salute

Quando ho detto ai miei genitori che ho subito una violenza sessuale

"Quando ho usato la parola 'abuso,' mia madre è scoppiata in lacrime."
Giacomo Stefanini
traduzione di Giacomo Stefanini
Milan, IT
donna in piedi davanti a gruppo di persone
Illustrazione di Titia Hoogendoorn.

Quando subisci un abuso sessuale, prendere la decisione di dirlo alla polizia, al proprio medico o a uno psicologo può essere molto difficile. Raccontare l'accaduto a chiunque può sembrare troppo, impossibile da affrontare, ma spesso la cosa più dura di tutte è condividere la verità con le persone più vicine, specialmente quando si tratta di una circostanza in cui è molto comune provare vergogna, senso di colpa e paura.

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Abbiamo chiesto a Eva, Daan e Franka* di raccontarci come è stato per loro.

Attenzione: l'articolo contiene dettagli circa episodi di violenze sessuali.

Daan (22 anni)

Ho subito un abuso da parte di una persona che lavorava con me quando avevo 20 anni, dopo una cena a casa sua. Mi sentivo a mio agio con lui, per questo ero ancora più confuso dopo che è successo. Suonerà strano, ma fino al giorno dopo non ho capito pienamente cosa fosse successo né ho compreso la gravità della cosa.

Non ho trovato il coraggio di dirlo ai miei se non mesi dopo. Sentivo di doverlo fare; era un episodio molto grave della mia vita e dovevo condividerlo con loro. Ero seduto nel loro salotto, terribilmente nervoso. Si sentiva dalla mia voce. "Devo dirvi una cosa," ho balbettato. Hanno capito subito che si trattava di qualcosa di brutto. Quando ho usato la parola "abuso," mia madre è scoppiata in lacrime.

Mio padre era furioso. Non verso di me, ma verso la situazione. Ha urlato che dovevo andare alla polizia, e che non potevo lasciar correre. Era come se volesse salire in macchina e andare a pestare il mio collega. Nel frattempo, io non volevo sporgere denuncia—non avevo le energie per farlo. Volevo solo lasciarmi tutto alle spalle e andare avanti con la mia vita.

Ma più restavo lì seduto, più mi rifugiato dentro me stesso. Mi sono chiuso completamente e ho sentito un senso di disgusto montarmi dentro, mentre rivedevo ciò che mi era successo. Rivelare l'abuso è stata la cosa più difficile. Oltre a quello, mi sono sentito anche estremamente in imbarazzo davanti ai miei genitori. Mi sono sentito come se avessi dovuto essere più furbo, come se avessi potuto impedire che accadesse.

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Di tanto in tanto, qualcuno dei miei amici che sa cosa è accaduto mi fa domande difficili, per quanto mosse da buone intenzioni. Le persone vogliono sapere esattamente cosa è successo e per me è terribile. Ogni volta che ne parlo è come riviverlo, esattamente come quando l'ho raccontato ai miei genitori; alla mia ragazza dell'epoca, invece, l'ho detto sei settimane dopo.

Ho cercato l'aiuto di un professionista per alleggerire l'impatto di quei flashback e ho finito per fare sia terapia fisica che psicologica. Grazie alla terapia di EMDR (Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari), un metodo specialistico per processare eventi traumatici, ho imparato a gestire le immagini che continuano a spuntare nel mio cervello. A parte quello, ho fatto terapia per ricostruire il mio rapporto con la mia sessualità. Mi ha aiutato tantissimo, ma l'abuso sarà sempre parte di me. Ecco perché lo racconto ancora alle persone che incontro, talvolta, ma solo se mi sento al sicuro con loro. Parlandone, l'abuso può smettere di essere un segreto enorme che bisogna sopportare da soli. Aiuta a elaborarlo.

I miei genitori non ne hanno più parlato, anche se da quella conversazione, mio padre mi chiede sempre "Starai attento?". Mi guardano in modo diverso, come se non potessi essere responsabile della mia stessa incolumità. Il che aggiunge un po' la beffa al danno. Ma parlarne con la mia ragazza all'epoca è stato un sollievo enorme. Per cui è davvero importante capire con chi parlarne, se si è pronti a farlo.

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Franka* (27 anni)

Quando avevo sette anni, il mio fratellastro più grande mi costringeva a praticare degli atti sessuali su di lui. Per esempio, mi ha costretto a masturbarlo con i guanti di plastica. Lo chiamava "giocare al dottore."

Nonostante non mi abbia mai detto di stare zitta, sapevo che era qualcosa che non volevo raccontare a nessuno. L'abuso era il mio segreto. Mi sono promessa che l'avrei tenuto segreto fino alla tomba, perché sapevo che parlarne avrebbe distrutto la mia famiglia.

