Quest’estate, come forse qualcuno di voi già sa, sono stato un mese intero in Campania, durante il mio TonnoinTour, il mio couchsurfing culinario estivo di cui vi invito a leggere qualcosa qui.Oltre a mangiare solo qualche fritto, ovviamente tra gli strati di adipe che, come gli anelli di un oscuro pianeta, circondano il mio girovita, c’è stato dell’altro, molto altro.
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Non mi addentro in inutili preamboli, dico solo che fare couchsurfing essendo guidato da chi vive la quotidianità dei luoghi in cui ho messo piede mi ha facilitato nel riuscire a scovare piatti tipici e prodotti della tradizione campana che altrimenti non avrei assaggiato. Quindi veramente tanti hip-hip-urrà a tutte le anime pie che durante il mese di agosto mi hanno fatto ingozzare come un’anatra.Durante una cena con più portate a base di baccalà, lo chef Antonio Giordano della Locanda San Cipriano di Atena Lucana (SA) mi schiaffa davanti il muso trippa di baccalà con fagioli di Controne, un piccolo paese di meno di mille abitanti in provincia di Salerno.
Fagioli di Controne ad Atena Lucana
I legumi, bianchi e minuti, sono Presidio Slow Food, hanno una tenuta eccellente in cottura e il sapore delicato è il matrimonio perfetto con la trippa di baccalà, leggermente callosa e morbida alla masticazione.In una sera, ancora in precaria fase digestiva dopo un pranzo tardivo a base di fritto non proprio agevole, a bombardarmi di cosebbelle ci pensa l’agrichef Geppino Croce che mi ha ospitato a Bellosguardo, ottocento anime arroccate su una collina a circa 600 metri sul livello del mare. Dalla cucina della sua Tenuta Nonno Luigi Geppino fa uscire in rassegna, senza darmi un briciolo di tregua: montanara di pasta cresciuta fatta con la ricetta di sua nonna, la Faura che sarebbe una sorta di torta pasqualina ripiena di uova e formaggio che durante la cottura fa una crepa al centro – ricorda un po’ il casatiello, quindi non è una faccenda dietetica neanche da lontano – i ruospi che sono delle zeppoline fritte dalla forma un po’ deforme (da qui l’accostamento col rospo che gode di pessima fama estetica), o’ muzzic, verdura selvatica, prettamente cicoria, saltata in padella con pezzetti di pane raffermo.
Faura e Mulignane cu a ciucculata a Bellosguardo
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Tutta roba che sottolinea le radici povere della cucina del luogo, che poi è una costante di tutta la cucina regionale italiana. E ancora Mulignana mbuttunata ripiena con pangrattato, formaggio e una bella bottarella di salsa di pomodoro e degli spaghettoni su fonduta di caciocavallo podolico, fiori di zucca, salsiccia e scaglie di scorzone bianco. Burp!Infine c’è anche il dessert, le Mulignane cu a ciucculata, dolce tipico della Costiera Amalfitana fatta con melanzane fritte ricoperte di cioccolata aromatizzata con scorzette di agrumi e una spolverata di mandorle tritate. Il matrimonio tra il sapore delicato delle melanzane private della buccia e quello agrumato e lievemente alcolico della cioccolata è una piacevole sorpresa per il mio palato curioso come un delfino.
Panino con la Milza a Salerno
A Salerno la milza, che si chiama meveza, è prima soffritta e poi marinata in abbondante aceto condito da spicchi d’aglio, prezzemolo e peperoncino. Il taglio è parecchio spesso, un centimetro abbondante. A Palermo è tutto diverso, la milza già sbianchita si rosola con la sugna insieme a trachea tritata e polmone e il panino è condito con caciocavallo e succo di limone nella versione completa o maritata. Lo ammetto, raramente mollo qualcosa a metà ma la versione salernitana va oltre l’hardcore. Il taglio spesso della milza innalza il sapore di sangue caratteristico dell’organo a cui si somma l’acidità furibonda della marinatura spinta dal piccante del peperoncino. Dopo quattro morsi sono costretto ad abbandonare il panino, mi sento sconfitto, ho un calo di autostima condito da un accesso di nausea. Sventolo un fazzoletto bianco unto in segno di resa. Chiedo scusa a tutti.
