FYI.

This story is over 5 years old.

Come sarebbe il mondo se non avessimo ucciso tutti gli animali

Date uno sguardo al mondo che abbiamo distrutto.

Un safari in Africa rappresenta forse la forma più alta di interazione con i giganti terrestri che sopravvivono nel mondo. L'odore del sole nelle foglie d'acacia e la vista di queste bestie antiche, mentre inscenano il loro dramma quotidiano, evocano memorie sublimi del nostro passato condiviso e una sensazione spiazzante di identificazione. In qualche modo ci sembra di essere già stati in quei posti.

Pubblicità

Il grosso della fauna africana è presente sul solo continente, ma se non lo fosse? Immaginiamo un'Europa in cui i mammut e rinoceronti lanosi vagano per la Scandinavia, branchi di lupi iberici cacciano gli uri e gli orsi bruni se la swaggano sulle Dolomiti. Se non fosse stato per l'ascesa dell'Uomo, il mondo intero assomiglierebbe ancora al Serengeti: un galoppante, ruggente, tempestoso paradiso di sangue e rinascita, terrore e trionfo animale. Un nuovo studio ce lo mostra agilmente. A colori.

"Il fatto che la massima diversità tra i grandi mammiferi si riscontri in africa rispecchia perfettamente l'attività umana e non questioni climatiche o ambientali," spiega il Dr. Søren Faurby, biologo dell'evoluzione presso l'università di Aarhus, Danimarca, esperto della materia che attualmente collabora con il museo di storia naturale di Madrid.

L'Africa contemporanea è l'ultimo baluardo per tutta la megafauna che, se non fosse per l'uomo, popolerebbe ancora il pianeta—un rifugio sotto assedio, ora testimone dei rantoli di questi ultimi sopravvissuti del mondo che ci ha preceduti.

In una recente intervista Faurby mi ha detto che il suo paper, pubblicato su Diversity and Distributions, "sembra confermare un diretto coinvolgimento dell'uomo nell'estinzione della megafauna. In una sezione dell'articolo io e il co-autore Jens-Christian Svenning proviamo a ricostruire l'attuale distribuzione di queste specie se non si fossero estinte."

Pubblicità

Proiezione della distribuzione nel mondo di alcune grandi specie di mammiferi (peso superiore ai 45kg) se l'uomo non fosse esistito. Le aree in rosso presentano la maggior diversità. Immagine di Søren Faurby.

Stando a Faurby questa sarebbe "la prima approssimazione di una mappa credibile della diversità dei mammiferi nel mondo senza l'impatto dell'uomo." La ricerca è un ritratto quantitativo di come le specie di mammiferi, tanto quelle vivente quanto quelle estinte negli ultimi 130.000 anni, sarebbero naturalmente distribuite nel mondo se non avessimo rovinato tutto.

Lo studio illustra vividamente quanto abbiamo impoverito l'ecosistema durante la nostra breve esistenza nel mondo. Dr. Svenning, un biologo dell'università di Aarhus, dice che "Il nord Europa non è certo l'unico posto dove l'azione umana ha ridotto la diversità dei mammiferi—è un fenomeno globale e, in molti posti, lo scarto tra la diversità registrata e quella attesa è molto grande."

La mappa costruita dai ricercatori illustra graficamente come sarebbe il mondo senza il nostro spietato istinto predatorio. Si notino i livelli straordinariamente alti sia in Nord che in Sud America, continenti attualmente poveri di grandi mammiferi—i pochi lupi e orsi a cui abbiamo permesso di sopravvivere sarebbero i predatori dominanti in quasi tutto l'occidente e passerebbero il tempo a inseguire camelidi, bisonti e bradipi giganti lungo le Grandi Pianure senza un solo silo di grano a deturpare il paesaggio.

"Quasi tutti i safari si svolgono in Africa," dice Faurby, "ma senza l'intervento dell'uomo sarebbero sopravvissute specie di mammiferi altrettanto se non più grandi in gran parte del Nuovo Mondo, per esempio in Texas e nelle regioni confinanti o nella fascia a cavallo tra il nord dell'Argentina e il Brasile meridionale. Il motivo per cui i safari si svolgono in Africa non riguarda il fatto che il continente sia insolitamente ricco di specie. Riflette, piuttosto, il fatto che nel continente l'attivià umana è stata minore."

Pubblicità

L'attuale diversità dei mammiferi. Sì, è molto minore. Immagine di Søren Faurby.

Si noti in particolare che insieme alla megafauna di mammiferi (peso superiore ai 44.5kg), i titani terresti che siamo riusciti a far sparire da tutto il mondo tranne l'africa subsahariana, abbiamo anche perso i loro significativi effetti sull'ambiente (di modificare l'ambiente e di portare avanti il ciclo dei nutrienti).

Ma anche nell'Africa subsahariana la grande varietà è in parte illusoria, un'ombra della gloria passata. Per esempio esistono decine di specie di antilopi in Africa, ma solo due di elefanti: il famigliare elefante africano (Lexodonta africana) e l'elefante delle foreste dell'africa occidentale e centrale (Lexodonta cyclotis). 17 delle 19 specie dell'ordine elefantino Proboscidea si sono estinti nel corso del Pleistocene, l'ultima era glaciale che vide gli uomini eruttare dal continente, lasciandoci oggiogiorno con il solo elegante africano e quello indiano. Oggi, in Africa e nel sud dell'Asia, sopravvivono solo tre specie.

