fast animals slow kids
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Abbiamo chiesto ai FASK di mettere in classifica i loro stessi dischi

I primi album sono sempre i più belli, ma ora che hanno trent'anni i Fast Animals And Slow Kids al loro esordio non ci vogliono neanche più pensare.

I Fast Animals And Slow Kids sono una cosa strana. Loro sono uguali al primo momento in cui hanno messo le dita sugli strumenti, ma è cambiato tutto quello che li circonda in quanto band: la quantità di gente che li ascolta, che lavora con e per loro.

La prima volta che li vidi dal vivo fu a Filago, un paese in provincia di Bergamo. Non avevano fuori nemmeno un album ma solo un EP di quattro pezzi. Erano di Perugia ma giravano già tutta Italia. Erano simpatici sul palco, sudavano un sacco e facevano pezzi molto distorti ma anche molto catchy. Li ideavano a partire da cose in inglese come i Fucked Up, i Titus Andronicus, i Replacements, ma anche da cose emo e punk in italiano come i Dummo, che all'epoca erano loro compagni di etichetta.

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E oggi fanno la stessa cosa, però hanno dietro la Warner, e hanno i concerti foderati di gente, e stiamo parlando sulla terrazza di un palazzo in centro a Milano e non, per dire, sulla ghiaietta di un piazzale dopo un concerto in un posto lontano dalle cose. Però è come se in realtà un po' lo fossimo, perché parlare con loro è un ridere un scherzare e un diventar seri e un lasciarsi prendere la mano anche se poi dopo di me ci sono altre 819738192 persone che devono parlare con loro e vengono da posti come TGCOM24.

Il loro nuovo album Animali Notturni esce oggi ed è un distillato di tutto ciò che sono sempre stati (cioè quattro cazzoni che fanno quello che gli pare e credono molto nel potere curativo della musica), registrato per la prima volta dopo anni in uno studio vero e non in quella casa sul lago di Montepulciano dove è nata buona parte della loro discografia. Che è ormai abbastanza lunga da poterla mettere in fila, dall'album che gli piace di meno a quello che gli piace di più.

6. Cavalli (2011)

Noisey: Andiamo subito a infrangere il luogo comune per cui il primo disco è sempre il migliore.
Aimone [Romizi, voce]: Per noi il primo disco vero è stato drammatico. Siamo arrivati in uno studio di registrazione che non sapevamo neanche che cosa fosse.
Alessio [Mingoli, batteria]: Eravamo veri scarponi della musica. Prima facevamo tutto con i nostri tempi, poi ci siamo trovati in una situazione megaprofessionale e una settimana di tempo per registrare, con l'ansia che se per caso la prendi lunga sei fottuto e il disco rimane a metà.
Aimone: Ogni volta che sentiamo quel disco sentiamo tutti i difetti e basta, io penso di non averlo mai più ascoltato. Ma com'è che accadde il passaggio dall'EP a "facciamo il disco"?
Aimone: Dovevamo suonare a Italia Wave, era il 2010, un periodo veramente felice. Attacchiamo a suonare con l'idea che non saliremo mai più su un palco così e dai 20 minuti che avevamo abbiamo provato a suonare più tempo possibile. Al ventiseiesimo minuto ci staccano. C'era uno da fuori che faceva "BASTA! BASTA!" da ore, noi che ci buttammo a terra, io che non mollavo il microfono. Ci portarono via per i piedi! Appino [degli Zen Circus] vide questa cosa e decise di farci fare un disco. Ha pagato tutto lui, però giustamente a 'sti quattro schifosi gli ha pagato otto giorni di registrazione. Con Giulio Ragno Favero, che ai tempi era sulla cresta dell'onda come producer.
Alessandro [Guercini, chitarra]: Lui stava per rientrare nel Teatro Degli Orrori, era ancora il periodo in cui c'erano Manzan e Mantelli.

