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Attualità

Abbiamo chiesto "perché" a sei ragazzi italiani con i rasta

Chi li porta perché 'ci crede', chi per comodità, chi per una mera questione di look.
Tutte le foto per gentile concessione degli intervistati e dell'autrice.

Questo articolo è frutto della collaborazione di VICE con GRIOT, un magazine online e un collettivo di creativi, artisti e cultural producer che celebra la diversità attraverso le arti, la creatività e la cultura, e le storie a esse connesse di afrodiscendenti e altre culture in Italia e nel mondo.

Interviste realizzate in collaborazione con Johanne Affricot.

Stereotipi, accuse di appropriazione culturale, domande imbarazzanti o del tutto insensate sono alcune delle cose con cui spesso si deve confrontare chi porta i dreadlock—o, popolarmente ma impropriamente, 'rasta'. Per non parlare delle illazioni all'uso di stupefacenti. È anche il mio caso: sono italo-ivoriana e i miei capelli hanno sempre avuto la tendenza a rastificarsi, perciò circa quattro anni fa, dopo infinite battaglie a suon di contropermanente e piastra, gliel’ho lasciato fare in un raptus di pigrizia. Posso dire di avere i 'rasta per caso': le mie lunghissime treccine si sono da sole trasformate in una criniera di dreadlock finissimi.

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A Londra, città in cui vivo, portare i dreadlock è normale, soprattutto per le signore in là con gli anni che si sono stufate di spendere tempo e denaro in hairstyling; invece in Italia è una lotta continua, in primis a dover dimostrare la “normalità” dei miei capelli.

Ho deciso di intervistare due ragazze e quattro ragazzi “che vivono sempre insieme ai loro dreadlock” per capirne le motivazioni, le idee e la gestione quotidiana dell'acconciatura.

—Celine Angbeletchy

PRINCE, 27 ANNI - DJ, SOCIAL MEDIA MANAGER
HA I DREADLOCK DA CINQUE ANNI

VICE: Ciao Prince, senti, i tuoi capelli ti definiscono?
Prince: Non mi definiscono, assolutamente—è solo un modo per tenerli, che poi magari in futuro modificherò, e non mi cambierà niente. Ma nella mia famiglia nessuno porta i dreadlock. Mia mamma mi chiede sempre di tagliarli, mio padre ormai ci ha rinunciato, mia sorella mi dice, "Tagliali che sei più bello poi!"

Cosa ne pensi degli stereotipi che vengono affibbiati spesso a chi porta i dreadlock (che fuma tanta erba, è sporco, è un tipo da centro sociale, etc)?
Mi è capitato spesso che sconosciuti mi chiedessero dell'erba o si avvicinassero tentando approcci strani per via dei miei dread. Oppure che mi chiedessero se volevo fumare—ogni tanto succede ancora. Pensa che io non ho mai fumato in vita mia! Su certi stereotipi però non posso dargli torto, perché la maggior parte [delle persone che hanno i dreadlock] fa quella vita lì.

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Ti hanno mai chiesto come si lavano?
È la domanda più frequente, "Ma come li lavi?" "Li lavi?" "Quanto spesso li lavi?" Inizialmente non vanno lavati spesso perché si ostacola la formazione dei lock, ma alla lunghezza che ho raggiunto li posso lavare anche tutti i giorni. Il problema, poi, sarebbe asciugarli tutti i giorni. Io li lavo una volta alla settimana.

Secondo te ha senso parlare di appropriazione culturale davanti a persone bianche che portano i capelli in questo modo?
Ha senso, sì, ed è giusto nel momento in cui vedi le Kardashian comparire in prima pagina per avere lanciato una nuova tendenza: "le treccine". Ed è solo un esempio dei tanti.

ARIANNA, 23 ANNI - STUDENTESSA DI LIGHTING DESIGN
HA I DREADLOCK DA QUATTRO ANNI

VICE: I dreadlock per te hanno un senso profondo o ti piacciono solo per una questione estetica?
Arianna: Il senso è prevalentemente estetico. Conosco la cultura legata ai miei capelli, il rastafarianesimo, e in certe cose la condivido—mi affascinano le filosofie alla base di tutte le religioni—anche se è comunque una religione e io sono atea. Riguardo all'applicabilità di questa filosofia, sicuramente è difficile oggi, come è difficile fare qualsiasi cosa che sia al di fuori delle dinamiche di mercato.Tutto oggi è mercato e l'ideologia neoliberista ci domina, perciò penso che sia impossibile vivere secondo un'etica, qualunque che sia.

