Dopo l’uscita di V per Vendetta nel 2005, il film era presto diventato una specie di manifesto rivoluzionario e la maschera di Guy Fawkes indossata dal protagonista un simbolo. La utilizzavano gruppi come Anonymous e Occupy Wall Street e negli anni è stata adottata da chiunque volesse protestare contro qualcosa—dalle primavere arabe a Euromaidan, al movimento pro-democrazia di Hong Kong.
Nel 2011 ne aveva parlato anche David Lloyd, co-autore e illustratore del fumetto, alla BBC: “La maschera di Guy Fawkes è ormai diventata un marchio, un oggetto comune nelle proteste di tutto il mondo—e sono felice che la gente la usi, mi sembra un caso unico di un’icona della cultura pop usata in questo modo.”
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Il motivo di ciò è presto detto: il film racconta la resistenza a un regime dittatoriale oppressivo, è pieno di monologhi dai toni enfatici e ispirato a un fatto storico realmente avvenuto—anche se completamente decontestualizzato—ovvero la Congiura delle polveri del 1605, con cui un gruppo di estremisti cattolici aveva tentato di uccidere il re d’Inghilterra facendo saltare in aria il Parlamento. La maschera dunque, oltre a proteggere l’identità dei manifestanti, mostrava l’appartenenza a una causa condivisa, per quanto vaga.
Adesso però sembra che a livello di simboli politici la maschera di Guy Fawkes stia passando il testimone a un altro prodotto della cultura pop—la tuta arancione e la maschera di Dalì indossate dai ladri della serie tv spagnola (diffusa in Italia da Netflix) La casa di carta.
Ci sono diversi segnali di questo passaggio di consegne. Il 24 aprile scorso, a Napoli, alcuni studenti dei collettivi dell’università Federico II hanno protestato contro l’aumento delle tasse universitarie con striscioni e fumogeni, vestiti come i personaggi de La casa di carta. “Il tema della serie è il denaro,” ha detto uno dei manifestanti, “lo abbiamo colto al volo, non siamo qui per rapinare una zecca di Stato ma per pretendere di non vederci aumentare le tasse universitarie che hanno subito incrementi fino a 600-800 euro.”
Due settimane dopo, il 12 maggio, sempre a Napoli un gruppo di attivisti ha protestato di fronte alla sede della Banca d’Italia con lo slogan “Napoli non si vende.” Anche in questo caso la tenuta era simile: tuta arancione e maschera. Di Pulcinella e non di Dalì, ma l’intento era comunque piuttosto evidente.
Ancora: il 17 maggio gli studenti della Sapienza di Roma hanno manifestato contro la stretta repressiva della Sapienza sugli eventi pubblici e per pubblicizzare la notte bianca universitaria del prossimo 8 giugno. Tutto l’evento è stato a tema La casa di carta. La maschera di Dalì campeggiava sulla foto della pagina Facebook ufficiale della Notte Bianca, sui manifesti che gli studenti hanno affisso ai muri dell’università e sugli striscioni con lo slogan—altro riferimento alla serie—“Smascheriamo l’università di carta.” Anche in questo caso gli studenti indossavano tute arancioni e maschere di Dalì.
E non sono stati gli unici casi. La casa di carta è uscita dalle università ed è arrivata sulle bandiere della curva sud del Milan e nelle maschere di un presidio di precari e disoccupati fuori dalla sede di Confindustria per “reclamare il reddito di cittadinanza.” Anche fuori dall’Italia ci sono stati diversi casi in cui la serie è stata utilizzata in modo politico—ad esempio nei cortei di studenti e ferrovieri contro Macron in Francia—o criticata dalle autorità perché inciterebbe alla rivolta, com’è successo in Turchia.
Per capire come mai stia succedendo ho chiamato Caio, un ragazzo del centro sociale milanese LuMe che in occasione del corteo per il primo maggio ha diffuso una serie di locandine con i personaggi de La casa di carta e lo slogan “Noi siamo la nuova resistenza.”
“Il significato politico penso sia abbastanza univoco,” mi ha detto. “Penso che
La casa di carta metta in risalto alcune questioni che sono estremamente rilevanti per la creazione di un immaginario: quella della ridistribuzione della ricchezza, quella del consenso e quella della creazione di un’estetica del conflitto.”
I personaggi della serie entrano nella zecca dello Stato, stampano moneta e la ridistribuiscono (almeno nel loro piano di emergenza) senza fare male a nessuno e senza derubare nessuno. Questi due elementi—la ridistribuzione della ricchezza e la preoccupazione per il consenso—sono due cose a cui i movimenti di sinistra pensano spesso, mi ha spiegato Caio, e il fatto che un prodotto culturale di massa racconti una rapina di questo tipo in modo da far simpatizzare per i rapinatori “vuol dire che la serie contiene in potenza aspetti di sinistra.” Lo stesso vale per l’estetica—dalla maschera “che di per sé non ha valore politico” alla tuta che “rimanda alle tute da lavoro degli operai”—che a suo dire si presta bene a essere usata come simbolo in questo senso.
Ma l’interesse dei circoli di estrema sinistra italiani per La casa di carta va più in profondità. Partendo da una delle scene della serie in cui viene cantata “Bella ciao”, lo scorso 24 aprile sul Manifesto Roberto Ciccarelli parlava del suo valore politico della serie, spiegando che, anche se “sembra un’aggiunta melodrammatica o pseudo-ideologica” per “fare l’occhiolino al lato sinistro del pubblico” che ormai ha in Netflix e simili l’unico immaginario di sinistra possibile, in realtà La casa di carta sarebbe davvero politica—anzi, sarebbe addirittura una critica alla politica monetaria della Bce “con una variazione significativa: invece di stampare miliardi per gli Stati, le banche e le imprese, con un colpo di mano [ i protagonisti della serie] ne dirottano una piccola porzione nelle proprie tasche.” Anche Caio mi detto una cosa simile. “Bisogna riappropriarsi di questi discorsi e per questo credo che una serie come La casa di carta crei un discorso di sinistra,” mi ha detto.
La trasformazione della maschera di Guy Fawkes in un simbolo politico è stata fin da subito una questione controversa. Sia perché la maschera in origine è stata creata dalla Warner Bros per promuovere il film e distribuita gratuitamente alle prime proiezioni—e dunque è ironico che messaggi anti-capitalisti siano veicolati acquistando prodotti di una delle 100 più grandi aziende americane—sia perché, come spiegava già nel 2011 alla BBC il blogger e commentatore politico conservatore Paul Staines, la diffusione della maschera significava “una perdita di fiducia nella politica, perché Guy Fawkes è la figura più anti-politica in assoluto.”
E infatti in Italia la maschera è presto diventata il simbolo di un generico odio anti-kasta e l’abbiamo vista nelle manifestazioni di un vario fronte di movimenti di anti-politica che vanno dal primo Movimento 5 Stelle, ad Anonymous, ai Forconi. Se quei movimenti fossero arrivati oggi, avrebbero indossato una tuta arancione e una maschera di Dalì?
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