C’è stato un periodo in cui il krokodil veniva citato almeno una volta al giorno nelle conversazioni di ognuno. Era il 2011, il periodo dell’esplosione dei casi in Siberia, quando anche sulla stampa nostrana erano arrivati i titoli sulla “nuova droga 10 volte più potente dell’eroina,” le foto di braccia e gambe marcescenti e gli allarmi sull’imminente arrivo della sostanza in Europa. Poi il tutto è stato praticamente dimenticato.
Ma cosa è il krokodil? È desomorfina, un oppiaceo che si ottiene mischiando alla codeina altre sostanze come lo iodio, l’acido cloridrico e il fosforo ottenuto dai fiammiferi. Assunto, ha un effetto simile a quello dell’eroina—e infatti è una sorta di “eroina dei poveri”—che dura circa 30 minuti. Si tratta di una sostanza altamente tossica che ha effetti devastanti su reni, fegato e cuore. Chi ne fa uso (e solitamente la prepara artigianalmente) ha un’aspettativa di vita che va da uno a tre anni.
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Ma la cosa veramente spaventosa sono le ferite e le ulcere che causa nei tessuti intorno ai luoghi di iniezione, che sono anche ciò che ha reso famosa la sostanza. Se volete farvene un’idea, sul tema ci sono un reportage e un lungo documentario di VICE, entrambi dalla Siberia ed entrambi risalenti al 2011.
L’ultima volta che se n’è parlato in maniera estensiva in Italia, invece, è stato intorno al 2013. Le Iene hanno portato il tema alla conoscenza del grande pubblico in un servizio girato anch’esso in Siberia. Sembrava che la sostanza dovesse diffondersi a breve in tutta Europa—c’erano già notizie di casi in Germania, Norvegia e negli Stati Uniti.
Già all’epoca, Dario D’Ottavio—biochimico dell’Ospedale San Camillo di Roma ed ex consulente dei Nas—aveva fatto notare come il panico al riguardo fosse sostanzialmente infondato. “Credo che sia difficile vedere una fioritura ‘made in Italy’ di krokodil,” aveva detto in un’intervista. “E non solo per la difficoltà di procurarsi la codeina in Italia, ma più che altro perché, dati gli effetti devastanti che ha sul corpo, è la droga dei poveri. Chi ha la possibilità tende a procurarsi sostanze, magari più costose, come cocaina o eroina, ma che non uccidono nel breve periodo. Il krokodil va dunque collocato nel suo contesto, la Russia.”
Nel 2014 è poi uscita la notizia del primo sequestro in Italia, avvenuto a Padova, in cui era stato ritrovato “mezzo chilo di sostanza mischiato con barbiturici” detenuto da “un’insospettabile cameriera di un ristorante di lusso del centro storico.” Nel 2016, la sostanza è stata collegata al decesso di un uomo a Bari—nonostante i titoli dei giornali, però, le cronache non hanno mai riportato conferme degli esami tossicologici.
Anche in quelle occasioni, però, nessuno era davvero tornato a parlare di krokodil. Secondo Riccardo Gatti, direttore del Dipartimento Dipendenze dell’Agenzia Tutela Salute di Milano, è tornato ad affiorare come uno spettro o uno spauracchio ogni tanto, con segnalazioni di sostanze che “potrebbero essere krokodil.” “Ma personalmente ho dubbi,” mi ha spiegato Gatti. “Non mi risulta che ci siano state segnalazioni precise al riguardo e mi sembra strano che ci siano solo casi singoli.”
Inoltre, secondo Gatti, quando si parla di krokodil in Italia nella maggior parte dei casi ci si riferisce a lesioni che potrebbero essere imputate a questa sostanza, e non a una sostanza che è stata analizzata e si è stabilito essere effettivamente desomorfina.
Questa settimana si è tornati a parlarne e ancora una volta lo si è fatto in questo modo: in un reportage uscito il 6 marzo sul Corriere della Sera, un cronista ha seguito per due settimane la polizia a Milano nelle sue operazioni notturne, documentando arresti e sequestri di droga. A quanto pare avrebbe incontrando anche il krokodil, descrivendolo così nell’articolo:
“[un ragazzo romeno fermato dalla polizia] tira su i jeans, scoprendo il polpaccio sinistro: non è un livido, non è un taglio, ma una grossa ulcera rotonda, 6-7 centimetri di diametro, carne viva e infettata. ‘Eccone un altro. È quella porcheria russa,’ riflettono i poliziotti. La chiamano krokodil, è una droga devastante.”
