Música

La colonna sonora di Donnie Darko è il ritratto della rabbia adolescenziale

Tutti abbiamo un hard disk interno pieno delle opere d’arte che ci hanno procurato epifanie. Opere che ci hanno fornito la capacità di empatizzare, o che ci hanno esposto a esperienze che non avremmo mai potuto conoscere vivendo a Parma, a Cosenza o nemmeno a Milano o Roma. Cose che finivano per confermare quello che già sapevamo, ma non riuscivamo a esprimere. Spesso l’incontro con queste opere è avvenuto nella nostra età più agitata e impressionabile, e non l’abbiamo mai scordato. È il bagaglio problematico che ci si porta dietro da quell’adolescenza di cui, a essere franchi, non si riesce mai a liberarsi. Potrebbero trattarsi dei Blink-182 o dei Verdena. E se tra la metà e la fine degli anni Duemila avevi un cervello funzionante, ci sono buone probabilità che si tratti di ​Donnie Darko​. ​

Tragico, sinistro, divertente, commovente, introspettivo, magniloquente e, a tratti, ridicolo, ​Donnie Darko​ è stato il chiacchieratissimo lancio della carriera di Jake Gyllenhaal che, a 15 anni dall’uscita, è ancora impossibile da contenere in una qualunque nicchia critica. Un’opera di passione ossessiva e autobiografica, scritta e diretta da uno stramboide ventiseienne di nome Richard Kelly, un capolavoro pieno di citazioni da diario e ​spunti di riflessione basato sull’orrore suburbano della sua stessa adolescenza negli anni Ottanta. Ma gran parte dell’aura di ​Donnie Darko—​l’atmosfera ansiogena e terrorizzante sospesa su ogni scena come una nuvola nera—è amplificata dalla perfetta simbiosi creativa tra la narrazione di Kelly e la sua colonna sonora. E più che la narrazione, è questo ​albo uditivo che ha permesso, secondo molti, di installare questo film nella memoria collettiva di una generazione. 

Videos by VICE

Ricordo quando l’ho visto per la prima volta—spinto da un abbonamento a Empire magazine, un bisogno malsano di automiglioramento e dal fatto di trovarmi in quell’interregno tra l’infanzia e la piena adolescenza da una sega al minuto. Non furono la trama e nemmeno i personaggi a conquistarmi. In tutta onestà, probabilmente li trovai incomprensibili ai tempi. Fu l’atmosfera, il tono, le sfumature a farmi reagire. Non avevo mai sentito i Tears For Fears, ma dopo aver ascoltato “Head Over Heels” per la prima volta mentre Donnie e il suo ristretto gruppo di disadattati irrompevano dalla porta sul retro dell’autobus scolastico, capii che stava succedendo qualcosa. Se questo qualcosa fosse significativo, se mi piacesse o lo trovassi insopportabile, non avrei saputo dirlo. Ma quell’ambiziosa carrellata della scuola catturò la mia attenzione. Si è scritto molto della sua perfezione tecnica, delle sue qualità coreografiche—come incornicia il film intero, la sua tematica. Ma non fu quello il motivo per cui mi prese. Fu l’impressione che quel film, quella canzone, “capissero”. Capivano l’orrore sudaticcio della scuola superiore, la sua complessità e assurdità. Come ha poi detto l’autore e regista del film Richard Kelly, quella canzone aveva una “caratteristica romantica da lo-supereremo-insieme”. 

Come molte collaborazioni emblematiche del passato, quella tra Richard Kelly e Michael Andrews—compositore, polistrumentista e acuto arrangiatore della colonna sonora di ​Donnie Darko​—nacque perlopiù in circostanze fortuite. Avvenne tramite una conoscenza comune, un di Kelly che raccomandò Andrews senza mezzi termini come “un genio” e “la persona giusta”. Bastarono un paio di incontri per convincere Kelly. In un’intervista con About Entertainment, Kelly ricorda: “Capii immediatamente che era una persona di enorme talento e che avrebbe concepito una colonna sonora davvero originale”. Altro punto cruciale fu che Kelly percepì velocemente l’istinto collaborativo di Andrews che gli avrebbe “permesso di essere presente e fungere da editor per raggiungere il risultato che desideravo”.