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Voi vi rendeste conto subito di non essere soddisfatti di come suonava Cavalli?
Alessandro: Sì, era una sensazione che avevamo lì per lì. Sembrava che Favero non volesse lavorare con noi, aveva un distacco a cui eravamo totalmente impreparati.
Aimone: Abbiamo sempre lavorato con amici, non siamo mai stati abituati a gestire il rapporto con il "professionista", che nel caso perlomeno deve essere uno che capisce che siamo un gruppo di compagnoni e ci mette a nostro agio. Non è scontato, e non lo devi fare per forza, ma a noi serve per stare meglio. Poi eravamo anche tanto giovani e non sapevamo come funzionava lo studio.

Mentalmente come stavate, in quel periodo?
Alessandro: Abbastanza in ansia. Per quanto piccola, c'era comunque una strana attesa attorno a quel disco. venivamo da un EP che si erano cacati in quattro… però se l'erano cacati. Un'altra cosa brutta è stata che lo abbiamo registrato a febbraio e mixato ad agosto, con dei concerti di mezzo.
Alessio: Avevamo già cominciato a scrivere Hybris, eravamo già andati avanti.
Aimone: Alla fine Cavalli era una compilation di canzoni slegate tra loro, fatte a caso da una band che sta iniziando a suonare. La nostra stessa coscienza di band era in divenire.

In "Lei" dicevate "Forse convieni con me che la banalità di un testo d’amore è solo paragonabile a quella di un testo politico". Bene, come la mettete oggi con l’itpop?
Aimone: Quello è dei pezzi peggio capiti della storia dei FASK. Ci distruggeva.
Alessio: C'era gente che sentiva "Senza lei da solo non ce la farei" e pensavano fosse una canzone d'amore. Quando nel testo si diceva il contrario!
Aimone: Da qua abbiamo capito che dovevamo essere molto chiari se volevamo dire qualcosa. Ero contro alle canzoni sdolcinate e inutili a caso, contro la banalità d'amore e il testo politico buttato lì con gli slogan. È bello essere mossi, ma la ricerca banale e non è riconnessa alla persona mi uccide.

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Da allora sono passati otto anni. Come la mettete oggi con l'itpop, che è proprio in buona parte testi d'amore e testi politici?
Aimone: Secondo me Calcutta è una figata. Spacca perché canta roba sentita. Una volta che qualcosa funziona tutti ci si buttano e poi è manierismo, ma è la storia dell'arte. Non dobbiamo incazzarci, basta capire che sono testi vuoti e non sanno di un cazzo. Tutti noi ci rivediamo in alcuni immaginari di Calcutta, perché sono oggettivamente potenti. Non è la cosa banale di cui parli a rendere banale un testo, è la connessione uomo-penna-scrittura. E c'è un completo distacco in alcune produzioni che sono invece uomo-penna-mercato.
Alessio: Un artista che inizia con il suo primo disco può anche non trovare subito la propria strada e si rifaccia a stereotipi di cose che ascolta. Su Cavalli eravamo un po' spaesati. Eravamo in fotta col Teatro Degli Orrori, e con il tempo abbiamo trovato il nostro canale, che si sente da Hybris in poi.
Aimone: C'è anche meno tempo, magari esplodi con il primo pezzo e sei quello. Noi abbiamo vissuto un periodo anche d'oro, in cui la nostra musica non se la cacava nessuno e avevamo tempo di parlare di musica con quelli che se la cacavano.
Jacopo [Gigliotti, basso]: Fare un primo album che non ci ha soddisfatti per primi ci ha aiutati a rimetterci in gioco, a farci mille domande e capire come fare meglio.
Aimone: Hybris è nato così, ci siamo trovati bene a fare le preproduzioni in una casa davanti al lago di Montepulciano. E ci siamo trovati così bene che ci abbiamo fatto tre dischi.

