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Ancora un terzo dei detenuti italiani è in carcere per reati connessi alla droga

A oltre due anni dall’abolizione della Fini-Giovanardi, un terzo dei detenuti italiani si trova in carcere per reati connessi all'uso e alla vendita di droga.
[Foto via Fernanda Armijo/Flickr]

La guerra alla droga continua a riempire le carceri italiane. Anche nel 2015 un detenuto su quattro è finito dietro le sbarre perché condannato o accusato di produrre, vendere o detenere sostanze proibite.

Il dato emerge dal 7° Libro Bianco sulla Legge sulle Droghe, presentato oggi da un gruppo di Associazioni Onlus: Società della Ragione, Forum Droghe, Antigone e Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza.

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Sulla popolazione carceraria totale, al 31 dicembre 2015, 16.712 persone erano detenute per reati legati dell'art. 73 del Testo unico sulle sostanze stupefacenti. Si tratta del 32,03 per cento del totale: un detenuto su tre, quindi, è imputato/condannato sulla base di quell'articolo della legislazione sulle droghe.

Tuttavia, la tendenza è in netta diminuzione: tra il 2008 e il 2015, infatti, il numero di ingressi in carcere per il reato di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti (art. 73 della legge sulla droghe) è diminuito del 57,44 per cento.

Secondo gli autori dello studio, comunque, una linea sottile continua a collegare le politiche antidroga e le presenze nelle carceri, dando vita al sovraffollamento di cui continuano a soffrire - sebbene in maniera più lieve rispetto a cinque anni fa - i penitenziari italiani.

"La legge sulla droga 'guida' i processi di carcerizzazione in Italia," si legge nel report, "quando la tendenza è all'incremento, è la legge sulla droga che guida la volata; quando la tendenza è al decremento, è sempre la legge sulla droga che mette il freno."

Detenuti entrati in carcere per art. 73 vs qualsiasi reato

La lenta discesa degli incarcerati per droga sembra essere dovuta a diversi fattori, tra cui spiccano l'abolizione della restrittiva legge Fini-Giovanardi e la condanna subita dall'Italia in sede europea per il "trattamento inumano" dei detenuti.

Sono passati più di due anni da quando, il 12 febbraio 2014, la Corte Costituzionale ha stabilito l'illegittimità della legge Fini-Giovanardi, che nel 2005 aveva eliminato la distinzione tra droghe leggere e pesanti. Secondo numerosi osservatori ed esperti di materia, è stata proprio questa norma a contribuire notevolmente al sovraffollamento delle carceri.

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Oggi, in seguito alla sua abolizione, a regolare l'uso e il possesso di sostanze stupefacenti è la legge Iervolino-Vassalli del 1990, a cui si aggiungono alcune modifiche - tra cui la differenziazione tra marijuana e hashish e droghe pesanti - introdotte con un decreto legge del 2014.

Leggi anche: Cosa succederebbe in Italia se fossero depenalizzate tutte le droghe

Per quanto riguarda i controlli, la cannabis rimane la sostanze presa maggiormente di mira. Nel 2015 poco meno della metà delle operazioni antidroga hanno colpito i cannabinoidi, e i suoi derivati, nonostante queste siano le sostanze notoriamente meno nocive e su cui la criminalità organizzata detiene una minore influenza.

Secondo i dati resi noti a inizio mese dal Ministero dell'Interno, nel 2015 sono state sequestrate 67 tonnellate di hashish e nove di marijuana. La seconda sostanza maggiormente interessata dalle attività di contrasto è la cocaina, con poco più di quattro tonnellate sequestrate.

Operazioni di polizia divise per sostanza (%)

Il Libro Bianco fa notare anche il paradosso italiano per cui "si rischia di meno acquistando dal mercato illegale che coltivando una piantina di marijuana in casa per soddisfare il proprio fabbisogno personale."

Infatti, mentre la detenzione, l'importazione e l'acquisto di marijuana sono considerate propedeutiche al consumo personale, la coltivazione anche di un'unica piantina rimane un reato.

Il 'produttore' può spesso non essere condannato alla fine, ma sarà sempre costretto a sostenere un processo penale e dimostrare che la coltivazione era esclusivamente per uso proprio.


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Foto in apertura di Fernanda Armijo su Flickr in Creative Commons