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La foto di Renzi al supermercato è tutto quello che c'è da sapere sulla vita e il destino

Cosa ci dice della vita la foto di Renzi che porta il carrello alla Coop? Scopriamolo analizzandone tre elementi chiave.

Ieri sono tornato a casa dei miei in Calabria per le feste. Le cose che mi sono portato dietro da Milano sono due: la sensazione di essere perennemente intrappolato in un video di Casa Surace, e una fissa preoccupante per la foto di Renzi che fa la spesa a Pontassieve.

Ci ho pensato per tutto il viaggio. Inizialmente non sapevo dire cosa mi ossessionasse esattamente di questo scatto—che non escludo essere stato debitamente costruito per suggerire a pubblico e media il fatto che l'ex presidente del Consiglio adesso è tornato ad essere uno di noi. Però da quando l'ho visto non posso far altro che pensare, photo op o meno, che sia una gigantesca allegoria sulla vita e su come le cose possano andare storte in modo repentino e dolorosissimo. È scontato, ma lo è per forza.

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Voglio dire: fino a non meno di 18 giorni fa, la persona ritratta in questa foto stava perfezionando—ingranaggio per ingranaggio—il suo disegno di renzizzazione del paese. E non lo dico in modo spregiativo: Matteo Renzi stava oggettivamente influenzando la cultura popolare (esempio: i numerosi endorsement per il sì da parte dei vip), stava divorando l'intera scena politica, stava tirando su un immaginario e—contemporaneamente —uno spoiling system fatto per durare, stava riuscendo a far credere a parte degli elettori di sinistra che Verdini era un male inevitabile con dei bellissimi capelli bianchi molto curati.

Insomma: stava riuscendo a essere qualcosa meno di Berlusconi, ma decisamente qualcosa più di un Letta o di un Monti: eravamo quasi a livelli "Prodi", che nel centrosinistra è un modo come un altro per dire "Pontefice". Adesso, invece, è questo.

Il fatto che sia un'allegoria universale mi viene suggerito da più di un particolare, in realtà per niente vago o casuale. Ogni cosa che vedete in questa foto sembra sottenderne un'altra, ogni pixel urla allo stesso tempo "Presidente fermo così" e "Today's mood". Per questo ho provato ad analizzare quelli che considero i tre elementi principali della sua struttura scenica: i sacchetti nel carrello, il tragico piumino, l'espressione del volto.

I SACCHETTI NEL CARRELLO

Questa mattina i sacchetti del carrello della spesa di Matteo Renzi sono stati oggetto di dibattito in una chat—e mentre scrivo questa frase sto realizzando quanto, effettivamente, questo 2016 sia stato un anno piuttosto bizzarro.

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Per me, per esempio, sono la conferma del fatto che la foto è stata preparata con cura dei dettagli: non c'è niente che sia fuori posto. Non si vedono prodotti—sapientemente nascosti—che avrebbero alimentato le congetture dei giornalisti, tipo "Ah bene Renzi sta comprando del latte quindi: sta piangendo sul latte versato. Prima pagina ORA."

Non ci sono loghi e marche bene in vista che avrebbero legittimato accuse di product placement, fatta eccezione per i prodotti riconoscibili ma non palesemente esposti: il Pandoro capovolto BA**LI e gli EST****HÉ nella stessa spesa, come a voler dire che è pronto per tutte le stagioni—scusate sto congetturando.

Poi sono tuttavia subentrati altri pareri: il trick della spesa già disposta nei sacchetti per tipologia di prodotto. La presenza di quella che a molti in chat sembrava una borsa frigo, per salvaguardare i prodotti nel tragitto supermercato-casa. O l'uso del dispositivo "salvatempo" per evitare la coda alle casse, attaccato al manubrio del carrello e pronto a essere usato su ogni nuovo prodotto prelevato dagli scaffali. Forse non c'è nulla di preparato, e Matteo Renzi è semplicemente il manuale vivente del casalingo perfetto.

Se non è possibile sapere se la posa sia plastica o sincera, però, so che se dovessero stamparmi con un marchio a fuoco una gigantesca scritta "Complimenti!" che vada dalla nuca all'inizio del culo—esattamente come è successo a lui lo scorso 4 dicembre—vorrei avere l'accortezza di spingere un carrello colorato come il suo.

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Non c'è un sacchetto del colore dell'altro. Si combinano bene fra loro. E soprattutto sono allegri, farebbero pendant con la gioia di vivere che avvolge questo Natale. Quella altrui.

