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La guida di Motherboard agli esopianeti

La tecnologia e la scienza stanno semplificando qualunque aspetto della nostra vita, ma se c’è una cosa che rimane ancora difficilissima quella cosa è stare sul pezzo. Il 2018 sarà un anno cruciale per tantissimi ambiti che non hanno, il più delle volte, direttamente a che fare con la nostra vita, ma che la influenzeranno radicalmente nel futuro prossimo.

Per questo motivo abbiamo deciso di creare La Guida di Motherboard al 2018, una serie di articoli introduttivi su quelli che, per noi, saranno i temi più importanti dell’anno. Così al prossimo pranzo di famiglia non fate brutta figura, non ringraziateci.

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L’esistenza di pianeti al di fuori del sistema solare è probabilmente una delle scoperte più importanti mai fatte dall’umanità. Per quanto speculata fin dall’inizio del secolo scorso, è diventata oggetto di osservazioni scientifiche solo col finire degli anni Ottanta — oggi siamo ben consapevoli che la presenza di pianeti che orbitano stelle non è un fenomeno peculiare, bensì l’ordinarietà.

Il primo esopianeta fu scoperto il 5 ottobre 1995 dagli astrofisici Michael Mayor e Didier Queloz dell’osservatorio di Ginevra: trovarono un pianeta con massa paragonabile a quella di Giove attorno alla stella 51 Pegasi, a circa 50 anni luce da noi.

Nel frattempo, sono stati scoperti più di 3500 esopianeti attorno a differenti tipi di stelle — cosa che sottolinea la varietà degli scenari possibili — e sembra che la partita sia appena cominciata.

Il 2018 si preannuncia come un anno importante per questa branca della ricerca astrofisica, ma scovare un mondo che vaga attorno a una stella distante anni luce non è facile: ci vuole la giusta tecnologia per ottenere misure precisissime e ci vogliono le idee buone. Esistono diverse tecniche per scovare un’esopianeta, come sfruttare la luce del suo sole, l’attrazione gravitazionale, la teoria della relatività e persino l’osservazione diretta.

Illustrazione: Numero1Studio

LUMINOSITÀ INTERMITTENTE

Immaginate di osservare una stella per un periodo abbastanza prolungato: potete osservare una certa quantità di luce che arriva al vostro strumento di misura. Se però qualcosa passa davanti alla stella, allora si osserverà un temporaneo calo di luminosità. Se il fenomeno si ripete in modo periodico… Complimenti, avete appena trovato un esopianeta.

Dal calo di luminosità causato dal transito di un esopianeta si possono ricavare molte informazioni: se la luminosità della stella diminuisce molto, vuol dire che l’esopianeta è di grosse dimensioni; oppure, se il transito dura molto tempo, allora l’esopianeta si trova molto distante dalla stella.

Illustrazione NASA sul funzionamento della tecnica di osservazione a luminosità intermittente. Immagine: NASA / Traduzione: Motherboard

Per ottenere queste informazioni, ciò che si fa è confrontare i dati osservati della luce della stella con un modello teorico che sia in grado di riprodurli e in cui abbiamo inserito ipotetiche masse, dimensioni e composizioni degli esopianeti.

Il telescopio spaziale NASA Kepler ha scoperto migliaia di esopianeti in questo modo. È stato il caso, per esempio, del sistema di sette esopianeti scoperti a orbitare la stella TRAPPIST-1, che, secondo i modelli, sarebbero tutti rocciosi come la Terra.

O, ancora, il caso della scoperta degli enormi cali di luminosità della stella di Tabby nel 2015, (altrimenti nota come KIC 8462852), che prende il nome della sua scopritrice, l’astrofisica Tabetha Boyajian. In un primo momento, il comportamento bizzarro del corpo celeste aveva spinto gli astrofisici a ipotizzare l’esistenza di mega-strutture aliene attorno alla stella, idea che ha infiammato il dibattito per diverso tempo.

“Studiare sistemi come KIC 8462852 potrebbe essere la chiave per comprendere i processi caotici che avvengono nei sistemi planetari.”

I radiotelescopi di tutta la Terra hanno teso l’orecchio in direzione della stella di Tabby per provare a captare eventuali segnali di origine extra-terrestre. Uno studio collettivo recente ha però suggerito che la causa dei cali di luminosità sia dovuta alla polvere che circonderebbe il sistema stellare.

Boyajian ha spiegato a Motherboard via email che “sarebbe importantissimo poter studiare KIC 8462852 tramite osservazioni negli infrarossi, per capire l’ambiente intorno alla stella.” Inoltre, “Studiare sistemi come KIC 8462852 potrebbe essere la chiave per comprendere i processi caotici che avvengono nei sistemi planetari.”

