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I blog pro-anoressia in Italia continuano a crescere, ma non sono il vero problema

Secondo i risultati del progetto multidisciplinare ANAMIA, le proposte di legge per chiudere i siti gestiti da ragazze anoressiche si basano su assunti sbagliati. Anzi, la condivisione su internet può rappresentare il primo passo verso la guarigione.

Screenshot via Tumblr.

Non so se avete mai visto questa schermata: esce su Tumblr quando cercate parole come anoressia, skinny, thinspiration, autolesionismo. Se ci passate attraverso arrivate alle pagine pro-anoressia e pro-bulimia, dove (soprattutto) ragazze spesso molto giovani, dall'età compresa tra i 14 e i 22 anni, condividono diete, consigli per digiunare o per non pensare al cibo e foto dei loro "progressi" verso la magrezza. Oltre ai Tumblr, ci sono anche altri blog dove le ragazze tengono veri e propri diari e aprono chat in cui si incitano a vicenda a non mangiare.

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Il tentativo di censurare questi siti pro-ana e pro-mia è in atto sia in Italia che all'estero da diversi anni, e in parte rientra in quella volontà di "fare qualcosa" che coglie i legislatori ogni volta che si trovano a voler risolvere tout court problemi complessi e per buona parte individuali e psicologici. Michela Marzano del PD, per esempio, lavora da tempo a una proposta di legge che preveda l'introduzione del reato di "Istigazione a pratiche alimentari idonee a provocare l'anoressia, la bulimia o altri disturbi del comportamento alimentare." Secondo il Disegno di legge #231 gli amministratori dei siti "pro-Ana" e "pro-Mia" eserciterebbero sugli utenti un potere psicologico tale da essere in parte responsabili delle loro condizioni, e per questo sarebbero punibili con un massimo di due anni di reclusione.

La verità, però, è che la questione non si esaurisce in un Tumblr che posta frasi come "non mangiare, o i sensi di colpa mangeranno te": di norma una persona non diventa anoressica in primo luogo ed esclusivamente per i modelli estetici che la circondano, ma come manifestazione di problemi psicologici profondi.

E per quanto la thinspiration possa impressionare l'utente medio del 2015 (ma a inizio anni Duemila era Kate Moss il nostro modello di fisico perfetto, non Beyoncé), con ogni probabilità chiudere questi siti non risolverebbe affatto il problema. Anzi, farebbe solo danni. È quanto sostengono i ricercatori del progetto multidisciplinare ANAMIA, che dal 2010 al 2013 hanno indagato le dinamiche dietro i blog pro-ana/mia di vari paesi. Il progetto, finanziato dalla Agence Nationale de la Recherce francese, è stato gestito da un team internazionale che ha preso in considerazione soprattutto siti in lingua inglese e francese—ma i risultati della ricerca sono estendibili anche alla situazione italiana. E secondo questi risultati, i siti e i social network cosiddetti pro-ana e pro-mia non sarebbero da censurare, ma rappresenterebbero uno strumento di condivisione e, infine, supporto per chi li frequenta.

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"Volevamo capire che cosa succede su questi siti, da chi vengono frequentati e quale sia il loro reale utilizzo," ci ha spiegato Paola Tubaro, docente all'Università di Greenwich e una delle coordinatrici del progetto. "Ci interessava soprattutto il contesto sociale degli utenti, dato che è provato che i disturbi alimentari portano spesso alla desocializzazione. Volevamo capire se internet, grazie all'anonimato, rappresentasse un modo per ricominciare ad avere una vita sociale." E la risposta è sì.

Screenshot via Tumblr.

Innegabilmente i contenuti negativi ci sono, e leggere il decalogo della dea Ana o i racconti dettagliati delle pratiche di digiuno o "purga" non può non lasciarti un profondo disagio. Ma quando qualche tempo fa avevamo iniziato a sondare i siti pro-ana italiani e mi ero iscritta a una chat in cui le ragazze si sostenevano a vicenda nella lotta ai supposti chili di troppo, non mi sono imbattuta solo in quel tipo di contenuti. È vero, sono durata solo qualche giorno perché mi sentivo una merda a fingere problemi morali che non avevo nell'inghiottire calorie, ma in quel caso ciò che ho trovato era, per quanto creepy, un luogo di condivisione.

"Essendo create dalle persone malate stesse, queste piattaforme rappresentano un luogo di solidarietà e di sostegno reciproco," dice Tubaro in proposito. "Abbiamo anche raccolto testimonianze di amministratrici che si sono attivate in prima persona a contattare la famiglia, o il pronto soccorso in casi più estremi, nel momento in cui si erano rese conto che un partecipante non stava bene."

