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natale

Ho passato il Natale a lavorare a un telefono amico per persone sole

"Una volta non ho parlato con nessuno per 14 giorni. Ero felice pure delle chiamate in cui cercavano di vendermi qualcosa."
uomo che parla al telefono
L'autore.

Attenzione: questo articolo comprende riferimenti al suicidio. Se tu o qualcuno che conosci è a rischio e ha bisogno di aiuto, contatta il Telefono Amico allo 02 2327 2327.

Elke Schilling impiegò diversi giorni ad accorgersi che il suo vicino di casa era morto. Alla fine se ne accorse grazie alle mosche, alle larve e al volantino di una pizzeria rimasto troppo a lungo sul suo uscio. Il vicino era un tipo tranquillo, sulla sessantina. Si salutavano quando si incontravano per le scale, ma niente più. Poco dopo venne portato via dentro un sacco blu.

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“Non aveva parenti,” mi dice oggi Elke. “È morto nell'indifferenza più assoluta.” In quel momento, Elke decise che avrebbe voluto fare qualcosa contro la solitudine.

Così, agli inizi del 2015 è nato il servizio berlinese Silbernetz. L’idea alla base è semplice: esserci. Se qualcuno vuole parlare, Elke ascolta. Se qualcuno ha bisogno di un consiglio, lei glielo dà. E quando sei solo, ti chiama. I destinatari del suo servizio non sono unicamente gli anziani. D’altronde i cinquantenni di oggi hanno decisamente meno figli dei loro genitori e divorziano molto più di prima. Alla fine la solitudine non è altro che un prodotto di demografia, scelte personali e sfortuna, no?

Silbernetz offre un servizio telefonico di 24 ore su 24 e io, dopo aver fatto un corso nella loro sede, ci ho passato una notte come volontario durante le vacanze di Natale. I protagonisti delle storie che ho raccolto hanno acconsentito alla pubblicazione. I nomi sono comunque stati cambiati per tutelare le loro identità.

Ore 0:12 — inizio turno

L’edificio in cui mi trovo, a Wedding, è silenzioso. “Apri il tuo cuore e si apriranno nuovi sentieri,” recita la scritta sulla porta dell’ufficio in cui passerò la notte. Nella stanza ci sono due scrivanie, un cucinino, due telefoni e una lavagna piena di post-it. L’operatrice che andrò a sostituire mi indica un piatto con dei dolci facendomi intendere che posso mangiarli, se voglio. Ha attaccato alle 8 di sera e ha ricevuto due chiamate. Una era una donna vittima di violenza domestica. Hanno parlato per quasi due ore.

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Alla mia postazione c’è una sorta di guida che posso consultare in caso la conversazione si bloccasse. Oltre a quello, una lista di numeri di emergenza.

Ore 3:15 — Doris, 64 anni Per quasi tre ore non ricevo nemmeno una chiamata. La mia collega scrive lettere di ringraziamento ai sostenitori e io ho finito di consultare tutto il sito di Silvernetz. Poi, la prima chiamata. Dall'altra parte, una donna dal forte accento berlinese si presenta come “Doris”. Doris parla quasi sottovoce ma molto velocemente—un po’ come se dietro alla porta di casa ci fosse un ladro. “La mia vicina ascolta tutto,” mi sussurra. Ma quando nomina la parola “Natale”, sembra riempirsi di gioia: Mi piace proprio, il Natale. Se solo avesse visto la mia casetta di una volta! Avevamo Babbo Natale con gli elfi in giardino… c'erano luci ovunque e tutto brillava e la gente che passava si fermava e faceva le foto. In giardino c’erano le decorazioni come quelle delle case americane. Vivevo con un amico sul mar Baltico. Lui stava al piano di sotto e io a quello di sopra. Non eravamo una coppia, eravamo migliori amici. Per tradizione alla vigilia cucinavamo l’oca al forno con le patate. Lui andava matto per il cavolo rosso. A me piaceva più quello normale e quindi come contorno c’erano sempre entrambi.