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5. Questo è un cioccolatino (2010)

Questo è un cioccolatino

E quindi poi mettiamo il vostro primo EP, o demo, o chiamiamolo come vogliamo. Come mai?
Aimone: È il vero DIY, quello di cui si parla nelle interviste. E noi a dire "Cosa facciamo? LO ANDIAMO A DARE ALL'ETICHETTA! AL LOCALE! SENTI IL MIO DISCO!" Ricordo che stampammo 800 CD Verbatim a mano. Facevamo le sessioni coi computer, avevamo comprato i timbri "Questo è un cioccolatino" e "FASK", uno faceva i CD e uno impacchettava. To Lose La Track ci aveva fatto tutta la custodietta aperta che dovevi reimpacchettare per fare un cubetto di cartone.

Ecco, quell'EP ve lo fece Luca Benni con la sua etichetta To Lose La Track.
Aimone: Tu pensa che culo anche noi, nasci vicino a un Luca Benni, ai Dummo, a una scena in divenire incredibile… ci vedevamo i Fine Before You Came che cantavano in inglese davanti a 20 persone. Fu Luca a dirci di fare l'EP, non avevamo i soldi e lui mise una cosa come tre, quattrocento euro per pagarci i pezzi di cartone.
Alessio: Anche le prime magliette ce le fece lui.
Aimone: E ha fatto così, "tò, andate". Sei un grande. Insomma, a questo EP ci siamo molto vicini ma da un punto di vista musicale però, ragazzi, è acerbo in culo.
Alessandro: Però preferisco le versioni di quell'EP rispetto a quelle di Cavalli. Sono più grezze ma più vere, suonano peggio ma meglio.

All'epoca vi eravate comunque già girati mezza Italia, nonostante aveste letteralmente quattro pezzi.
Jacopo: Infatti li suonavamo più volte la stessa sera! Magari piacevamo a qualcuno, questi chiamavano i loro amici e noi rifacevamo il concerto. E provavamo continuamente pezzi nuovi, che tanto non interessava a nessuno.
Aimone: La cosa più figa era il fatto che ai tempi non ce ne fregava un cazzo di dove suonavamo, di dove dormivamo, di niente. Per questo abbiamo fatto così tante date. Ci dicevano vieni a suonare a casa de Mario, domani sera, semo in cinque. E noi "SÌ! SÌ! PARTIAMO!" Facevamo le pause per riprenderci dal peso dell'amplificatore che ci tenevamo addosso in macchina.

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4. Hỳbris (2013)

fast animals and slow kids hybris

E poi abbiamo Hỳbris. Come mai è in questa posizione?
Alessandro: Ho dei bellissimi ricordi legati alla registrazione e al tour di quel disco, anche se arrivavamo dal periodo nero di Cavalli. Era la prima volta che registravamo un disco con i nostri tempi, ed era particolare, strano e bello. A livello musicale magari lo riascolto e ci sento qualche difetto qua e là. Per esempio in "Calce", che secondo me è un pezzone, quando arriva il ritornello ripetiamo un TANANA-NANA-NANA quattro volte. Ma a che serve?
Aimone: C'aveva quelle parti lunghissime che oggi diciamo "MA PERCHÉ"? È che ci divertivamo! Insomma, il bello era la libertà di registrarti un disco da solo con i tuoi amici con i tuoi tempi. Uno cucina, uno suona, si gioca a Risiko la notte… in termini di ricordi è forse il disco più bello.
Alessandro: Anche la timbrica della tua voce mi dà fastidio.
Aimone: Su Cavalli era l'apoteosi, sembravo un bambino. Non sapevo cantare e non che ora sia un king. Nel corso del tempo ho imparato a modulare la voce e allora non sapevo far uscire i suoni. Il problema è che di fondo abbiamo sempre avuto i suoni di quelle bandone

Volevate suonare come i Titus Andronicus, i Fucked Up, i Replacements, gli Husker Du.
Aimone: Sì, ma anche più mainstream! Io penso tipo a Bruce Springsteen, quei suoni belli! L'avrei registrato ancora meglio.
Jacopo: La batteria che ti arriva al petto! Che poi è una cosa a posteriori, perché lì per lì eravamo soddisfatti di quello che avevamo fatto.