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lo stato brado, una sfumatura che difficilmente si trova anche nei migliori prodotti artigianali.Per riprendermi da questa desolante débâcle me la svigno a Eboli. Le battute sulla fermata di Cristo si sprecano quindi le evito. Qui ho un incontro ravvicinato del terzo tipo col Tortano, che non è un casatiello ma ci si avvicina parecchio. Ognuno c’ha una sua versione, quella che mi capita in un panificio del centro storico aveva, oltre al fondamentale strutto, i cicoli – che sono il corrispettivo campano degli emiliani ciccioli, residui della lavorazione del maiale ricchi di cartilagini, grasso e carne – “sfritti” ovvero soffritti, parmigiano, pepe e semi di finocchietto.
Tortano (che non è un casatiello) a Eboli
A differenza del casatiello, che è impegnativo sin dalla masticazione tanto trasuda ciccia, il tortano sembra innocuo ma non lo è, serve a darti l’aritmia. Potresti mangiarne 3 kg senza rendertene conto perché leggermente friabile – ciò dipende dalla quantità di strutto – e poi ritrovarti a invocare un esorcista per liberarti da una delle fasi digestive più complicate della storia. Ad ogni modo, devo dire che sono bellamente sopravvissuto all’assaggio.A Giungano, sempre provincia di Salerno, posso dar fondo alla mia capacità di immagazzinare cibo alla Sagra dell’Antica Pizza Cilentana. La tradizione discende direttamente dall’epoca romana e la differenza con quella napoletana sta nell’impasto, che qui è quello del pane, quindi la pizza è più consistente.
Pizza Cilentana a Giungano
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Nonostante sia una sagra e quindi vengano eiettate quantità industriali di cibo devo ammettere che è tutto mirabilmente ben fatto. Le Lagane e ciciri, fettucce spezzate con ceci di Cicerale (che sono un Presidio Slow Food) sono cotte a puntino, condite con un giro di olio al peperoncino, sapore netto e semplice da casa col camino acceso mentre fuori impazza la pioggia.
I Vicci cu ‘a minestra sono un’altra testimonianza delle radici povere della cucina del territorio: un pezzo di ciambella di pane imbottito con verdure ripassate, solitamente cicoria selvatica, in questo caso arricchita con bietole e patate. Passo per il caciocavallo impiccato posto su una graticola per scioglierne l’interno e preparare delle bruschette che sanno d’infarto puro per giungere a sta famosa pizza cilentana, sostanziosa e dal sapore delicato nonostante il pecorino grattugiato non sia formaggio che le manda a dire.A pochi chilometri di distanza, a Castellammare di Stabia riesco ad afferrare un Cuzzetiello che è diventato in breve tempo un trend nel napoletano. È la parte finale del pane cafone – tradotto: pane casereccio – farcita con la consueta fantasia gastromaialesca tipica partenopea.
Cuzzetiello a Castellammare di Stabia
Ne provo due, una con polpetta al sugo e melanzana a funghetto e un altro con la genovese, ovvero uno stufato di carne pieno zeppo di cipolla dal sapore molto umami. Sebbene la mollica interna si imbeva dei succhi del ripieno, mi sento di dover prescrivere un’avvertenza: state attenti a come lo addentate, rischiate di scheggiarvi qualche dente. Non mi è successo ma poteva succedere.
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Per e O Muss a Napoli
Per chi detesta le consistenze callose e gelatinose questa specialità – servitami per strada su un piattino delle feste di compleanno dei bambini – è un incubo vero e proprio ma se andaste oltre il raccapriccio pregiudiziale scoprireste che di sapori così brutali, qui dentro, non ce ne stanno poi tanti. A Palermo c’è un corrispettivo tale e quale: Mussu e Carcagnola.Nei due giorni di soggiorno faccio fuori anche un ministeriale, un babbà, due sfoglie - sia riccia che frolla e mi iscrivo al club di supporter della prima - e finisco per addentare un tarallo napoletano, ben diverso da quelli pugliesi. Qui la fa da padrone la sugna, il cui sapore nell’impasto è vivo e dà qualche calcetto sul palato, spinto anche da una buona dose di pepe nero e delle mandorle a far da contorno.Se poi vi dicessi che alla pizzeria Concettina ai Tre Santi di Ciro Oliva il tarallo finisce per arredare una delle tre aree di una pizza che ha pure melanzane fritte e cicoli, mi credereste? Credeteci. E mi credereste con altrettanta pervicacia se vi dicessi che non sono riuscito a finirla, io che ho quarantaquattro tasche nella panza per far posto a tutto?
