Il Kiribati potrebbe diventare la prima nazione a sparire a causa del cambiamento climatico.
L’arcipelago di 33 atolli situati nel Pacifico del Sud è infatti colpito con sempre maggiore frequenza da inondazioni e alte maree, tanto che gli abitanti temono che, nell’arco di una generazione, il mare inghiottirà completamente la loro terra.
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La situazione critica ha acceso i riflettori sull’ex presidente Anote Tong. Di fronte al rischio concreto della scomparsa del suo paese, Tong si è impegnato a ideare un piano per trasferire i 100.000 abitanti di Kiribati per “migrare con dignità”, invece di aspettare di diventare profughi da un giorno all’altro.
Per mettere in pratica la sua idea, Tong ha acquistato 2.500 ettari di terreno sull’isola di Fiji a uso esclusivo per i cittadini di Kiribati, proposto che ogni anno 75 abitanti si trasferiscano in Nuova Zelanda, e avanzato l’ipotesi che si possa sollevare uno degli atolli dell’arcipelago per contrastare l’innalzamento delle acque.
Tong non è più il presidente di Kiribati, ma non ha smesso di far sentire la propria voce a favore della protezione ambientale e della comunità più vulnerabili ai cambiamenti climatici.
VICE News l’ha intervistato per capire di più della sua visione per il futuro.
VICE News: Ci può raccontare di Kiribati, e di quale sarà l’impatto del cambiamento climatico per il paese?
Anone Tong: L’altitudine media del paese è di soli due metri sopra il livello del mare. Gli atolli sono formati da strisce di terra molto strette, senza nessuna montagna. Detto ciò, siamo sicuramente i più vulnerabili e in prima linea per lottare contro il cambiamento climatico.
Quali sono le conseguenze del cambiamento climatico sui cittadini di Kiribati?
Ci sono delle comunità che sono costrette ad abbandonare i propri paesi perché sono spariti: pensi che abbiamo una chiesa isolata in mezzo all’oceano perché la marea è troppo alta. Si vede ancora solo grazie alle barriere che ho chiesto agli abitanti di mettere come segno tangibile di quello che sta succedendo.
Mi trovavo in una di queste comunità quando un’ondata ha spezzato le barriere protettive. Non ci sono più stato, ma mi hanno detto che i raccolti sono stati distrutti, così come l’acquedotto. Penso proprio che quella gente sarà costretta a traslocare molto presto.
Quando si parla di inondazioni, solitamente pensiamo alle case distrutte e agli abitanti costretti a trasferirsi. Ma ci sono anche delle altre conseguenze?
Quando le onde svettano sulla terra succedono diverse cose. La principale è l’erosione, la quale comporta la distruzione delle proprietà. Poi, l’ondata devasta l’acquedotto grazie al quale estraiamo l’acqua potabile da sottoterra.
È così che sopravviviamo, non abbiamo fiumi. Quindi, quando questa viene distrutta, ci sono implicazioni dirette sulla salute della gente dato che sono costretti a bere acqua contaminata.
Si può ancora fare qualcosa per salvare Kiribati?
Penso di sì. Credo sia fattibile, ma ci dobbiamo domandare dove possiamo prendere le risorse per mettere in atto questo piano. Se avessi qualche miliardo di dollari, non ci sarebbero dubbi: potremmo fare qualcosa. Ho parlato delle isole galleggianti in passato, per esempio. Il fatto è – però – che noi dipendiamo dalla comunità internazionale, e questa è una delle soluzioni per cui sto spingendo.
Sono appena tornato dall’Europa dove ho provato a mettere pressione: se non facciamo niente siamo destinati a sparire.
Per quanto può ancora sopravvivere Kiribati?
Secondo le previsioni, altri 30 o 50 anni. Ma potrebbe succedere qualcosa anche prima.
Cosa intende con “migrare con dignità”?
Lo sappiamo già: dovremo fare i conti col fatto che alcuni di noi dovranno spostarsi. Sapendolo in anticipo, abbiamo deciso di agire: per questo ho creato questa definizione, perché ho sempre rifiutato l’etichetta – che ci avrebbero incollato addosso – di “profughi climatici.” Non vogliamo essere profughi, ha un’accezione quasi negativa.
Perché “profughi” dovrebbe essere un termine negativo?
Perché in qualche modo sarebbe umiliante. Potremmo pure aver perso le nostre case, ma non la nostra dignità, il nostro orgoglio. Se addestriamo i nostri concittadini, migreranno con dignità e merito, non scapperebbero da qualcosa: diventerebbero parte integrante delle loro nuove comunità, guidandole — persino, spero. Dobbiamo imparare da ciò che sta succedendo in Europa: non vogliamo entrare in paesi che ci vedono come un peso, e respinti.
Kiribati ha comprato dei terreni sulle Fiji: vuole portarci la sua gente?
Fiji è stato l’unico paese a farsi avanti: se Kiribati e Tuvalu dovessero avere bisogno di un posto dove mettere i loro cittadini in salvo, ci daranno una mano. Mi aspettavo un atteggiamento così, devo dire: è gente di cuore, compassionevole. È stato un gesto molto umano.
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