Ok, ma anche se è solo a livello estetico ci sono sicuramente degli stereotipi abbastanza comuni sulle persone che portano i dreadlock—ti sei mai trovata a farci i conti?
Gli stereotipi sono un meccanismo che ci protegge, spesso sono utili e fondati. L'antropopoiesi è una pratica comune a tutti gli esseri umani, perciò mi sembra inutile negare che chi porta i dreadlock voglia esteriorizzare certi aspetti della propria persona. Personalmente mi preoccuperei di più di chi si infila del silicone nel seno per rispondere a certi ideali di bellezza. Dietro ai miei capelli ci saranno le canne e il Leoncavallo, dietro ai corpi rifatti o photoshoppati che ci vengono mostrati sui cartelloni pubblicitari ovunque in città cosa c'è? Per questi ultimi in pochi si scandalizzano, ci sembra tutto normale solo perché qualcuno ha pagato per quello spazio pubblicitario. Forse ci preoccupiamo delle cose sbagliate.

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E delle accuse di appropriazione culturale che possono esserti mosse, cosa dici?
Penso che tutte le controculture "soffrano" per l'appropriazione culturale, ma la cultura dominante ingloba ciò che le interessa, anche mostrandosi aperta perché disposta a dare valore artistico a certe stravaganze. Il problema è piuttosto che la cultura dominante tende a non interrogarsi sulle istanze delle controculture.

Qualche reazione particolarmente negativa nei confronti dei tuoi capelli?
I miei genitori all'inizio erano preoccupati per i pregiudizi di cui sarei potuta essere vittima, soprattutto sul lavoro. In realtà, forse perché vivo a Milano, non è mai stato un problema, anzi la gente sembra ansiosa di mostrare quanto sia aperta mentalmente. Anche le persone anziane spesso mi fanno i complimenti per come mi stanno, o mi chiedono di toccarli per curiosità.

Ti senti definita dai tuoi capelli?
No, non mi sento definita e non sono così importanti. Me li taglierò probabilmente tra un anno, per una questione puramente estetica.

MAURIZIO, 35 ANNI - GRAFICO PUBBLICITARIO E PIANISTA
HA I DREADLOCK DA TRE ANNI

VICE: Allora Maurizio, partiamo dal perché ti sei fatto i dreadlock.
Maurizio: Li ho fatti per gioco, quelle sfide che fai con te stesso ogni tanto per poterti dire: "Sei ancora uno forte!" Volevo che mi migliorassero esteticamente e l'hanno fatto, per fortuna. Un senso vero e proprio al principio non l'avevano, ma poi è stata come una di quelle relazioni adolescenziali che iniziano per gioco e dopo qualche mese diventano un amore struggente. Ora non li sento come capelli ma come una parte di me che cresce, e che come me nel tempo acquista esperienza.

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Penso a loro ogni giorno, in un modo o nell'altro. Ora ho un rito prima di andare a letto, è il mio unico culto: li sciolgo, cerco di separare eventuali radici che fanno unire i dread e poi mi metto a letto adagiandoli di fianco a me.

Questo vuol dire che non li taglierai mai?
In realtà, penso che prima o poi sarò costretto. Sono ancora indeciso se li taglierò del tutto o li accorcerò, ma è una decisione che prenderò tra qualche anno. La cosa che mi affascina di più dei dread è che quando li taglierò mi forniranno una specie di linea del tempo degli anni in cui li ho portati. Infatti vorrei decorarne uno per segnarmi le cose importanti che voglio ricordare.

Ottima idea—sei mai stato preso a male parole per i tuoi capelli?
Stranamente non mi hanno mai fatto brutti commenti, o almeno non me li hanno confessati. A parte mia nonna, che li ha paragonati a code di gatto. Anzi, piacciono a tutti, alcuni mi fermano per strada e mi chiedono di toccarli.

AZZURRA, 24 ANNI - FA DREADLOCK A DOMICILIO
HA I DREADLOCK DA SEI ANNI

VICE: Giustamente ci hai detto che preferisci parlare di dreadlock piuttosto che di rasta. Che differenza c'è tra le due cose?
Azzurra: Per "rasta" s'intende la cultura rastafariana e la sua religione, mentre i "dreadlock" sono i capelli.

Conosci il rastafarianesimo, la sua cultura, e cosa pensi del fatto che qualcuno possa accostarti a essa?
La conosco in parte. Sono andata a informarmi e ho scoperto alcune cose che non mi piacciono, come il fatto che i rastafariani sono razzisti verso i bianchi e omofobi. Io sono afroitaliana e lesbica, quindi sento che questa cultura non mi appartiene per niente e m'infastidisce che, solo per i capelli, mi venga attribuita la nomea di "rastafariana". Come se un milanese con un tatuaggio maori facesse parte della cultura e comunità maori.

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In generale, poi, io non trovo nulla di sbagliato nel far proprio un elemento di una cultura per un fattore puramente estetico. Credo che la linea sia molto sottile, l'importante è avere sempre rispetto, anche quando non si condivide qualcosa.

