tornata alla sua vita. È tornata a lezione. Le cose sembravano normali. “Ero spaventata, ma non potevo parlarne con nessuno dei miei amici o della mia famiglia,” racconta. “Dovevo tenermelo per me, e andare avanti.”

Il mondo fuori da quella stanza di hotel ha continuato a fare il suo corso—finché un giorno di metà gennaio, durante un evento del campus che Jane aveva contribuito ad organizzare, si è accorta di aver perso di vista la sua migliore amica.

“Sono andata a cercarla e l’ho trovata seduta con un’altra nostra amica a fissare il telefono. Avevano la faccia preoccupata, e poi hanno iniziato a piangere.” Le amiche hanno mostrato i loro telefoni a Jane: c’era lei, in un video prodotto da Girls Do Porn, su quel letto, in quella stanza. Jane è crollata a terra. È stato come se una bomba le fosse esplosa nel cervello.

“Non sentivo più le loro voci,” racconta, “Non sentivo niente. Ero sotto shock. Era un attacco di panico, decisamente, ma era più come se fossi sotto l’effetto di una droga assurda. Era tutto al contrario. Stavo cercando le parole e nessuna aveva senso.”

Le sue amiche l’hanno presa di peso e l’hanno portata via dall’evento. Il suo telefono era bombardato di notifiche, con messaggi su Facebook, Instagram, email, Twitter.

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“Ovviamente ora, dopo i fatti, ho capito che avevano promosso ogni episodio,” racconta Jane. “Inviavano il link alle persone, trovando quelle giuste tra gli amici su Facebook [della vittima], tra i compaesani, o tra gli studenti dello stesso college… bastava mandarlo a un tizio che aveva frequentato le stesse superiori e il video diventava virale.”

Le prove presentate in tribunale dimostrano che gli operatori di Girls Do Porn esponevano intenzionalmente dettagli rivelatori dell’identità delle donne. In parte succedeva su un sito chiamato PornWikiLeaks, di cui sono stati proprietari gli stessi operatori di Girls Do Porn da novembre 2015 a giugno 2016. Quel sito ospitava i nomi completi delle modelle, i loro indirizzi di casa, numeri di telefono, indirizzi email e gli account social media dei familiari.

“Per un paio di giorni, ero letteralmente a rischio suicidio, mentre cercavo di spiegare alle mie amiche più strette cosa fosse successo e che non era come sembrava—non ero andata a girare un porno che sarebbe stato distribuito a milioni di persone online,” dice Jane.

Il preside della sua scuola l’ha chiamata, preoccupato. Lei ha rinunciato alle posizioni di responsabilità nella comunità e passava da una lezione all’altra tenendo la testa bassa. Le sue amiche, le sue “cheerleader,” racconta, l’hanno incoraggiata a tenere testa alla gogna pubblica e ai commenti e, piano piano, nel corso di diversi mesi, la vergogna che provava si è trasformata in qualcos’altro.

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“Ho cominciato a provare un forte desiderio di vendetta,” racconta Jane.

Si è buttata a capofitto nella ricerca degli uomini che avevano abusato di lei. Ha cercato di contattare Garcia e Gyi; il numero di Garcia risultava staccato, ma Gyi ha risposto dopo diversi tentativi. Gli ha detto che le avevano distrutto la vita. Lui ha detto che non poteva parlarne e ha riattaccato. Dato che loro non erano di aiuto e lei era sola, è partita per “una crociata”, rintracciando tutte le copie del video pubblicate online e denunciandole alle piattaforme come porno non consensuale.

"Sono passati cinque o sei anni—e col tempo le cose sono migliorate—ma la violenza non è finita."

Dopo mesi passati a cercare di rimuovere il video da internet da sola, ha assoldato un servizio per farlo al posto suo e fatto un esposto per la rimozione tramite il Digital Millennium Copyright Act. Non è bastato, ma le ha dato una traccia da seguire: la persona che gestiva quel servizio le ha detto che un numero consistente di modelle di Girls Do Porn avevano chiesto il loro aiuto e le ha consigliato di parlare con Carrie Goldberg, un’avvocata specializzata in materia. Goldberg stava lavorando a un caso con gli avvocati di San Diego Brian Holm e John O’Brien, basato sulle testimonianze di diverse donne che erano state costrette a girare scene porno per Girls Do Porn. Jane si è unita al caso nel 2016 e nel 2020 un giudice ha sentenziato che Pratt, Wolfe e i loro collaboratori avevano commesso frode e abuso per girare scene con l’inganno. Jane e altre 22 donne avrebbero dovuto ricevere milioni in risarcimento.

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Da quando si è laureata, Jane gestisce clienti per aziende di finanza e ha ricevuto riconoscimenti a livello nazionale per i suoi successi. Ma l’incubo non è finito. “Sto affrontando ancora le conseguenze,” racconta. “Ad oggi, sono passati cinque o sei anni—e col tempo le cose sono migliorate—ma la violenza non è finita.”

Alcune persone creano video su YouTube dove la identificano come modella di Girls Do Porn e taggano i posti per cui lavora con link ai video sui social media. Su Reddit, i video che rivelano i nomi delle modelle sono diversi. Qualcuno li ha mandati al suo capo, che dopo non riusciva a guardarla in faccia, racconta Jane. L’azienda è stata comprensiva e di supporto, ma la sua vita al lavoro è cambiata. Ora, ha paura di ricevere qualsiasi riconoscimento o di farsi affidare progetti che potrebbero portare troppa attenzione al suo nome.