Lui è morto qualche anno fa di tumore. Ad agosto ha avuto la diagnosi, e a dicembre è morto. Voleva farsi seppellire in mare e visto che non aveva più una famiglia ce l’ho fatto portare io in barca. La voce di Doris si fa più cupa. È la prima pausa del nostro dialogo e le chiedo se vuole parlare d’altro. “No,” mi risponde. ”Va tutto bene.” All’improvviso mi sono ritrovata sola e da allora ho paura di uscire. Prima che conoscessi il mio terapeuta, tre settimane fa, non avevo nessuno con cui parlare. Mi ricordo che una volta non ho parlato con nessuno per 14 giorni. Forse ho detto qualche “buongiorno” alla cassiera quando andavo a fare la spesa. Ero felice pure delle chiamate in cui cercavano di vendermi qualcosa.

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Il rapporto coi miei tre figli è un po' così. In passato ho avuto dei problemi con l’alcol. Allora mia figlia aveva 21 anni e non riusciva ad accettarlo. Non ci parliamo da 20 anni. Domani invece viene a trovarmi il più piccolo. Le ultime vacanze le ho passate da sola, a guardare la televisione. A mio figlio non piace il Natale. Normalmente avrei addobbato tutta la casa, ma il mio terapeuta dice che dovrei fare un favore a mio figlio e lasciar perdere.

Sai, è brutto sapere che i tuoi figli sono seduti da qualche parte senza di te e non si fanno sentire. Per molte cose è colpa mia, ma da figlio non potresti semplicemente scrivermi 'ciao mamma, cosa fai a Natale?' Dopo la chiamata, inserisco i dati di Doris nell’archivio. Le chiamate rimangono anonime, ma alcuni elementi ci servono per migliorare il servizio: se la persona in questione vive da sola, è sposata o vedova o divorziata, e il motivo della chiamata.

Ore 5:50 — Hannah, 88 anni

Dal 24 sera hanno già chiamato 50 persone. Tutte di Berlino, perché è ai berlinesi che si rivolge Silbernetz. Il servizio è circoscritto per motivi economici. Poco prima delle 6 di mattina chiama Hannah. La voce sembra quella di una nonna particolarmente stanca. Mi dice che vive da sola da quando il marito è morto. Quindi da 30 anni.

Con Erich ci siamo conosciuti più di 60 anni fa a Velten, un paesino a nord di Berlino. Fino a un po’ di tempo fa ci arrivava pure il treno. Eravamo a ballare. Io avevo 24 anni, lui un anno e mezzo più di me. Erich era seduto al tavolo vicino al mio e mi ha chiesto la mano per ballare. Aveva dei bei capelli neri ed era composto come un soldato. Nello stesso anno ci siamo sposati. Poco dopo è nata la nostra prima figlia, e tre anni dopo la seconda. Eravamo giovani e innamorati. Erich lavorava come tecnico di rilevamento topografico e io come maestra d’asilo. Mi affidava un sacco di cose, forse troppe. In cambio gli chiedevo che mi aiutasse con le bambine. Non è sempre stato facile, ma lo amavo comunque.

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A questo punto la voce di Hannah sembra un po’ più squillante. “Mi faccia domande, mi faccia domande,” dice.

Ci piaceva fare gite in Svizzera. Il sindacato ci dava delle stanze a poco. Lasciavamo le bambine da mia madre. Una volta siamo andati a piedi da Wehlen fino al confine ceco, poi siamo tornati in treno. Quella sera abbiamo mangiato l’arrosto, ce la siamo passata bene.

Quando Hannah non si ricorda qualcosa ripete, “ah, tanto è roba passata.” Lo dice spesso. Eppure ci sono cose che sembrano impresse nella sua memoria. Come il matrimonio con Erich nell’aprile del 1953 e tutti i dettagli minuziosi di quella giornata.

Volevamo trasferirci a ovest. Poi una volta Erich è svenuto. Il dottore disse che era stanchezza, ma poi si è scoperto che aveva un tumore. A quel punto ci siamo trasferiti a Berlino. Erich entrava e usciva dall’ospedale. Gli portavo le fragole dall'orto. È durato cinque anni e poi, a 51 anni, se n'è andato. Dopo che è morto sono andata un'altra volta in Svizzera. Volevo vedere ancora una volta le strade che avevamo fatto insieme. Ma non era la stessa cosa senza di lui. È stata la volta che mi è mancato di più. Hannah e io parliamo da più di un’ora, ormai. Non vuole attaccare perché non parla più così spesso. Le chiedo che programmi ha per queste vacanze. “Dopo mia figlia viene a trovarmi,” mi dice. “E cosa c’è da mangiare?,” le chiedo. “Ah boh, non me lo ricordo mica. Insalata o qualcosa del genere.”