I colonizzatori europei rimasero impressionati dalla ricchezza biologica dell'emisfero occidentale e in effetti deve essere stato impressionante a confronto con la poverà del Vecchio Mondo, dall'avvento, nel Neolitico, dell'agricoltura e l'urbanizzazione, fenomeni che più di ogni altro hanno contribuito a decimare l'ecosistema. Ma lo splendore che ha accolto i colonizzato in Nord America non era a sua volta che una lontana eco della sua condizione preistorica, durante la quale l'attività umana e i mutamenti climatici contribuirono al collasso della megafauna del Pleistocene.

Pubblicità

Darwin ha postulato che le specie competono tanto meno quanto meno sono legate; animali con un'anatomia simile, abitudini alimentari simili e che condividono lo stesso habitat hanno maggior possibilità di litigarsi le stesse risorse. L'ipotesi di Darwin si può apprezzare anche "studiando la diversità dei vari continenti," mi spiega Faurby.

"La megafauna del Sud America apparteneva a nove differenti ordini che spaziavano tra Carnivora (carnivori), a Cetartiodactyla (ungolati con un numero pari di dita, come il bestiame, cervi, cammelli, maiali, capre e pecore), a Perissodactyla (ungolati con un numero dispari di dita, come zebre, ippopotami e tapiri) e Proboscidea (parenti degli elefanti)", dice. "Questo è indice di un alto grado di biodiversità nel Sud America pre-umano, dove molti ordini di mammiferi potevano contendersi una ragione variegata senza competizione dannosa:"

Oggi, continua Faurby, "la megafauna africana appartiene 'solamente' a sei ordini distinti: Carnivora, Cetartiodactyla, Perissodactyla, Proboscidea, Tubulidentata (l'oritteropo) e primati. È possibile che questa diversità di ordini sia potenzialmente la causa della maggior varietà nel Nuovo Mondo."

È come ricostruire un puzzle di cui la maggior parte dei pezzi sono sepolti e persi per sempre.

In altre parole sopravvivono meno tipi di grandi mammiferi in Africa di quanti ce ne fossero in passato in Sud America, in parte a causa della competizione per le stesse, limitate, risorse nell'Africa moderna—limitata a causa dell'invasione umana, le modificazioni del territorio e, più direttamente, la caccia o il moderno bracconaggio.

Pubblicità

Lo studio del team di Faubry è interessante per il suo approccio audace nell'analizzare il reale costo della nostra ascesa evolutiva. Faurby sottolinea che "nessuno studio precedente ha stimato sistematicamente la distribuzione naturale di tutte le specie in grandi cladi [una clade è un gruppo tassonomico che include un antenato comune e tutti i suoi discendenti genetici, estinti o meno]," redendo il loro lavoro cruciale per stabilire un riferimento di fondo per orgnanizzare le moderne strategie di conservazione animale. È come ricostruire un puzzle di cui la maggior parte dei pezzi sono sepolti e persi per sempre, possiamo ricostruire solo in parte il mondo che nel tempo abbiamo trasformato violentemente.

Gli sforzi di reintroduzione di specie, soprattutto le più grandi, precedentemente scomparse da un dato ecosistema è una forma di graduale riparazione evolutiva dopo millenni di sfruttamento che hanno danneggiato così tanto il mondo. Quando organizzato da ricercatori illuminati è un modo per garantire una finestra, seppur piccola, in un mondo perduto [paleontological proof of where animals suitable for reintroduction can best reestablish themselves according to the buried bones of their ancestors.]

Una scoperta di particolare interesse è l'aumento della presenza di megafauna nelle regioni montane. "I rilievi più impervi possono offrire rifugio dall'uomo, sia in tempi preistorici che oggigiorno," stando allo studio. "I nostri risultati suggeriscono che la correlazione tra l'altitudine e la diversità biologica della megafauna terrestre sia di orgine ampiamente antropogenica."

Questo vecchio documentario della BBC getta un po' di luce della questione della varietà nella megafauna.

Per quanto le alci delle Montagne Rocciose o gli orsi bruni che popolano gli Urali possano sembrarci animali nel proprio habitat naturale entrambe le specie, in realtà, si sono evolute in pianura o nella taiga e sono state costrette a spostarsi in altura per via della pressione esercitata dall'azione umana. Al contrario tutte quelle specie che non sono state in grado di adattarsi (rapidamente) al numero senza precedenti di cacciatori si sono inesorabilmente estinte.

Ma producendo un'immagine credibile di come sarebbero le cose se l'umanità non si fosse evoluta come specie, gli autori hanno offerto ai conservazionisti più rigorosi un buon punto di partenza per iniziare a lavorare. Sapere quali specie animali sono andate perdute e dove abitassero possiamo plasmare gli sforzi di ringiovanire un mundo che, benché non più puramente "naturale", potrebbe almeno approssimare quell'eredità ecologica che gli uomini hanno distrutto tempo fa.