Ma mentre pensavo che i miei genitori non avessero mai notato niente, loro pensavano che non mi ricordassi più nulla. Abbiamo passato anni a girarci intorno, spinti da questo bizzarro fraintendimento. Finché mia mamma non ha chiesto in modo del tutto casuale alla persona con cui stavo, "Sai di Franka e del suo fratellastro?" Era il suo modo per cercare di capire se mi ricordassi dell'accaduto. Quando ho sentito della domanda, sapevo che non potevo più tenerlo segreto. Avevo il terrore costante che l'avrebbe tirata fuori di nuovo in quel modo.

Un giorno, mentre eravamo in macchina insieme, mia madre ha accostato e detto, "Non ho mai saputo se ti ricordassi qualcosa o no." Quella è stata la fine definitiva del mio segreto. Mi sono irrigidita, ancora terrorizzata di aprire quel vaso di Pandora. Il respiro si è fatto velocissimo e la mascella si è bloccata. Ho detto che sì, mi ricordavo, e mi sono chiesta quanto avrei dovuto scendere in dettaglio. Ma mia madre mi ha chiesto diretta cosa fosse successo, quanto spesso, quando, e se succedeva quando loro erano in casa o fuori. Credo che questo, per lei, sia stato un modo per capire se avrebbe potuto impedirlo. Contro la volontà del mio intero corpo, ho risposto a tutto. È rimasta in silenzio ad ascoltarmi.

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"Abbiamo sbagliato qualcosa?" ha chiesto. Ho sentito un tremito nella sua voce e ho notato che stava piangendo. Vedevo che si sentiva in colpa, ma anche quanto era arrabbiata con il figliastro.

Dopo essere rimaste sedute in macchina per 30 minuti, per me era tutto finito. Le ho detto "Non voglio che ti senti in colpa." Mi chiedo se ci abbia creduto. Mia madre mi ha dato uno di quegli abbracci impacciati che ti dai in macchina, quando sei incastrato tra i sedili.

Per quanto mia madre fosse stata dolce e comprensiva, ho iniziato ad avere dei flashback ricorrenti—il passato, tutto a un tratto, era molto vicino al presente. Quando sentivo odore di lattice, o vedevo un bambino in braccio a un adulto, tornava tutto a ribollire in superficie. Volevo combattere il senso di impotenza che sentivo durante i flashback o, anzi, affrontarlo. Così ho deciso di parlare con il mio fratellastro degli abusi.

La sua risposta non è stata quella che speravo—si è atteggiato in modo distaccato e non sembrava molto dispiaciuto. Però ho sentito lo stesso un peso sollevarsi. Sono felice ora di poter vivere la mia vita senza segreti.

Eva (26 anni)

Quando avevo 19 anni, durante un viaggio zaino in spalla in Australia, io e la mia migliore amica ci siamo separate per una notte a Sydney. Un DJ del locale in cui mi trovavo si è offerto di portarmi a casa. Quando in macchina lui ha chiuso le porte con la sicura, ho capito che ero nei guai. Un'ora e mezza dopo sono uscita dalla macchina, completamente disorientata.

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Il mio primo impulso è stato chiamare mia madre, ma non potevo dirle esattamente cosa era successo. Poteva sentire che ero agitata, però. Avevamo un parente a Sydney e mia madre ha suggerito che andassi a casa sua.

Il giorno dopo mi sono ricongiunta con l'amica che avevo perso di vista la sera prima. Ero ancora sotto shock e riuscivo solo a ripetere "mi ha fatto qualcosa," come una specie di piccolo uccellino ferito. Ero incredibilmente arrabbiata con lei, mi aveva lasciata sola. Le ho urlato addosso di tutto dicendo che non volevo più rivederla. Ma quello che volevo, in realtà, era che mi stesse vicino.

Qualche giorno dopo, quando ho iniziato a capire cosa era successo davvero, ho deciso di mandare una mail a mia sorella. Era un messaggio profondamente emotivo—ho raccontato nel dettaglio cosa fosse successo. Ma non volevo che si preoccupasse, così ho chiuso la mail scrivendo, "andrà tutto bene, non ti preoccupare per me."

Mia sorella ha chiamato immediatamente i miei genitori e loro hanno cercato di contattarmi, ma non volevo parlarne. Nei mesi successivi mi sono sentita terribilmente sola in Australia.

Lo stupro ha davvero messo alla prova i miei genitori. Alle volte parliamo dell'argomento in sé, ma non discutiamo mai precisamente di ciò che è successo a me. Mi hanno aiutato in molti modi pratici, come trovarmi uno psicologo, e siamo molto uniti e ci vediamo spesso. Ecco perché alle volte mi chiedo perché non abbiamo ancora affrontato sul serio l'argomento. Ma credo che sia semplicemente troppo doloroso per loro.

Quello che ho passato mi ha cambiata. Lo capisco dal modo in cui penso alle cose ora, o al modo in cui guardo gli uomini. Non mi fido facilmente come una volta. È diventato parte di chi sono, e non posso restare in silenzio.

*Il nome è stato cambiato.