Il primo risultato fu “Carpathian Ridge”, che è anche il primo suono che si sente nel film. Con la sua semplicità inquietante, costruita su poche note di piano, questo pezzo strumentale preannuncia ciò che sta per accadere in modo tanto preciso quanto aereo, come un paziente appena risvegliatosi dall’anestesia. In un film pieno di scene meticolosamente preparate, è un’apertura da pugno nello stomaco, che accompagna (nella versione da cinema) il momento in cui Donnie si sveglia in mezzo a una strada in cima a una montagna: il corpo inerte che improvvisamente si scuote, l’alba sognante, il viso che si gira lentamente, confuso, verso l’obiettivo. Ma è quello che succede dopo che rende esplicito lo scopo “editoriale” cruciale della colonna sonora per il film e per la sua permanenza nella memoria collettiva. Mentre la musica e i titoli di testa sfumano e Donnie comincia a pedalare freneticamente verso casa sua anonima, nella sua anonima periferia, si trasforma in un suono familiare e rivelatorio:  ”The Killing Moon” di Echo and the Bunnymen.

In alcuni momenti, Kelly si è lasciato sfuggire che forse “editoriale” è una parola troppo specifica per le sue ambizioni riguardo a quello che la colonna sonora poteva far guadagnare al film, descrivendolo come “dal punto di vista strutturale… come un’opera o un musical” con “cinque interludi musicali che idealmente sono integrali alla storia”. Il che suona un po’ presuntuoso finché non riguardi il film con maggiore attenzione e ti rendi conto che è proprio così. Il modo in cui “For Whom The Bell Tolls” (di Steve Baker e Carmen Daye) cresce e fa girare quell’orribile senso di condanna, di vuoto, prima della scena finale tra Donnie e Frank; la litania di distorsioni; l’uso del catalogo dei Tears for Fears come una strana punteggiatura per gli eventi e i temi principali del film. Sono questi piccoli dettagli che contribuiscono all’esperienza profonda della colonna sonora di ​Donnie Darko​.

C’è una connessione potente tra la chiarezza della colonna sonora e l’intelligenza della selezione. Diamo un’occhiata: Echo and the Bunnymen, Pet Shop Boys, Duran Duran, Tears for Fears—Kelly ed Andrews hanno scelto il meglio di una generazione che riuscì a trasformare la disperazione esistenziale in grandiose hit synth-pop. La colonna sonora di ​Donnie Darko​ non è soltanto l’esplorazione di un mondo di nostalgia, ma un’intera galassia di disillusione che ti parla come se fossi l’unico ad abitarla. Che cosa ci può essere di più affascinante per un certo tipo di teenager che non aspetta altro che una scintilla faccia esplodere la confortante illusione di essere solo sul cuor della terra, in un’universo infinito​, l’unico a sentirsi così solo e disperato. Ma la riproposizione dei ricordi adolescenziali di Kelly tanto nella sua narrazione quanto nella musica ti ricordano che, a dir la verità, non sei il solo a sentirsi così; la solitudine e lo spleen sono sentimenti universali e intergenerazionali, e ciò può darti comunque conforto.

Per molti versi, la perfetta combinazione della colonna sonora di Andrews e della visione di Kelly è esattamente ciò che ti fa capire che questi sentimenti profondi e furiosi non sono unici né esclusivi. Dopotutto, si tratta di band che i tuoi genitori conoscevano intimamente e prima di te. Questo fatto fu reso evidente dalle vendite milionarie della cover di “Mad World”—il devastante lamento che chiude il film—​di Michael Andrews, che salì al numero uno delle classifiche natalizie in UK e fu responsabile della longevità del culto successivo al film. Come racconta Kelly, fu scelta appositamente per essere la traccia che fotografava “quella rabbia adolescenziale egocentrica” e finì per essere il climax perfetto per il film. È facile immaginare che i compratori che la portarono al numero uno fossero o adolescenti nel pieno della disillusione della loro età o i loro genitori che volevano rivivere la nostalgia della loro.

È stupefacente pensare che Kelly avesse soltanto 26 anni quando ​Donnie Darko​ fu girato e che la sua sceneggiatura esistesse già da anni. Tenendo presente questo fatto, è facile ipotizzare che la genialità della colonna sonora fosse in qualche modo naïf, o addirittura una bellissima coincidenza. Anni dopo, quando ​Donnie Darko​ era già ampiamente riconosciuto come un classico di culto, Andrews la descrisse come “forse una naïveté che si manifestò in modo originale”, una descrizione piuttosto romantica. Ma identificare la colonna sonora come ​naïf vorrebbe dire ignorare la sua struttura impeccabile e meticolosa; quanto le canzoni siano integrate e scolpite attorno a ogni scena come bottoni su un cappotto; quanto la semplicità e la sfrontatezza della musica sia significativa; e quanto, quindici anni dopo l’uscita, continui ad apparire come l’unico film in grado di rappresentare cosa significhi essere giovani, tristi e confusi. 

Donnie Darko tornerà ad essere disponibile in DVD e blu-ray in edizione limitata a fine anno. 

(Tutte le foto sono fotogrammi tratti dal film)

​Segui Noisey su Twitter​ e su Facebook​.​