In ogni caso ci sono un sacco di stereotipi su chi ha questi capelli…
Gli stereotipi sono davvero tanti e posso anche capire il motivo per cui ci sono, ma penso che sia stupido fare di tutta l'erba un fascio. È vero che molte persone con i dread fumano erba, vivono nei centri sociali etc, ma ci sono anche persone che conducono uno stile di vita del tutto ordinario—basta uscire dall'Italia per rendersi conto di questa realtà. All'estero ho visto impiegati della banca e poliziotti con questa capigliatura. Bisogna solo smettere di essere ignoranti, a mio parere.

Quali sono i commenti peggiori che hai sentito sui tuoi capelli?
A dir la verità non molti, e i pochi che ho sentito erano stupidi e legati agli stereotipi di prima. Mi sono sentita chiedere se "ho i pidocchi," se "i miei dread me li fumo": cose senza senso su cui al massimo mi faccio una risata.

Pare che la cosa che la gente vuole sapere di più in assoluto è se si possono lavare—magari tu che tra l'altro li fai, i dreadlock, puoi rispondere a questa domanda.
Li lavo come laverei qualsiasi altro tipo di capelli, l'unica regola fondamentale è di non usare mai il balsamo, in quanto ammorbidisce e rischia, a lungo andare, di rovinare i dread. Una volta al mese io li lavo anche con il bicarbonato di sodio, in quanto disinfetta, igienizza e dà sollievo alla cute che potrebbe irritarsi a sistemarli con l'uncinetto. In ogni caso vorrei sfatare il mito che sono impossibili da lavare.

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ARK, 21 ANNI - STUDENTE DI GIURISPRUDENZA, ATTORE E MODELLO
HA I DREADLOCK DA TRE ANNI

VICE: Ciao Ark, perché porti i dreadlock?
Ark: Non c'è un perché. Diciamo che ho cominciato a portarli per caso e per sfizio, poi mi sono piaciuti e ho continuato. Sai, mi piacciono solo esteticamente, non hanno nessun significato in particolare, sono solo uno stile di capelli. Non sono i dreadlock a definire chi sono, sono io a definire loro.

Ok, però ci sono un sacco di pregiudizi connessi all'averli, in Italia—che ne pensi?
Sono solo baggianate. Comunque sono causa di diversi commenti, "se hai i dreadlock sei un tossico, un barbone, un poco di buono…"

Secondo te si può parlare di appropriazione culturale se uno si fa i dreadlock senza sapere le loro origini etc?
Dipende dal motivo che spinge un individuo a farsi crescere i dread, se è solo per un
motivo estetico non credo. C'è poi da dire che ci sono diverse culture legate ai dreadlock: questo stile di capelli assume molteplici significati nelle diverse culture non occidentali. Informatevi!

Cosa pensano i tuoi?
Ai miei non piacciono. Mio fratello invece li porta a periodi.

FRANCESCO, 27 ANNI
HA I DREADLOCK DA OTTO ANNI

VICE: Se ti dico "appropriazione culturale" cosa ti viene in mente—ti senti chiamato in causa?
Francesco: Credo che dovunque ci giriamo possiamo incontrare culture mescolate ad altre, è sempre stato così e sempre lo sarà. Forse ora, per fortuna, facciamo più caso alle cose che due culture possono condividere e cerchiamo di fonderle per creare qualcosa di nuovo. Sono contento di avere i dreadlock, perché porto in testa un’occasione di riflessione e dibattito che nella mia esperienza è sempre stato costruttivo e pacifico. Appropriarsi di una cultura o di alcuni suoi aspetti, se fatto con cognizione di causa, rispetto e coerenza non può che creare occasioni di unione.

Condividi la cultura legata ai tuoi capelli?
Col passare del tempo tutte le cose cambiano, si evolvono o prendono nuove direzioni. Il rastafarianesimo nasce come una religione omofoba, razzista verso il bianco, che professava il ritorno in Africa per tutti coloro che erano erano stati deportati e schiavizzati. Alcuni, come Robert Nesta Marley, hanno contribuito ad ampliare questa visione, a vedere il deportato come l'ingiustizia fatta su ogni uomo da suo fratello e l'Africa come la madre terra. Il messaggio allora vuole essere di pace amore e rispetto, un processo lungo e complicato ma che riguarda anche me.

Immagino che se per te il significato è così profondo non ti taglieresti mai i dreadlock, giusto?
Sono anni che la mia testa non vede la luce del sole, e devo dirti che la tentazione di sentire il vento sulla nuca è sempre più frequente. Anni fa quando me lo chiedevano la risposta ovviamente era, “No, non li taglierò mai,” ma ora dopo averli amati, odiati, essere cresciuto insieme a loro e avere imparato che sono nel mio cuore e non solo sulla mia testa, so che avrò i dread anche dopo le forbici.

Celine è partner ed editor at large di GRIOT. Johanne è la fondatrice di GRIOT. Segui GRIOT su Facebook e Instagram.