Il Tarallo napoletano a Napoli
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Credetemi, roba per veri impavidi, il tarallo sbriciolato sulla pizza credo sia una delle più malsane perversioni culinarie di fronte alle quali mi sia trovato di fronte. Però bella come perversione, eh.Faccio un balzo anche in Irpinia, a Montella, paese in provincia di Avellino famoso per la produzione della castagna del prete. Ma non essendo agosto stagione per l’assaggio del frutto, me ne concedo altri d’un certo calibro, di assaggi.Tipo la salsiccia di polmone, in dialetto Sausicchio re permone, che fa da ingrediente cardine d’un ragù che accompagna degli spaghetti quadrati. Ha un sapore un po’ più scuro di una salsiccia normale, la consistenza è più secca, simile a quella di fegato che si fa in Abruzzo – che poi non è così distante. La promuovo anche perché assaggio anche delle fette in solitaria, sudate il giusto, grasse il giusto, tutto giusto.
Salsiccia di Polmone a Montella
Cuore di vitello marinato e Mugnatielli a San Marco
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Cavatelli con ragù di piccione – servito con tutti gli ossicini che sporgono dalla carne brunastra – che non scende a compromessi (e che scopro essere un piatto tipico della zona, frequentata da molti cacciatori), il Cuore di vitello marinato nell’olio extravergine d’oliva e cotto alla brace che conserva la tenacia del muscolo senza per questo rendersi non-masticabile. E ancora le lumache al sugo che mi proiettano in una dimensione infantile quando mia nonna le cucinava e le afferravo dal pentolone per estrarle con lo stuzzicadenti e succhiarne la salsa rimasta intrappolata dentro.
E i Mugnatielli, ovvero il corrispettivo degli gnummarieddi pugliesi, interiora di bovino insaccate in un piccolo lembo di pancia di agnello – molto grassa e fondamentale per la cottura, rende l’esterno croccante – e avvolte nel budello. Piatti che tirano dritto per la loro strada e che irridono la tendenza allo scarto degli scarti troppo in voga nella ristorazione contemporanea per assecondare un palato medio sempre più ipocondriaco e schifiltoso. Tantissimi clap clap.Mi affranco un attimo dalla carne per sondare la faccenda del “Casatiello liberato”, ovvero un piccolo calzone fatto con uova, formaggio e farina che durante la cottura si squarcia e fa uscire parte dell’impasto/ripieno, che è arricchito da pezzi di pancetta. Liberato perché l’interno esce fuori, liberandosi, appunto.
Casatiello Liberato
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Come il tortano, potrei mangiarne diciannove senza comprenderne la pesantezza, non tanto digestiva quanto lipidica, e non rendermi conto che farne fuori un vassoio significa dover fare un buco in più alla cintura. State molto attenti.
Spaghetti allo scarpariello, ad Aversa
Logica vorrebbe che chiudessi questo lungo Tour de Panza con un dolce e ad Aversa c’è la polacca – una torta di pasta brioche con crema pasticcera e amarene – ma preferisco congedarmi con un piatto povero e d’una semplicità disarmante. Spaghetti allo scarpariello, solo salsa di pomodoro e parmigiano ma ci sono diverse versioni più o meno arricchite. Perché dovrebbe suscitare interesse un piatto così banale? Per il suo etimo. Quando ancora esistevano i calzolai, gli “scarpari”, le donne della casa preparavano loro un veloce piatto di pasta con diversi avanzi, soprattutto formaggio e quando c’era carne. Si narra che una vecchina che aveva una trattoria tenesse sul fuoco il sugo e che preparasse porzioni di pasta condite con quella salsa solo per gli scarpari che entravano per ristorarsi. Robe d’altri tempi.Segui Marco Giarratana/ aka UomoSenzaTonnoSegui MUNCHIES Italia su Facebook e InstagramVuoi restare sempre aggiornato sulle cose più belle pubblicate da MUNCHIES e gli altri canali? Iscriviti alla nostra newsletter settimanali.