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L’unica donna entrata nella Michelin Italia 2020 è messicana (e lavora da Gucci)

Karime Lopez osteria gucci

“Molti si sono chiesti perché Massimo abbia scelto me. Perché donna? Perché non italiana? Ma in cucina siamo abituati ad avere gente di tutto il mondo. L’unico modo in cui puoi dimostrare di essere capace è lavorare”

La settimana scorsa è stata presentata l’edizione 2020 della Guida Michelin Italia. Ci sono state 29 new entries: 29 nuovi chef a conquistare una stella Michelin ed entrare nell’ambito, e tutto sommato ristretto (374), numero di ristoranti stellati. Tra di loro c’era una sola donna.

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La motivazione della stella a Karime López è stata saper “applicare tecniche e idee da tutto il mondo a un orizzonte storicamente italiano, l’osteria.” Ecco, quella parola lì, osteria, non deve rievocarvi scenari di tradizione confortevole e paciosa, legno perlinato e tavola a quadri. Il suo ristorante un’osteria lo è solo nel nome.

Mi sono presentata in jeans, felpe e scarpe da tennis. Entro in questa sala enorme, tutti eleganti, tutti perfetti.

Gucci Osteria è stata aperta due anni fa in Piazza della Signoria a Firenze, all’interno del Palazzo della Mercanzia, dove Alessandro Michele, direttore della Maison, ha creato Gucci Garden: uno spazio di due piani che si può visitare scoprendo l’archivio Gucci, un cinema da camera, un’esposizione di opere di artisti contemporanei che Michele scopre sui social network. Al piano terra, la boutique e appunto il ristorante, che è stato aperto in collaborazione con Massimo Bottura. A raccontarmelo è Karime stessa, durante un pranzo di un freddo mercoledì di ottobre, due settimane esatte prima dell’annuncio della sua stella. “Alle elementari Marco Bizzarri, CEO di Gucci, condivideva il banco con Massimo Bottura. Entrambi si sono trovati in due posizioni importanti in due settori molto diversi. E hanno deciso di fare qualcosa insieme,” ci spiega, dopo che io e la mia compagna di tavolo ci siamo accomodate nella minuscola sala di un verde incantato (probabilmente c’è un nome più appropriato, per quella sfumatura di verde).

Non c’è distinzione di genere qui. È chiaro da subito quando lavori con loro. Poi in sala, interagendo con gli italiani, mi accorgo di quanto siamo indietro. Mi sono sentita dire da un cliente ‘Per essere donna sei brava’

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Foto per gentile concessione di Osteria Gucci di Bacchus PR

Karime López è nata a Città del Messico 37 anni fa. Subito dopo il liceo va a Parigi per studiare arte, ma lì decide che ciò che le interessa è lavorare in cucina. Tra i tanti, famosissimi ristoranti dove ha lavorato: Can Fabes in Catalogna, Mugaritz a San Sebastian, Noma in Danimarca. E già lì sarebbe sufficiente per farne la carriera di una vita. Ma lei allarga ancora i confini: RyuGin a Tokyo, poi 5 anni al Central di Lima.

“Sono arrivata in Italia tre anni fa. Volevo staccare un po’ la mente dalla cucina: gli ultimi anni erano stati super intensi, tanti viaggi, tante cose… mi dovevo adattare alla mia nuova vita. L’Osteria Francescana mi ha proposto di fare il libro del Pane è Oro, per diversi mesi sono stata al ristorante a provare le ricette, ero diventata parte del gruppo. Quando è finito mi sono detta ‘Ma è già finito?’. Ho capito che la cucina mi mancava: tanto, tanto, tanto. Avevo bisogno di tornarci.” Un giorno era in un bar con il marito Takahiko Kondo (sous chef alla Francescana, NdR) quando Bottura l’ha chiamata e le ha chiesto dov’era. Ti raggiungo subito, ha detto, ed è arrivato di corsa. Le ha fatto la proposta di Gucci. Immaginatevi lo chef italiano più famoso la mondo che vi chiede di essere chef nel suo ristorante con Gucci in Piazza della Signoria, e vi dà pochi minuti per decidere. Immaginatevelo. “Lo vuoi o non lo vuoi?”. “Sì,” risponde lei.

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“Cucinare con il caviale è facile… ma cosa fai? Apri la latta e paghi. Ha un valore umano diverso dai tortellini. Qualche turista arriva e li conta nel piatto: uno, due, tre… sono pochi! Ma lo sai quanto ci è voluto per farli?”

