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salute mentale

Perché pulire casa fa sentire alcuni molto meno ansiosi?

Perché alcuni si rilassano mentre puliscono? L'ordine aiuta a "guarire" i problemi di salute mentale? Può esserne la causa? Ne abbiamo parlato con una esperta.
Vincenzo Ligresti
Milan, IT
pulizia ordine

Mantenere linda e ordinata la propria casa è un atto di cortesia nei confronti di se stessi. Si tratta di un'affermazione in generale difficilmente confutabile e che per certe persone è una sorta di mantra. Soprattutto per chi, mettendo a posto la dispensa, in ordine di altezza i libri o passando accuratamente negli angoli l’aspirapolvere, si rilassa terribilmente.

È qualcosa di cui, sinceramente, non mi capacito: per me le attività casalinghe sono così poco allettanti, che se non fossero un male necessario le eviterei volentieri. Eppure, con tutta questo hype sul metodo Marie Kondo, culminato con la serie Netflix che ne è venuta fuori, sembra che l’interesse per ordine e pulizia abbracci un’ampia fetta di interessati.

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Il metodo di Marie Kondo, o Konmari, è facilmente sintetizzabile in queste due concetti: 1. Ordine e pulizia ti fanno stare bene. 2. Getta tutti gli oggetti che non ti rendono felice, ma ringraziali prima. Se un oggetto non ti rende felice, ma è di prima necessità—tipo un detersivo—abbelliscilo. Se magari vuoi gettare un peluche, prima di gettarlo, bendalo—se ti sembra che abbia un’anima.

Per quanto il tutto possa sembrare molto affascinante, a prescindere dal singolo metodo, la questione è molto più ampia. Per esempio: perché la mia collega di scrivania ogni tot ore sente la necessità di riordinarla? Come mai certe persone si propongono di lavare i piatti perché “tanto li rilassa”? Perché a me non succede?

Laura Guaglio, psicologa e psicoterapeuta, mi spiega che il piacere nelle attività domestiche è molto diffuso perché è legato con un filo rosso alla nostra mente. Il riordino inteso come momento per se stessi è notoriamente un “concetto ripreso dalla saggezza orientale, secondo cui aiuta ad aumentare la chiarezza interiore, la concentrazione e ci fa sentire meglio.” (Per questo il fatto che Marie Kondo sia giapponese avrebbe inciso molto sul suo successo nei paesi occidentali.)

In sostanza, nella vita di ogni giorno si accumulano pensieri, preoccupazioni e assilli: tutti elementi che ci spingono a sentire la necessità di trovare dei momenti per metabolizzarli e cercare delle risoluzioni, ma tenendoci occupati. E riassettare casa può essere uno di quei momenti, grazie alla sua forte valenza metaforica. “Le condizioni dell’ambiente in cui viviamo riflettono lo stato della nostra mente, e metaforicamente riordinare e pulire casa permettono spesso di compiere lo stesso lavoro coi nostri pensieri,” spiega Guaglio. “E farlo di volta in volta, con una certa costanza, aiuta a pensare di avere la situazione sotto controllo.”

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Se invece si è pigri o tendenzialmente procrastinatori di natura è probabile che i lavori domestici (così come i pensieri) si cumuleranno e si proverà sempre più ansia all’idea di cominciarli e molto fastidio nello svolgerli. “Immagina di lasciare il bucato per giorni senza stenderlo, così come di rimandare decisioni,” continua Guaglio. “I panni e i pensieri rimarranno comunque lì, puzzeranno, ti provocheranno disagio, ti infastidiranno a tal punto da toglierti in seguito le energie per dedicarti ad altri impegni.”

Questo non significa che bisogna mantenere sempre la casa immacolata o che essere di base un po' disordinati sia necessariamente un male. “Come dimostrano alcuni studi, il disordine per alcuni è un aiuto a essere più creativi: ma si tratterà del proprio disordine, paradossalmente di un ordine nel proprio disordine,” continua Guaglio. “Se reiterato e incontrollato, invece, il disordine può essere un indicatore che può portare a ipotizzare un disagio più grande—disturbi dell'attenzione, depressione. Non è certo sufficiente per una diagnosi, ma può essere un sintomo che può aiutare a chiedersi se sia il caso di chieder aiuto a un esperto.”

Ma il rapporto con le attività domestiche o gli oggetti può essere anche il fulcro su cui ruota un disturbo ossessivo-compulsivo. “A un estremo troviamo gli washer, le persone ossessionate con la pulizia, i germi, che puliscono sul pulito, continuano a lavarsi in continuazione creandosi delle lesioni alle mani,” chiarisce Guaglio. “All’altro estremo invece troviamo il fenomeno del clutter, la tendenza ad accumulare oggetti superflui, anche se sapremo che non li useremo mai, e a stiparli in ogni angolo della casa. In questo caso è bene affidarsi al clutter clearing, ovvero alla ‘rimozione del disordine’, il coraggio di eliminare ciò che non ti serve, e grazie al quale si riesce a fare pulizia non solo nell’ambiente fisico ma anche all’interno della nostra mente.”

Al di là di casi particolari, però, secondo Guaglio, la virtù in generale starebbe sempre nella via di mezzo: “per far sì che le pulizie e un riordino moderato diventino routine, o un rituale positivo, si può iniziare poco a poco, in maniera anche blanda, magari accompagnandosi con qualcosa che ci intrattenga—della musica, la radio, un podcast—o chiamando qualcuno che ci aiuti.”

Questo perché, secondo l’esperta, “se mentre si effettuano le pulizie le reazioni possono essere diverse, il risultato è il medesimo per tutti: in qualunque caso un ambiente tendenzialmente ordinato e pulito aiuta il benessere di chiunque.” E se proprio non riusciamo a mantenere la soglia di decenza in tutta la casa, è sempre utile ritagliarsi, come dice anche Kondo, un power spot personale, “un proprio angolino di tranquillità, in cui ci sentiamo sicuri e tranquilli e possiamo ricaricare le nostre energie.”

In effetti, tutto questo vorrei confermarlo: nonostante non sia proprio una persona ordinata, quando il mio bugigattolo non è un porcile mi sento un po' una persona migliore.

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