IL PIUMINO TRAGICO

Invece, se dovessi perdere un referendum costituzionale che avevo precedentemente caricato di significati personali e politici con un deflagrante 60 a 40, probabilmente mi ripresenterei qualche giorno dopo in piazza Navona avvolto in una tonaca color caki, dei pantaloni larghi e delle sneaker, urlando contro tutti che sono l'instabile e danzante vascello di dio—in pratica diventerei Kanye West.

Matteo Renzi, al contrario, ha deciso di presentarsi pubblicamente e nel suo paese—nel senso del Comune—guadando scaffali di prodotti per la casa in piumino grigio siderale e jeans da padre di famiglia con l'impronta del ginocchio. Per questo gli riconosco un certo coraggio.

Tuttavia non posso fare a meno di pormi delle domande, perché la scelta dell'outfit non deve essere stata casuale—nel caso in cui la foto fosse stata costruita ad arte, e perché comunque Renzi su queste cose di incredibile rilievo sociale è molto pignolo.

Mi chiedo, quindi: cosa sta cercando di dirci con questa scelta? Qual è stata la logica di questo accostamento cromatico? Perché è vestito come Rkomi? E perché penso che se Renzi potesse vomitare il suo dolore, quel dolore avrebbe esattamente il colore del suo Peuterey?

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Non so darmi una spiegazione. Mi piace comunque pensare che non sia stato lui, che non sia andata così. Mi piace pensarlo in boxer seduto sul letto ad ascoltare musica fintamente malinconica (Jovanotti?), mentre la moglie, bussando, si fa largo in camera e gli mette di fianco dei vestiti, piegati e adagiati delicatamente vicino a lui. "Ehi [sorriso]. Vieni. Dai. Andiamo a fare la spesa." Quegli inviti a far cose che non sono proprio necessarie, se non a tirar su il morale a qualcuno.

Probabilmente è stato vestito. Anzi, ne sono certo.

LA FACCIA 

Ma dimentichiamo per un attimo la bellezza dei flaconi sugli scaffali, delle confezioni di alcol rosa, dell'incredibile colore dei suoi jeans, dei sacchetti Coop tragicamente impilati sulla cassa di mandarini. Dimentichiamoli e concentriamoci sul punto focale della foto, l'epicentro verso il quale tutte le frecce immaginarie dello scatto puntano: quella faccia.

Questa faccia può diventare la summa di tutte le allegorie che vogliamo: tutte, basta che siano negative.

Ci si può vedere un popolare "Mainagioia", si può filtrare in modo più raffinato, spiegando che la sua espressione è l'esatta raffigurazione del vuoto di senso che convive col senso di vuoto che ci sta di fronte, e contemporaneamente ci divora dentro. Io sinceramente ho provato dell'empatia, e l'ho declinata adattandola ad esperienze di vita vissuta—le più banali, quelle di base, come se quella maschera affondasse fino al grado zero della tristezza generica.

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Come l'ultimo giorno della quarta elementare, quando ti rendi conto che la compagna di classe a cui hai prestato a uno a uno tutti i tuoi Caran d'Ache acquarellabili senza mai richiederglieli indietro, che ha accettato l'invito al tuo compleanno—che è a luglio, quando sono tutti in vacanza, ma lei ha già detto di sì—e a cui non più tardi di dieci minuti fa ti sei dichiarato dopo aver rimandato per tutto l'anno scolastico è in cortile e sta tenendo per mano un altro bambino.

La mascella protende verso il basso. Lo sguardo che sembra guardare qualcosa, ma in realtà è fisso su una schermata nera in codice html che stai cercando di decifrare—quella è la vita. "È così che ci si deve sentire," pensi per tutta la notte dell'ultimo giorno di scuola. Fa male quasi fisicamente: non tanto per l'occasione mancata, quanto per lo smacco, la debacle. Hai lanciato un'OPA ostile su un territorio ad alto rischio, hai salutato la fortuna con entrambe le mani mentre correvi in bici e il manubrio impazziva. In sostanza avevi proposto un referendum sulla tua persona. E ora l'hai perso clamorosamente.

Se c'è una cosa che tutti imparariamo da quella esperienza, è: nulla. Dalla foto di Renzi, invece, ho imparato che bisogna insacchettare i prodotti già dal carrello, e che la coop di Pontassieve è un'Ambasciata dell'umanità: puoi esser stato il presidente del Consiglio del posto e farti vedere tranquillamente in pubblico a scegliere le confezioni di uova da quattro, puoi lanciarti in capriole linguistiche e stratagemmi di conquista raffinati e ammiccanti, ma non sarai mai nulla. Sarai per sempre invisibile: trasparente, in grigio siderale, o nascosto dentro un sacchetto di plastica colorata.

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