Della prima riunione con Gucci mi racconta: “Mi sono presentata in jeans, felpe e scarpe da tennis. Entro in questa sala enorme, tutti eleganti, tutti perfetti. Però mi hanno subito messa a mio agio. Mi hanno dato fiducia e i mezzi per realizzare quello che volevo, senza darmi limiti, e con essa una responsabilità enorme, che mi fa stare carica tutto il tempo.” Design e gastronomia, dice, sono simili. L’idea del menu è il viaggio. In una città che paga tremendamente lo scotto al turismo, dove sembra di poter apporre un posticcio marchio di italianità su qualsiasi cosa, Gucci Osteria fa tutt’altro. Ovviamente qualche tributo alla Francescana c’è. L’hamburger al cotechino, salsa verde e maionese all’aceto balsamico, nato da una collaborazione di Bottura con Shake Shack. I tortellini in crema di Parmigiano. Il bun ripieno di Cinta Senese. “Ma il resto è nostro.”

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La tostada è il suo paese in un piatto: “Ci ha messo tanto a trovare una tostada di mais nero fatta in Italia! Ci aggiungo guacamole, maionese di chipotle, polvere di hibiscus, coriandolo e germogli di coriandolo. Ci sono clienti che vengono solo per quella: non si sarebbe mai aspettata che un piatto così messicano piacesse tanto.” Forti anche le anche influenze giapponesi, come nel chawanmushi di funghi: “In Giappone la gerarchia è super importante. All’inizio, quando ero lì non mi parlava nessuno. Uno dei miei primi compiti era preparare il chawanmushi di tartaruga, tutto il giorno.” Qui lo ripropone, ma con ingredienti stagionali, come i funghi. Il mio piatto preferito di tutto il pranzo sono indubbiamente stati gli spaghetti di zucca con pesto di semi di zucca tostati e olio al limone. “Piatti così non hanno prezzo. Ci vogliono circa 20 zucche per 5 piatti. Bisogna tagliarla, svuotarla, passarla in un colino, ridurla, fare la centrifuga… non è facile! Non possiamo sprecarne nemmeno una goccia. È il giorno intero di lavoro di una persona.”

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E i clienti lo capiscono? “Qualche turista arriva e dice che si aspettava ci fossero più prodotti di lusso. Ma zucca, Parmigiano, aceto balsamico lo sono! Cucinare con il caviale è facile… ma cosa fai? Apri la latta e paghi. A me piace eh, ma ha un valore umano diverso dai tortellini. E la gente non sempre lo capisce quel valore. Servo i tortellini e li contano nel piatto: uno, due, tre… sono pochi! Ma lo sai quanto ci è voluto per farli? “.

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La componente estetica è ovviamente fortissima nel piatto: ceramiche prodotte esclusivamente con Richard Ginori, farfalle che volano e foglie che serpeggiano, rosa e verde. E visto che c’entra un marchio come Gucci, che sotto la guida di Tom Ford prima e Michele poi ha sovvertito i ruoli di genere, è bello non dovere, anzi non potere, definirli “femminili.” Gucci scardina stereotipi di genere e meccanismi patriarcali anche sul luogo di lavoro, mi spiega Karime. “Non c’è distinzione di genere. È chiaro da subito quando lavori con loro. Poi in sala, interagendo con gli italiani, mi accorgo di quanto siamo indietro. Mi sono sentita dire da un cliente ‘Per essere donna sei brava’. E so che molti si sono chiesti perché Massimo abbia scelto me. Perché donna? Perché non italiana? Ma in cucina siamo abituati ad avere gente di tutto il mondo. L’unico modo in cui puoi dimostrare di essere capace è lavorare.”

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Quando sono andata io di stella non se n’è nemmeno accennato. Che Karime non lavorasse “per la gloria” era abbastanza chiaro. Le parole che ripeteva più spesso erano fiducia, quella che le hanno dato e che lei dà al suo team, e responsabilità. Due anni di lavoro aperti ogni giorno. Una piazza (in senso letterale e metaforico) impegnativissima. Uno chef come Bottura che ti affida tutto. Non penso sia facile, essere Karime Lopez. Eppure, a sentire il suo entusiasmo nel raccontarmi dell’aglio nero con cui cuoce il polpo, deve essere anche bellissimo.

Ogni tanto mi scappa una domanda un po’ da giornalismo becero. Una domanda del tipo: torneresti mai in Messico? “Da quando ho 18 anni non vivo lì. Sarebbe troppo difficile. Per un periodo c’ho provato, lavorando al Pujol di Città del Messico: non mi sono adattata bene. C’è chi non sa abbandonare il proprio luogo di nascita e vive lì tutta la vita. E c’è chi invece ama andarsene, partire e non tornare. Io sono tra quelli.”

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