La piattaforma che causa gli abusi peggiori è Twitter, dice. Ogni volta che c’è un tentativo di doxxing o un picco nelle aggressioni, si diffonde rapidamente su Twitter, dove le persone taggano i suoi datori di lavoro con screenshot di lei nuda nel video o link al video ancora presente su qualche sito porno.

“Resto ferma per due giorni, cercando ogni parola chiave, contattando Twitter, cercando di ottenere il loro aiuto, copiando e incollando, scrivendo email e spiegazioni, incluse le sentenze del giudice,” racconta. “Dover affrontare tutti quei contenuti orribili, ogni volta da capo… è insopportabile.”

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Nel 2017, Rob Kardashian ha postato un video di revenge porn su Twitter e la piattaforma è stata criticata per averlo lasciato online per 30 minuti. Quattro mesi dopo, Twitter ha pubblicato nuove linee guida, cercando di fermare la diffusione di revenge porn. Per Jane, il processo di denuncia ha portato alla rimozione del video dopo oltre sette giorni—durante i quali è diventato ancora più virale e fuori controllo.

“Non chiedo a Twitter di rimuovere il link dall’etere, o da tutto internet. Chiedo solo che rispettino le loro stesse regole,” spiega Jane.

Anche YouTube ha ignorato le denunce di Jane e del team legale che la aiuta. La pornografia non è ammessa su YouTube, né sono tollerate, in teoria, violenza e bullismo, ma sulla piattaforma si trovano stralci di video di Girls Do Porn che sono “safe-for-work”—in genere interviste con le donne prima delle scene, mentre sono ancora vestite e sedute sul letto. Anche se non c’è nudità o sesso, le donne nei video sono spesso identificate nei commenti e nel titolo e in alcuni video vengono aggiunte foto personali prese dai social media. Un video dai toni profondamente misogini che alterna immagini di video giochi e screenshot di quattro donne diverse filmate da Girls Do Porn ha oltre due milioni di visualizzazioni; di tutte le donne sono stati messi i nomi completi nei commenti.

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In un video su YouTube, qualcuno ha scritto il nome di Jane nel titolo e ha montato poi una serie di screenshot sulla sua storia lavorativa su LinkedIn, aggiungendo il suo indirizzo email personale e le istruzioni per googlare il suo nome e trovare altri frammenti del video porno originale. Il video è rimasto su YouTube per cinque mesi; Jane ha cercato di farlo rimuovere, ma YouTube non ha agito finché Motherboard non lo ha segnalato per doxing. Ora è stato rimosso per violazione delle norme sui contenuti sessuali di YouTube.

Charles DeBarber, analista alla Phoenix Advocates & Consultants e specializzato nella rimozione di porno non consensuale online, spiega a Motherboard che YouTube è la piattaforma meno reattiva con cui abbia mai avuto a che fare; quando ha cercato di aiutare Jane a far rimuovere questo video, la piattaforma ha ignorato anche le sue richieste.

“È come urlare al vuoto,” dice. “Non dicono neanche se hanno revisionato un contenuto o meno. È una delle umiliazioni più degradanti nei confronti di una vittima di crimini sessuali che io abbia mai visto. Il datore di lavoro della mia cliente è stato preso di mira di proposito. YouTube non rispetta i suoi stessi termini di servizio.”

YouTube ha rimosso diversi altri video in cui comparivano i dati delle modelle di Girls Do Porn, dopo che Motherboard ha contattato la piattaforma per avere un commento. “I contenuti che mostrano una sessualizzazione indesiderata sono proibiti,” spiega un portavoce di YouTube. “Abbiamo rimosso cinque video segnalati da VICE in conformità con la nostra policy.”

Stando al transparency report di YouTube, negli ultimi mesi del 2020 la piattaforma ha rimosso 65.000 canali, 77.000 video e 136 milioni di commenti per molestie e cyberbullismo, “la maggior parte dei quali sono stati identificati tramite segnalazione automatica,” dice il portavoce.

Dopo tutto questo tempo, i suoi ex datori di lavoro vengono ancora taggati in post con le immagini di Jane nel video di Girls Do Porn. L’idea che questa esperienza traumatica incida anche sulle vite dei suoi vecchi colleghi la tormenta.

“Mi uccide che le persone stiano ancora soffrendo per colpa mia o per colpa di questa cosa che mi è successa. Perché queste persone disgustose si sono approfittate di me—e ora si approfittano del mio successo lavorativo,” dice Jane. “È davvero difficile capire cosa pensano le persone da come ti guardano. E la tua mente è il nemico peggiore, perché pensa sempre al peggio.”

“Nessuno in nessuna di quelle situazioni ha mai ‘vinto,’ anche se le cause sono andate bene,” spiega DeBarber. “È facile incolpare le vittime—molto più facile che aiutarle. Mi chiedo come le mie clienti potranno mai fidarsi ancora di qualcuno.”

Nel frattempo Jane ha cambiato lavoro e ha paura che l’incubo la raggiunga anche lì. “È stupido, è sbagliato. È una paura che cresce come una valanga.”