L’articolo riporta le testimonianze degli agenti di ronda, secondo cui il krokodil sarebbe arrivato a Milano, anche se per ora “la diffusione sembra limitata ad alcuni tossicodipendenti in condizioni drammatiche.”
“Lavorando ne ho visto uno per caso, ma mi hanno detto che ce ne sono anche altri,” mi ha detto Gianni Santucci, giornalista del Corriere e autore dell’articolo, che ho contatto per farmi raccontare meglio la sua esperienza. “Sono tossicodipendenti in condizioni gravi, da ultimo stadio, che cominciano a mostrare queste ferite.”
Secondo Santucci, a Milano il krokodil si venderebbe nel famoso “bosco della droga” vicino alla stazione di Rogoredo, dove sarebbero stati fermati altri tossici con ferite simili.
Il “bosco della droga” di Rogoredo è la più grande piazza di spaccio di Milano. Secondo le stime di Andrea Travagin e Francesco Maineri, operatori dell’Unità Mobile di Strada per le tossicodipendenze—che lavorano da anni, diversi giorni alla settimana, nel bosco di Rogoredo occupandosi di riduzione del danno, distribuendo siringhe e stagnola e rispondendo alle domande dei consumatori—ci passano tra le 500 e le 700 persone al giorno, che arrivano da tutta la Lombardia.
“Rogoredo non solo è facilmente raggiungibile con diversi mezzi di trasporto, ma è anche in una zona poco trafficata,” ha spiegato Travagin a VICE News. “Si è cercato di spostare l’area di spaccio dal centro o dalle zone residenziali verso quelle più periferiche, in modo da dare alle persone la possibilità di consumare senza creare particolari intralci,” ha aggiunto Maineri.
Quando ho parlato con Gatti di questi ultimi sviluppi, mi ha detto che per ora non si può avere la certezza della diffusione del krokodil in Italia. “È vero, ci sono delle persone che hanno queste lesioni, anche se non sono persone che stiamo seguendo noi nei SerT. Sono lesioni che fanno pensare a quella sostanza ma che potrebbero essere anche dovute ad altro, come ad agenti tossici o infettanti che potrebbero avere inquinato una preparazione di eroina.”
Inoltre, mi ha detto, se il krokodil viene davvero spacciato lo consumerà ben più di qualche persona ogni tanto e dovrebbero esserci molti più casi di persone che si sono rivolte a un pronto soccorso per questo problema. Insomma dovremmo avere informazioni più precise—anche se in questo caso si tratta solo di una supposizione, perché “per chi usa queste sostanze curarsi non è nemmeno così automatico.”
Per concludere, “non possiamo dire che quella sostanza è krokodil senza che sia stata prima sequestrata e analizzata,” mi ha detto Gatti. Ma se i danni sono questi, che sia krokodil o altro la pericolosità è la stessa. “Se si chiama in un altro modo ma fa male uguale, il problema resta.”
Anche perché il problema non è tanto il krokodil, quanto un fenomeno più vasto: il “ritorno” dell’eroina—che in realtà non è affatto un ritorno, ma solo il riemergere in piena luce di un fenomeno rimasto a lungo nascosto.
“Veniamo da anni in cui si faceva molta fatica a trovare piazze [di spaccio],” ha spiegato a VICE News Cristiano Bregamo, coordinatore del progetto di Unità di strada della cooperativa Lotta all’Emarginazione. “La distribuzione era nascosta, avveniva soprattutto nelle case. Ora invece c’è una piazza molto grande [Rogoredo] e abbiamo tante persone con cui lavorare.”
Anche Gatti ha sottolineato questo cambiamento, che secondo lui dovrebbe essere la cosa più preoccupante. “Perché una situazione che prima era sotto traccia è ritornata a cielo aperto? Per agganciare nuovi clienti e far sapere che c’è.” Il cliente abituale sa dove andare, ma il nuovo cliente no. Se tu crei una grande piazza di spaccio a cielo aperto e vendi droga sottocosto riesci ad arrivare a nuovi clienti.
Notizie come quella dell’eroina venduta sottocosto a 2-5 euro a dose, quella del sequestro di 2000 pasticche di ossicodone vendute davanti a una scuola o dei sequestri di shaboo in posti lontani dalle tradizionali aree di spaccio di Milano, insomma, fanno meno rumore dei titoli sull’arrivo del krokodil in Italia, ma sono potenzialmente molto più pericolose.
“Tutte queste cose mi fanno pensare a un mercato che diventa aggressivo, a una strategia precisa,” mi ha spiegato. “E se questa strategia funziona si viene a creare un nodo commerciale e di vendita in grado di condizionare un paio di generazioni su questi consumi, è questa la cosa più pericolosa.”
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