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All'epoca quando lo sentii "pensai meno male che sono riusciti a fare una cosa con lo stesso pugno che avevano prima di Cavalli".
Aimone: Certo, perché eravamo andati avanti per i cazzi nostri. Quella scelta ci diede un modus operandi, cioè che la musica vince, quello che piace a noi vince su tutto. "Uniti forti, per noi stessi, fino alla fine" è il manifesto più vero che abbiamo cantato rispetto a noi quattro.

Quando uscì, come venne percepito?
Alessandro: Io ricordo solo reazioni positive, lo leggevi in faccia alla gente che veniva a vedere i concerti. È venuto bene per essere un disco indie rock di quegli anni lì.
Aimone: Rispetto agli standard di oggi post-Calcutta sarebbe un fallimento, ai concerti venivano 50 persone. Abbiamo avuto culo, siamo usciti in anni in cui non c'erano pretese, abbiamo fatto un disco che ci piaceva e basta.
Jacopo: Nessuno era al primo disco, esploso dal nulla.

Aimone, anni fa dicesti “Avremmo voluto essere più ironici, ma di fronte a un completo disastro comunicativo nel quale la gente iniziava a prenderci come la band dei deficienti e non ascoltava davvero il testo, abbiamo deciso che era il caso di spiegare esplicitamente cosa volevamo dire.”
Aimone: Confermo, ed è lo stesso principio che ti dicevo prima. Ci sono cose accadute a questa band che ci hanno fatto capire che comunicare è la cosa più importante. Non si deve avere paura di cadere nel banale se hai qualcosa da dire. Meglio che tu lo dica molto chiaro che evitare di dirlo in modo criptico, così che tutti ti interpretino in modo vago. Siamo quattro rincoglioniti, ma
Alessio: Non siamo mai stati molto criptici ma era chiara l'intenzione. Il mood e il contesto dei testi erano molto chiari. Cavalli era comunicato in un modo che poteva essere frainteso. Ci dicono che siamo compagnoni, facciamo morire dal ridere, siamo allegri: "e perché i vostri dischi sono così tristi?"
Aimone: Per questo! Perché lo possiamo scrivere in un testo. La musica è terapeutica. È un'autoanalisi all'aria aperta.

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3. Forse non è la felicità (2017)

Erano passati tre anni da Alaska. Come mai una pausa così lunga?
Aimone: Io ho cominciato a viaggiare e fare delle fricchettonate, e il tour di Alaska era stato infinito.

Aimone, hai detto che "Di sicuro è una delle cose più 'non tristi' che abbiamo mai pubblicato."
Aimone: E invece era triste! Però, come dire, c'era una presa di coscienza un pochino più potente rispetto a tutti i dischi precedenti. La musica iniziava ad avere veramente un apporto nella mia esistenza che mi calmava, e anche rispetto alle mie problematiche io le pensavo in musica. È un disco che sono riuscito a cantare guardandomi, uscendo da me, una cosa che negli altri dischi c'è meno. È un altro passaggio nello scrivere i pezzi. Poi siamo sempre stati egocentrici e alla fine parliamo delle nostre merdate. A me piacerebbe descrivere questa bellissima piazza che ho davanti, ma mi viene una merda! Parlo di emozioni, e quindi tutti i dischi sono un continuo scavare e scavarci. Lottammo internamente in maniera grave perché io volevo dire "È crusca per le bestie."
Alessandro: E io non ero un grande fan!
Aimone: E io pensavo alla crusca che davo ai cazzo di animali da bambino… lotte che prima di allora non c'erano mai state. Perché eravamo più coscienti dell'importanza della musica nelle nostre vite, avevamo voglia di portare avanti questa essenza della band, che è una roba che in questo periodo storico manca in maniera drammatica.

