Música

La follia di Vivaldi

Vi presentiamo la rubrica in cui vi parleremo di un argomento indecente: LA MUSICA CLASSICA. Quel trallalà che viene usato nei quiz quando un concorrente sbaglia, oppure come colonna sonora nei film di Lars Von Trier. Adesso sapete da dove arriva la suoneria fastidiosa del vostro vicino di casa.

Buongiorno a tutti, oggi parleremo del nostro caro compositore e violinista Antonio Vivaldi. Per iniziare, voglio che siate forti. Qui sotto c’è il link a un suo pezzone che dura 9 minuti e mezzo. Tranquilli, se lo ascoltate in cuffia, potrete conservare la vostra reputazione di hardcorini davanti agli amici e nel frattempo acculturarvi in vista del vostro ingresso nelle alte sfere della società.

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A differenza della maggior parte della musica classica, che richiede pazienza e numerosi ascolti prima di poter essere apprezzata, questa è assolutamente orecchiabile, quindi concedetele questi minuti delle vostre impegnatissime vite e non ve ne pentirete.

Innanzitutto: la Follia è un tema musicale tra i più antichi e diffusi nella storia musicale e europea. Questo è bene che lo sappiate se, come me, ci tenete a far bella figura. Ha origine in Portogallo tra 1500 e 1600 e nasce per accompagnare una danza ballata da pastori e contadini in occasione di un rito della fertilità, un evento veramente imbarazzante che prevedeva danzatori che portano sulle spalle uomini vestiti da donna. Nel 1700 la Folies d’Espagne diventa parte del repertorio musicale della corte francese, dopo aver subìto un trattamento di solennizzazione che la renda accettabile alla spocchia dei francesi e alle lente e maestose celebrazioni di corte.

Dell’originale frenesia popolare, la Follia conserva ben poco, ma non riesce a perdere quel che di demoniaco. C’è una melodia precisa (circa i primi 50 secondi della traccia) che fornisce la struttura su cui l’esecutore è libero di improvvisare. Per i restanti 9 minuti si tratta di variazioni di questo tema che generalmente è espresso, nella sua forma più semplice e riconoscibile, all’inizio. Follia, infatti, sta proprio a significare idea fissa, mania, ed evidenzia il carattere ostinato del tema che ritorna, sempre trasformato, ma di base non cambia. Alcune delle variazioni sono calme, suadenti, altre isteriche, sensuali, eccitanti; altre ancora da cardiopalmo. Penso che, se possedete un cuore, questo dovrebbe provare un tuffo verso il minuto 7.35 della traccia che avete appena ascoltato. Protagonisti indiscussi sono i due violini “virtuosi” che potete ammirare in questa esecuzione dal vivo—è sempre una gioia vedere primi piani delle convulsioni dei violinisti tra una dissolvenza e l’altra.

A proposito di Antonio Vivaldi (1678-1741) invece (se ve la sentite potete anche chiamarlo “Il Prete Rosso” dando prova di essere persone veramente chic) possiamo dire che fu uno dei violinisti più virtuosi del suo tempo e un grande compositore di musica barocca. Veneziano, figlio di un violinista amatoriale che a un certo punto rinunciò alla carriera di barbiere per dedicarsi unicamente alla musica, aveva tutti i tratti caratteristici tipici dell’enfant prodige: capelli rossi, asma bronchiale, destinato, per volere della madre, alla vita ecclesiastica. Questo perché vedendolo così malaticcio alla nascita, aveva pensato bene di battezzarlo in fretta e furia e fare voto che se fosse sopravvissuto sarebbe diventato un sacerdote. Ecco perché “Il Prete Rosso”.

A 25 anni fu ingaggiato come maestro di violino dalle autorità del Pio Ospedale della Pietà, il più prestigioso dei quattro ospedali femminili di Venezia. Quella inesauribile fonte di aneddoti che è Wikipedia sostiene senza la minima nota di ambiguità che il caro Antonio “disponesse a piacimento di queste strumentiste e cantanti esperte, senza preoccupazioni di numero, tempi o costi, un vantaggio considerevole per un compositore che poteva così dar libero corso alla sua creatività e sperimentare ogni tipo di combinazione dell’organico strumentale”: frase che, data la sincerità della sua vocazione religiosa, mi sembra decisamente spassosa ed equivoca. A 40 anni divenne maestro di cappella da camera alla corte del Principe d’Assia-Darmstadt, governatore di Mantova e noto appassionato di musica. In questo periodo scrisse le Quattro Stagioni, quattro concerti per violino che rappresentano scene di natura in musica: devo avvertirvi che nel panorama classico sono considerate mainstream e scontate quanto “The Passanger” di Iggy Pop nella musica leggera, quindi se vi fosse chiesto di darne un’opinione, limitatevi a dire che le adoravate quando avevate sette anni.

La vita di Vivaldi si concluse con una serie di disfatte professionali e umane: le sue composizioni non erano più apprezzate a Venezia dove i rapidi cambiamenti dei gusti musicali lo avevano messo fuori moda (la scena musicale settecentesca era ben più spietata di quella hardcore milanese). Oltretutto cominciava ad avere noie con la Chiesa per non officiare ormai da tanti anni la Santa Messa (colpa dell’asma, sosteneva lui) e per andare sempre in giro con una sua allieva e altre dame (tutte corrette, devote e oneste, sosteneva lui).

Quindi si risolse a lasciare l’Italia alla volta di Vienna, sperando in un incarico imperiale, ma purtroppo la Guerra di Secessione Austriaca aveva provocato un fuggi fuggi generale di tutti i regali. Rimase quindi a Vienna per un anno, vecchio, malato e solo, svendendo i suoi manoscritti per tirare avanti, fino alla notte del 1741 in cui morì in un appartamento che aveva affittato accanto Kärntnertortheater, dove era suo sogno poter rappresentare una qualche sua opera un giorno.

Volete più dolore? Nell’800 sia la casa che il teatro furono distrutti per fare spazio all’Hotel Sacher, che ha donato al mondo la ricetta del celebre dolce ipercalorico, la cui fama supera di gran lunga quella di Vivaldi. Il Prete Rosso fu sepolto in una fossa comune con i peggio morti di fame e delinquenti, e la sua musica fu dimenticata fino a metà del XX secolo quando venne ripescato dalla palude dell’anonimato e tornò a risplendere nel panorama della storia della musica europea.

La storia della musica si divide tra grandi leccaculo apprezzati in vita e dimenticati appena morti ,vedi Salieri (se dovesse cadere nella conversazione, attaccatelo, definitelo mediocre e accusatelo della morte di Mozart) e altri stronzetti come lui, e casi umani sfortunati come Beethoven (chiamatelo sempre Ludovico Van con tanta estasi) e Vivaldi. Lungi da me stare dalla parte dei perdenti, ma i leccaculo non piacciono a nessuno, e Vivaldi ne ha passate veramente troppe, poraccio. In sua memoria e per il diletto di coloro che hanno avuto il buongusto di seguirmi fino a qui, vi lascio una perla: la geniale versione techno della follia di Vivaldi. Come usava dire ai miei tempi: TECHNOFOLLE.