FORZA DI GRAVITÀ

Un esopianeta che orbita attorno a una stella farà muovere anche la stella stessa: per colpa della gravità, stella ed esopianeta si attraggono reciprocamente e si muovono di conseguenza. La stella si muove poco perché ha una massa molto più grande dell’esopianeta, ma si muove.

Immagine: NASA

Questo moto della stella può essere misurato con lo stesso principio con cui funziona l’autovelox per le automobili. La luce che noi osserviamo provenire dalla stella cambia frequenza a seconda che si avvicini o si allontani da noi lungo la nostra linea di vista: questo cambio di frequenza della luce è misurabile e ci permette di stimare la velocità della stella. Se l’effetto è grande, allora sarà grosso anche l’esopianeta che lo causa. Anche qui, si osservano i dati e poi si trova un modello in grado di riprodurre ciò che si è osservato. Il primo esopianeta scoperto nel 1995 fu trovato proprio grazie a questo sistema.

I telescopi Keck alle Hawaii e l’osservatorio La Silla in Cile hanno scoperto centinaia di esopianeti con questo metodo. Anche il nostro vicino di casa, l’esopianeta Proxima b, che orbita attorno alla stella Proxima Centauri, a soli (si fa per dire) 4.23 anni luce di distanza da noi è stato scoperto così, nel 2016.

OSSERVAZIONE DIRETTA

Osservare direttamente un esopianeta al telescopio, come quando osserviamo la Luna o i pianeti del sistema solare, invece, non è affatto semplice.

Al momento, gli esopianeti scoperti tramite osservazione diretta sono meno di una cinquantina.

30 anni di scoperte di esopianeti in 30 secondi.

Il problema è che l’eventuale esopianeta è immerso nel mare di luce della stella attorno a cui orbita. Il trucco sarebbe quello di bloccare — o almeno attenuare — la fonte luminosa, senza farla entrare nel telescopio con cui osserviamo. Per riuscirci, vengono usati piccoli schermi montati sui telescopi negli osservatori astronomici sparsi sulla Terra.

TEORIA DELLA RELATIVITÀ

Per scoprire un esopianeta possiamo infine chiedere aiuto ad Albert Einstein. Secondo la teoria della relatività, lo spazio-tempo è distorto a causa della presenza di una massa. In questo caso, la luce si muove non più in linea retta ma seguendo la struttura distorta dello spazio-tempo.

Un esopianeta, in quanto massa, modifica la struttura dello spazio-tempo e, passando davanti a una stella, esso agisce come una piccola lente: la luce della stella non si muove più in linea retta verso di noi sulla Terra ma viene come messa a fuoco e la stella appare più luminosa. Questo effetto, molto piccolo nel caso degli esopianeti, si chiama microlensing e ha permesso di trovare circa cinquanta nuovi mondi finora.

Grazie al microlensing è anche possibile scoprire quelli che sono veri e propri pianeti erranti (detti anche interstellari), cioè che non appartengono ad alcun sistema solare — magari perché espulsi dal loro sistema solare originario e costretti a vagare nella galassia senza meta. Quando un pianeta errante si muove nel cielo e passa davanti a una stella sullo sfondo, avviene un improvviso fenomeno di microlensing: la stella sullo sfondo aumenta la propria luminosità per un attimo prima di tornare al suo livello standard. I pianeti erranti sono difficili da osservare, eppure grazie al microlensing sappiamo che esistono.

Il prossimo futuro potrebbe essere più che roseo: il satellite ESA Gaia sta scrutando il cielo proprio in questo momento per misurare in maniera estremamente precisa la posizione di circa un miliardo di stelle nella nostra Galassia. Questo permette di tenere sotto controllo eventuali piccoli spostamenti nella posizione delle stelle, anche causati dalla presenza di esopianeti. Misurare le posizioni in cielo delle stelle è compito dell’astrometria; gli astrofisici si aspettano di trovare migliaia di pianeti con questa tecnica molto ingegnosa ma che richiede una precisone incredibile. Finora, solo un esopianeta è stato scoperto grazie all’astrometria.

LA RICERCA DEGLI ESOPIANETI CON TESS

Kepler ha fatto un gran lavoro, senza dubbio. Tuttavia ha studiato solo una piccola porzione di cielo, spesso trovando pianeti attorno a stelle molto lontane e deboli, per le quali risultava difficile ottenere dati riguardo l’atmosfera. Non tutte le stelle sono uguali tra loro e non tutte le stelle sono uguali al nostro Sole. Alcune stelle sono più grandi e calde, altre più piccole e più fredde. In altre parole, trovare un esopianeta con dimensioni simili alla Terra non è sufficiente: bisogna anche che sia a una ben determinata distanza dalla sua stella, chiamata fascia — o zona — abitabile.