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È in questo periodo che vi siete resi conto che la musica era diventata il vostro lavoro?
Alessandro: Ce ne rendemmo conto alla fine del tour di Alaska. Ci abbiamo sempre sperato e quindi è stato molto bello realizzare che eravamo arrivati a questo sogno senza senso che hai fin da piccolo.
Aimone: Però in termini di vita tutti questi cambiamenti una band come la nostra, che vive in provincia, tutti insieme… è sempre stato così. Il nostro giro è sempre lo stesso, nelle nostre vite non è cambiato un cazzo. È solo che ai concerti ci sta un bordello di gente e la tua vita è la musica.
Jacopo: Però cominci a vivere della cosa che ami, e non è poco per un cazzo.
Aimone: Per un cazzo. Ora ascolto un disco non solo perché mi dà gusto ma perché POSSO PERCEPIRE LA MUSICA! È bello alzarsi con la consapevolezza che andrai in sala prove, che è una prigione merdosa, ma imbraccio la chitarra e parliamo dei nostri problemi al mondo e c'è qualcuno che ci ascolta. E totale.

In un'intervista avevate detto "Un’altra cosa che abbiamo fatto mentre scrivevamo questo disco è stata tagliare tanti riff superflui. Una volta li buttavamo tutti dentro mentre su Forse non è la felicità siamo stati un po’ più attenti."
Alessandro: Secondo me è vero fino a un certo punto. A livello di struttura dei pezzi è un disco molto cervellotico e forse è questo perché non è nei primi due. Ci sono cose che adesso mi disorientano un secondo. Quando lo stavamo registrando, rispetto ad Alaska che ha pezzi con non so quante sovraincisioni, abbiamo un po' ristretto il campo sonoro.
Aimone: Cercavamo un suono più chiaro e preciso. Puntavamo alla limpidezza. Lo abbiamo scoperto piano piano, studiando: l'effetto più potente del mondo, più del delay e dell'octaver, è il mute. Sonale tutte, ma poi mettile tutte in mute finché PAM! È un processo essenziale affinché i pezzi raggiungano la purezza di suono, la forma che hanno le canzoni più belle del mondo, perché lì devi puntare. Sennò che cazzo scrivi a fare?

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C’è qualche pezzo di quel disco che si è perso tra le righe?
Aimone: "Giovane" proprio ciao. A me piaceva molto quella canzone.
Alessandro: Anche "Montana". E sono contento che sia stata molto ascoltata "Tenera Età" anche se non era un singolo.
Aimone: Che poi non è che sappiamo davvero quanto la gente ha ascoltato cosa. Ma neanche ce ne frega un cazzo. La scaletta la facciamo sempre in base a come realizziamo i pezzi tecnicamente dal vivo. Quelli che ci vengono meglio e sono più rappresentativi li facciamo. "Con chi pensi di parlare", di Alaska, l'abbiamo riarrangiata mille volte e siamo riusciti a portarla dal vivo solo durante il tour di Forse non è la felicità. Perché c'era una persona in più, il Ghianda, che ci aiutava a farla. Sennò veniva ridicola, ed è una delle mie nostre canzoni preferite di sempre.

2. Alaska (2014)

Aimone, cito una tua vecchia intervista: "Alaska era un disco chiuso in se stesso, un mattone che se ne stava fermo, immobile".
Aimone: Forse ci piace molto quel disco perché eravamo accomunati da un periodo molto buio che ci era capitato. Ricordo che provavamo "Te lo prometto" dentro gli hotel…
Alessandro: Fu un disco scritto molto in fretta, durante il tour di Hybris. È strano il fatto che sia venuto bene un disco così, fatto sulla scia di un altro e alla svelta. E invece è venuto proprio bene, pensato come disco dall'inizio alla fine. E invece fu un miglioramento.
Aimone: Era sì un mattone, ma per questo riuscimmo a costruirlo meglio, a dargli un senso di "disco". Siamo vecchissimi su questo, mettiamo i pezzi come hanno senso per noi. "Forse non è la felicità" è un singolo ma è alla fine della tracklist, 'sta cosa 'n se fa. Ma non ce ne frega un cazzo, perché era la chiusura del nostro cazzo di disco che riascolteremo tra quarant'anni.
Alessandro: Facciamo dischi per chi vuole ascoltare i dischi. Ed è per questo che facciamo finaloni di cui siamo convinti.
Aimone: Alaska è un'entrata nell'oblio e una piccola fuoriuscita dal buio. Fu un periodo buio che si è ripetuto negli ultimi anni, tra l'altro, e ci ha portati ad Animali Notturni. Sono due dischi con la stessa forza emotiva, che colloco bene nello spazio della nostra vita.
Alessandro: Poi mi son proprio divertito, ci sono linee di chitarra a cannone. Ricordo che mi avete fermato quando stavo mettendo una roba con lo scratch del plettro sulla chitarra su tutto "Grand Final" e non aveva senso! Ma io ero carichissimo.