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In tal senso, i siti sarebbero anche, secondo i ricercatori, strumenti di guarigione, che aiutano le persone a prendere coscienza dei loro problemi e delle conseguenze negative. Non solo, attraverso il confronto con le esperienze delle altre ragazze le utenti possono raccogliere informazioni sui servizi a cui rivolgersi. "Le persone affette da disturbi alimentari in un primo momento si rendono conto di avere un problema, ma spesso non riescono a capire di cosa si tratta," dice Tubaro, riferendosi alla difficoltà di diagnosticare in uno stadio iniziale patologie che sono sia psicologiche sia fisiche. "All'inizio c'è una certa reticenza a farsi curare, ma, una volta presa consapevolezza che un problema esiste, le testimonianze di coloro che sono stati in terapia precedentemente—cosa offrono i diversi centri, i risultati dei diversi trattamenti, i consigli dei medici—sono utili per sapere cosa fare concretamente, come intervenire."

In pratica, Internet e i social network sono i luoghi in cui le persone con disturbi alimentari, che tendono a chiudersi in se stesse e non riuscire a vedersi con gli occhi degli altri, possono ricominciare a relazionarsi allo sguardo esterno—cercando prima i propri simili e poi, come nella recente storia della ragazza danese che posta una foto al giorno di lei che ricomincia a prendere peso, anche di quelle persone "normali" la cui opinione in merito era stata scartata a priori fino a poco tempo prima. Le frasi più usate sui siti pro-ana italiani sono "sola in questa battaglia", "rifiutata da tutti."

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Eppure è proprio su alcuni Tumblr che sembra anche di assistere a una presa di coscienza, a un cambiamento:

Screenshot via Tumblr.

Da un punto di vista esterno, poi, spesso questi siti offrono un insight nei problemi soggiacenti all'anoressia—primo di tutti, e il più evidente dai post sui vari blog e Tumblr, la depressione.

Nella maggior parte dei casi i siti pro-ana e pro-mia sono creati da persone malate per se stesse e per altre persone malate—e sono queste che secondo i risultati della ricerca verrebbero danneggiate maggiormente dalla censura. Ma c'è anche una questione pratica dietro le richiesta del team di ANAMIA di non oscurare i siti: questi non chiuderebbero, ma diverrebbero solo più difficili da rintracciare—magari trasferiti nel deep web. "Già nei primi anni Duemila negli Stati Uniti c'erano stati diversi tentativi di censurare questi siti, e oggi, nel 2015, ancora ne stiamo parlando," spiega Tubaro. "Chiuderli significherebbe solo farli spostare in paesi in cui si parlano lingue diverse dall'inglese, in cui spesso c'è meno regolamentazione e assistenza."

Sono infatti proprio questi siti che i ricercatori stanno pensando di usare per mettere in contatto professionisti della salute, medici, psicologi e linee di aiuto con le persone affette da disturbi alimentari—e affinché si possa iniziare una campagna di informazione e di supporto sul web, è necessario che i siti restino ben visibili. "In questo modo associazioni e servizi medici, utilizzando i loro stessi mezzi, potrebbero dare supporto, consiglio e informazione," dice Tubaro. Un po' come fa la sopracitata schermata che compare su Tumblr quando provate a cercare Thinspiration, i servizi in questione si rivolgerebbero a chi non è ancora in una situazione critica. In Francia e Inghilterra servizi di questo tipo esistono già, e i ricercatori pensano che potrebbero dimostrarsi utili anche in Italia.

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In tutto ciò, il punto che le proposte governative non affrontano e che andrebbe invece messo in cima alla lista è quello di fornire effettivamente un'informazione e un aiuto alle pazienti con disturbi alimentari, due elementi auspicati dagli stessi ricercatori. E finché non ci saranno, la cosa più importante da fare è educare i medici al riconoscimento di sintomi spesso spiazzanti ("se l'anoressia è più riconoscibile, la bulimia non implica una grave perdita di peso ed è più complicata da diagnosticare," commenta Tubaro).

In Italia ci sono alcune strutture buone nel caso l'ospedalizzazione si faccia necessaria, per esempio in Emilia Romagna e Lombardia—"in generale," fa notare la ricercatrice, "credo che ci sia come al solito un problema di disparità tra le regioni." Un altro problema che resta da affrontare è invece quello di assistere il paziente durante tutto il lungo periodo di guarigione. "Molti hanno testimoniato che, anche in paesi in cui i servizi medici e i reparti specializzati funzionano molto bene, una volta usciti dall'ospedale l'assistenza è carente," ci ha detto Tubaro. "Il processo di guarigione da queste malattie è molto lungo e, a meno che le condizioni fisiche non siano molto gravi, è difficile avere accesso a cure e terapie."

Non so se siete mai stati in una di queste strutture; io ci sono stata tanto tempo fa per accompagnare una persona cara. E se io ne sono rimasta impressionata, lei mi ha detto che nel secondo in cui ci metti piede capisci che sei malata e che piuttosto che stare lì dentro non vuoi essere più malata. Una volta giunti a quel punto però non è facile guarire—ironia della sorte, in una malattia che insorge per esercizio estremo di volontà e autocontrollo, tornare indietro può non essere altrettanto "facile".

Per non arrivare al "punto di non ritorno", i ricercatori dicono che la cosa migliore da fare sia parlarne. Lasciare che le ragazze ne parlino, e magari instaurare un dialogo attraverso gli strumenti che loro stesse usano, anche se non è l'ipotesi puritana e pulita che tutti vorremmo.

Intervista realizzata da Lucilla Ines Martorana

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