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Elke Schilling dice che la solitudine ha varie cause. “Alcuni anziani si isolano quando muore il compagno di vita. Ma anche il cambio drastico dell'ambiente sociale che si frequenta può influire,” mi spiega.

Ore 7:10 — Wolf, 64 anni “Il mio terapeuta dice che parlare mi fa bene. Quindi eccomi qua,” dice. Wolf ha una risata sonora che me lo fa immaginare come un uomo di due metri. Dopo molte domande su quello che stavo facendo mi racconta la sua storia: Prima avevo mia moglie e mio figlio. Montavo cucine, mia moglie Helga lavorava in un negozio di mobili. Non guadagnavamo molto ma ce la siamo sempre cavata. Sotto casa avevamo il nostro pub di fiducia. Io e Helga, insieme agli altri clienti fissi del locale, avevamo un fondo di risparmio annuale per fare le vacanze tutti insieme. La vacanza più bella è stata quella a Istanbul. Metà della roba che abbiamo in casa arriva dai bazar: lampade, statuette, piatti. Un sacco di cianfrusaglie.

Mio figlio era molto affettuoso. Ha studiato ad Amburgo e era fidanzato con una ragazza di lì. Lei era molto carina; mia moglie l'ha trattata da subito come una figlia. Quando è rimasta incinta, abbiamo organizzato una grande festa. Abbiamo usato tutti i nostri risparmi. D’altronde sarebbe stato il nostro primo nipote. Poi, al quarto mese di gravidanza, è morta in un incidente stradale. Mio figlio non è riuscito a sopportare il dolore e un anno dopo si è ammazzato. Aveva 32 anni." Wolf a questo punto si ferma. E così io. Cinque secondi dopo ricomincia incerto, come se stesse parlando da solo. Quando ti muore un figlio davanti agli occhi, succede qualcosa che non so bene come spiegare. Dopo la morte della sua compagna era tornato da noi perché non riusciva più occuparsi di se stesso. Siamo andati insieme in terapia e gli abbiamo proposto di stare con noi per trovarsi un nuovo lavoro qua a Berlino. Diceva di stare meglio. Siamo stati ciechi. Forse perché era quello di cui avevamo bisogno noi.

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Dopo che è morto si è ammalata anche mia moglie. Ha continuato ad andare a lavorare ma appena tornava spariva in camera da letto. A un certo punto il suo capo le ha proposto di prendersi un periodo di pausa. A volte stava sveglia tutta la notte. Non ha mai più voluto festeggiare il Natale. Ha portato tutte le foto che avevamo in casa in cantina. Quando volevo parlare con lei mi ignorava o mi tirava dietro dei libri. Non sono stato più in grado di capirla. Non parlava e non piangeva, e quel silenzio fa ammalare. Tre anni fa si è uccisa anche lei, e da quel giorno vivo da solo.

Non so cosa mi tenga ancora in vita. Ho pensato più volte di andarmene, ma non ci riesco. Mia moglie non vorrebbe che lo facessi. Credo che si sia uccisa per dare una possibilità a me. Adesso parla con tono sicuro. “Finché è stata bene, Helga ha sempre voluto che festeggiassimo il Natale insieme. A Berlino o ad Amburgo. Ci è riuscita quasi sempre,” mi dice. Quando gli chiedo se ha bisogno di parlare con un dottore o un esperto, Wolf mi dice che hanno sicuramente cose più importanti da fare. Così promette di richiamare tra un po’ di giorni.

Ore 7:55 — cambio turno

Sento bussare alla porta. Dietro c'è la signora a cui ho dato il cambio la notte prima. “Buon Natale,” mi dice. Ricambio gli auguri mentre penso al fatto che non è stato faticoso parlare con le persone che hanno chiamato, piuttosto è stato difficile sentirne la sofferenza. L’anonimato da entrambe le parti è una regola, ma nonostante questo vorrei poter incontrare Doris, Hannah o Wolf. Gli anziani soli non sono solo il risultato di decisioni individuali, fanno parte del nostro sistema: persino le infermiere o le costose case di cura con scarsa assistenza spesso rafforzano la solitudine. Quando ho chiesto alle persone con cui ho parlato quale fosse il loro desiderio più grande, nessuno ha parlato di soldi. Tutti volevano solo qualcuno con cui parlare, una famiglia, o semplicemente sentirsi benvenuti da qualche parte nel mondo. Hanno paura di morire soli.

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