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Cosa c’era dietro a "Come reagire al presente"? Dietro a parole come "Ricordatevi di noi fra trent'anni / Che avremo bisogno di voi / Sarete l'orgoglio di tanti / Ma solo un appiglio per noi"?
Aimone: La verità è che è un "voi" riferito alle persone care, a tutto ciò che abbiamo intorno. Nel momento in cui canti e suoni musica che parla di te in maniera così profonda come le nostre canzoni, tutto quello che è legame personale rientra lì dentro. Noi non sentiamo la musica e basta quando riascoltiamo i dischi, quella orba parla della nostra vita. Del bello, del brutto, del bruttissimo. Ci muove dentro, ed è per quello che lo facciamo ed è per quello che la suoniamo con forza ed energia. Se ti dicessero, "Tu che cosa scriveresti sulla tua lapide?" Io me lo domando ogni giorno. Ogni volta che facciamo una canzone penso che potrebbe essere l'ultima, e che cosa ci scriverei? Come mi dovrebbero ricordare? Come sono adesso, perché io sto morendo ora, in questo istante. Ed è così per ogni disco.

1. Animali Notturni (2019)

fast animals animali notturni

In “Canzoni Tristi” cantate “Per tanti anni pensavo fosse alternativo fare il punk / Ma oggi ho trent’anni, vorrei soltanto dire quello che mi va."
Aimone: Stamattina si faceva un'intervista in furgone e ho pensato a questa cosa: ma tu ti rendi conto che non mi sono mai permesso di scrivere "cuore" o "amore" anche se parlavo proprio di quello perché ne avevo paura? Ma vaffanculo! Ma io parlo di quello che cazzo mi pare e suono quello che cazzo mi pare, sennò faccio un altro lavoro. Io sono qua per essere libero. La scelta della cicala è fondamentale per il musicista, noi bruciamo adesso, facciamo le cose che sono valide adesso. E questa è una roba di cui parliamo spesso, poi io vado con l'io perché sono il cantante, ma sono robe condivise.
Alessio: Sono ragionamenti che facciamo di continuo.
Aimone: Animali Notturni aggiunge un altro tassellino alla ricerca di purezza, spontaneità e comunicazione che abbiamo da sempre.

Un'altra mazzata, in "Novecento", è "Strappo i poster degli artisti che non sarò mai / Ma dimmi che è giusto".
Aimone: Non si tratta di dimenticare quegli artisti, è dimenticarne il senso. Io voglio essere me stesso. Sì, è un po' come dire che ormai siete voi e basta, e non dovete più guardare a nessuno.
Aimone: Ma stiamo facendo le nostre cose! È la dignità artistica, non so come dire. Sentirsi artisti senza tremare nel dirlo, che è una roba che abbiamo sempre fatto ma vaffanculo, non è così.
Alessandro: Non lo vogliamo più fare.
Aimone: Bisogna fare un atto di fede nei confronti delle nostre coscienze. Possiamo scavare ancora, vediamo fino a dove arriviamo. Magari non arrivi fino al centro della terra, ma fai una bella buca.