La fascia abitabile è quella regione attorno a una stella in cui un esopianeta avrebbe idealmente le condizioni per poter avere acqua liquida sulla propria superficie. Tuttavia, anche questo non basta: sarebbe necessario anche capire se un esopianeta ha un’atmosfera e, in caso affermativo, la composizione di tale atmosfera.

Ora, sempre utilizzando il metodo dei transiti, per provare a fare qualcosa di più, è arrivato NASA TESS (Transiting Exoplanet Survey Satellite), un satellite che osserverà tutto il cielo, focalizzandosi su stelle più brillanti e più vicine di quelle osservate da Kepler.

Trovare esopianeti attorno a stelle più brillanti permette di osservarli, in una seconda fase, anche con telescopi da Terra — per provare, studiandone la luce, a capire come sono fatte le rispettive atmosfere: infatti, quando la luce della stella passa attraverso l’eventuale strato di atmosfera di un esopianeta, i gas presenti la assorbono a determinate frequenze. Attraverso una tecnica chiamata spettroscopia — che in sostanza equivale a far passare la luce attraverso un prisma di vetro — è possibile capire cosa contenga l’atmosfera degli esopianeti e magari capire quali di loro, oltre a essere rocciosi, delle dimensioni giuste e alla giusta distanza dalla stella, possa presentare una composizione di gas potenzialmente favorevoli a ospitare la vita.

Il lancio di TESS è previsto a marzo 2018 e si preannuncia come una missione fondamentale. I primi dati dovrebbero già arrivare entro la seconda metà dell’anno e — chissà — magari anche le prime sorprese. Con i nuovi dati, TESS darà un forte impulso al miglioramento delle tecniche di osservazione degli esopianeti e delle loro caratteristiche, in stretta sinergia con gli osservatori astronomici sulla Terra.

TESS darà un forte impulso al miglioramento delle tecniche di osservazione degli esopianeti e delle loro caratteristiche, in stretta sinergia con gli osservatori astronomici sulla Terra.

Lo scopo finale è sempre quello di ottenere indizi riguardo l’eventuale presenza di vita: acquisire direttamente l’immagine di un esopianeta potrebbe permettere di studiare meglio le caratteristiche di un’eventuale atmosfera, o addirittura di oceani sulla superficie di altri mondi lontani.

MOLI DI DATI

Una delle questioni da affrontare nell’immediato futuro, soprattutto con l’inizio della missione TESS, è l’aumento del volume di dati che avremo a disposizione. Il telescopio spaziale Kepler è lo strumento che ha scoperto più esopianeti finora. Questo anche perché i dati raccolti da Kepler sono davvero tanti. Quando i dati sono troppi, l’ideale è rendere il processo di analisi il più automatico possibile. Per esempio, tramite il machine learning, un insieme di metodi computazionali per insegnare a un algoritmo come riconoscere determinate strutture nei dati.

I primi passi in questa direzione sono stati fatti a dicembre 2017 da Christopher J. Shaulle di Google e dall’astrofisico dello Smithsonian Andrew Vanderburg, che hanno scovato i primi due nuovi esopianeti con questa tecnica, solo scandagliando i dati Kepler.

È possibile ipotizzare che, nel prossimo futuro, gli algoritmi che si basano sul machine learning saranno un’opzione sempre più valida in astronomia: inoltre, i dati di Kepler sono pubblici, così come il software di machine learning, mentre i codici lo saranno presto. Chiunque, in altre parole, potrà provare a scoprire esopianeti dal salotto di casa. Il machine learning, tuttavia, non sostituirà totalmente astrofisici in carne e ossa: “uno dei limiti di questa tecnica,” ha spiegato Vanderburg a Motherboard per email,“è che non va molto bene per scovare segnali insoliti, cioè segnali per cui l’algoritmo non è stato allenato. In questo senso, niente può superare l’occhio attento di un essere umano.”


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Alla fine dell’anno, poi, anche l’ESA farà la sua parte e metterà in orbita CHEOPS (CHaracterising ExOPlanets Satellite), un satellite che avrà lo scopo di misurare, tramite il metodo dei transiti, il raggio degli esopianeti di cui già conosciamo la massa grazie al metodo delle velocità radiali. Conoscere sia la massa che le dimensioni è fondamentale, perché permette di stimare di quali materiali è fatto il pianeta, per esempio se è roccioso oppure no.

Il 2018 potrebbe dunque essere un anno di svolta per la ricerca degli esopianeti, in particolare per la ricerca di mondi che somigliano al nostro. Scoprire pianeti simili alla Terra e relativamente vicini a noi, implica poter compiere osservazioni da Terra — finora impossibili —, per capire — letteralmente — che aria si respira da quelle parti. Perché, alla fine, lo scopo di tutto è proprio trovare altri pianeti abitabili: mai come quest’anno possiamo iniziare a pensare seriamente di fare passi decisivi in questa direzione. Conserviamo dunque ancora un po’ di meraviglia, ne avremo bisogno.

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