Perché non siete tornati a registrare alla casa sul lago?
Alessandro: Perché l'avevamo già fatto, tre volte. La prima è una. figata, la seconda ti assesti, la terza già senti che c'è qualcosa. Vuoi fare un salto nell'inaspettato, nel vuoto.
Jacopo: Sono state tre figate ma a un certo punto ti manca qualcosa, capisci che per arrivare a quello che vuoi devi staccarti da quello a cui sei abituato.
Aimone: Era ripetersi, e allora che ricerca è? E abbiamo lavorato con un produttore, Cantaluppi. È quello dei Thegiornalisti, per farti capire. È il quinto che abbiamo provato per questo disco e non avevamo mai pensato che sarebbe stato quello giusto, e invece ci ha fatto scoprire gente assurda. È un grande cultore della storiografia pop e rock moderna.
Alessio: Avevamo tentato di lavorare con produttori più vicini a i nostri gusti, eppure non eravamo soddisfatti. Arrivati a quest'ultimo tentativo ci eravamo quasi detti "fanculo, torniamo da soli".
Alessandro: Lo avevamo scelto proprio per definire un limite, "lì non ci andiamo ma proviamolo, mettiamoci in gioco".

Insomma, avete voluto uscire dalla vostra comfort zone.
Aimone: Si dice sempre questa cosa qua, sembra una banalata, ma se non ti metti in gioco sei finito.
Alessandro: Su questo livello lo sento molto vicino a Hybris, dato che anche stavolta abbiamo fatto un disco diverso da quello che la gente si aspettava. Allora venivamo da Cavalli, un disco tutto basso, batteria e chitarra. Invece noi andammo lì con le trombe e i violini a fare quel cazzo che ci pareva. Anche oggi, la gente nel 2019 si aspetta una certa cosa dai FASK. Io, personalmente, mi aspettavo la fotta che avete sempre avuto. C'è ancora, ma è più… aperta?
Alessandro: Ci sono sempre gli accordi aperti, i grandi paesaggi dati da un accorto aperto. E un disco più… preciso? E c'era voglia di fare, c'era alchimia, eravamo tutti molto focalizzati.
Aimone: Io me lo immagino come un concerto da stadio di Springsteen. Voglio fà sentì 'sta chitarra che te fa coglione! ONE, TWO, THREE! Capito? C'è quella fotta, e musicalmente parlando finalmente sona.

E che cosa si aspetta la gente dai FASK nel 2019?
Aimone: Io spero che nel corso del tempo abbiano capito che è la libertà quella che devono aspettarsi. I FASK gli promettono che faranno sempre, a tutti i costi, come cazzo gli pare. So che è egocentrico e stronzo, ma non possiamo ragionare così perché saremmo finiti. Dobbiamo ragionare rispetto a quello che muove noi cinque quando siamo in sala prove, cazzo. Dobbiamo suonare i pezzi ed essere felici come la prima volta che siamo saliti sul palco. Sennò arriveremo lì e saremo spenti, e piano piano ci spengeremo, saremo una fiammetta stupida. Non deve essere così. Io non voglio tutelare il castelletto, che salti in aria, che ci sia il caos, che bruci tutto, vaffanculo! Però che si facciano le cose che hai dentro, che te fanno stà bene.

Mi dicevate che Animali Notturni nasce da un momento buio, ma a me è sembrato un disco abbastanza speranzoso.
Aimone: Perché dopo arriva. Mentre in Alaska si vede solo un bagliore alla fine, qua è metà e metà. L'animale notturno è quello che fa la serata in riviera, che sta lì in discoteca a vivere la sua nottata senza pensare a niente di quello che ha accanto. Ma è anche quello che sta in casa, si fa le sue seghine, suona. Ed è un dualismo che succede in tutte le persone secondo me. In questo disco più di altri c'è un'anima duplice, c'è stato un grosso periodo buio…
Alessandro: Uno sceglie la tracklist del disco anche in base a come stanno meglio i pezzi uno dopo l'altro, però sarebbe bello dargli una cronistoria musicale. "Cinema" o "Un altro ancora" le abbiamo scritte per prime…
Aimone: Se io penso a "Cinema" me vie da piagne.
Alessandro: Mentre "Novecento" è un pezzo più recente, e anche sensatamente è stato messo come ultimo.
Aimone: Sono fasi di vita che tutti vivono. Ci sono grandi vuoti che poi in maniera assolutamente strana si risolvono, e tu ne parli.

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