Gli Iron Monkey sono emersi dalle viscere della grigia Gran Bretagna anni Novanta senza un piano preciso, se non di fare un gran casino. Il risultato mette insieme groove a basse frequenze con la brutale aggressività del crust-punk, liriche venefiche, artwork da TSO e la voce forse più allucinante che sia mai stata incisa su nastro. Nel corso della loro breve e incredibilmente caotica carriera sono riusciti a sfornare la musica più vitale del panorama sludge, un ululato da cane rabbioso nella pioggia incessante di Nottingham.
La band è nata nel 1994 ed era formata dal fu Johnny Morrow (voce), Doug Dalziel (basso), Justin Greaves (batteria), Steve Watson (chitarra) e Jim Rushby (chitarra). I loro palchi erano quelli dei pub e delle salette, ai margini della scena hardcore di Nottingham, in cui spiccavano per la loro attitudine provocatoria che vedeva Morrow aggirarsi per il palco con lo sguardo di un pazzo cannibale in cerca di carne; gli occhi fuori dalle orbite mentre emetteva urla disumane, e la band attorno a lui che macinava riff talmente pesanti da creare il vuoto pneumatico nella stanza: l’effetto d’insieme era da scarpe di cemento.
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La discografia degli Iron Monkey è risicata ma fondamentale. Un EP (Iron Monkey del 1996), un LP (il terrificante Our Problem del 1998), un 10″ split e il live postumo del 2003 Ruined by Idiots, tutto qua. Eppure la reputazione da band di culto dell’underground non ha fatto che crescere dal loro scioglimento nel 1999—cosa che il batterista originale (ed ex Electric Wizard/membro attivo dei Crippled Black Phoenix) Justin Greaves trova incredibile.
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“Non avevamo alcun piano. La gente diceva che assomigliavamo agli Eyehategod“, dice, ricordando gli anni della Scimmia.
“Immagino lo dicessero perché era effettivamente il paragone più semplice. Ma mi ricordo di quando i Crowbar suonarono a Nottingham con Jimmy [Bower, chitarrista degli Eyehategod] alla batteria. Rimasero a dormire a casa nostra, e ci facemmo un sacco di risate parlando della gente che parlava di rivalità ‘Iron Monkey vs. Eyehategod’ o robe così. Nessuno seppe mai che noi ce ne stavamo nella stessa stanza a ridere. Gli Iron Monkey non volevano imitare nessuno. È stato il classico caso di due band formate da gente con la stessa collezione di dischi, gente cresciuta tra punk hardcore e Black Sabbath. Avevamo tutti i dischi dei Sabbath, dei Saint Vitus, dei Black Flag. Poi c’era anche roba più nuova come i Grief, che giravano nello stesso nostro periodo. Era un misto di roba lenta e pesante e punk rock.”
L’incontro tra l’estetica hardcore e la fanghiglia catramosa doom fa il suo debutto nell’EP omonimo della band, nel 1996. Iron Monkey è un attacco esagerato che puzza di sidro da 50 centesimi, acqua di bong rovesciata sul tappeto e una rabbia bruciante. Dalla cover art—un bizzarro collage di fricchettoni anni Sessanta che, quando dispiegato, rivelava un grafico satanico (85 percento Preoccupazioni, 15 percento Morti)—al criptico contenuto dei testi, il disco trascina l’ascoltatore in un vortice di paranoia e smania malsana. Doug Dalziel e Justin Greaves gettano fondamenta ritmiche che colpiscono come una pizza da parte di una statua di pietra, mentre Jim Rushby e Stu O’ Hara intrecciano riff appiccicosi come l’asfalto ad agosto. Tracce come “Fink Dial” e “Big Loader” risultano accessibili grazie alla pura bontà dei riff. Non c’è la corsa ad andare più lenti degli altri, più pesanti degli altri, ci sono solo una vitalità e un’energia creativa che poche band dello stesso sottogenere possedevano.
Dal punto di vista dei testi, i Monkey giocano il gioco dell’indovinello apocalittico. Morrow scarabocchiava parole al banco dello skate shop in cui lavorava e i suoi testi catartici esibiscono una potenza ermetica, un bizzarro approccio cut-up che ricorda fortemente William S. Burroughs. Prendiamo “Shrimp Fist”, per esempio: “God Bless Pig God/Dead Imperial Mile/ Hung Sliced, crushed by Atomic Beak/ Internals fucked by cerebral arrow/Bastard thoughts fit to fuck worlds”. Lo stile sguaiato di Morrow, tuttavia, riusciva anche a mettere in ombra il contenuto lirico—il suo ululato folle rende il testo scritto essenziale per chi volesse decifrare quello che dice.
‘‘Il modo di cantare di Johnny è semplicemente venuto fuori così”, rivela ridendo Greaves. “Oggi posso confermare che non c’è stato alcun pensiero programmatico dietro quello che facevamo. Ho una cassetta che contiene una delle prime prove degli Iron Monkey, piena di canzoni crust punk con il blast beat eccetera. Veniva come veniva. Johnny non ha mai parlato di un’idea di come impostare il cantato; penso abbia iniziato a urlare perché in sala prove suonavamo tutti veramente fortissimo. Non ho idea di come ci riuscisse, comunque. Non gli veniva neanche mai il mal di gola.”
Prodotto dal leggendario produttore metal Andy Sneap e uscito per Earache, il loro primo EP era di una pesantezza incredibile fin dall’inizio, un banchetto di rabbia catartica e boogie ballabile. Pezzi come “Web of Piss” sono allo stesso tempo schiacciasassi e altalena, con l’onnipresente carico di profondità delle basse che fornisce anche il rollio necessario alla meditazione e all’ipnosi.
“A dir la verità penso che gli album siano piuttosto melodici”, rivela Greaves. “Li abbiamo registrati in velocità, senza sovraincisioni. Abbiamo solo cercato il suono di chitarra più fastidioso e suonato al volume più alto possibile. Andy Sneap ha un po’ smussato gli angoli senza dircelo, per cui quando l’album è uscito suonava molto meglio di quello che avevamo previsto. Oggi mi interesso di più di questioni tecniche di registrazione, ma allora conoscevamo Sneap perché aveva già registrato gli Hard to Swallow—la band hardcore che avevamo prima degli Iron Monkey—, che erano su Union Mill. Il primo EP dei Monkey l’ha fatto in due giorni per 150 sterline, mentre per il secondo album ci fa: ‘Ah, siete su Earache adesso: ne voglio novemila’”.
Anche se l’EP Iron Monkey—originariamente uscito sulla piccola etichetta hardcore Union Mill—e i loro concerti gli guadagnarono l’attenzione della Earache Records, gli Iron Monkey all’inizio non erano molto convinti di voler firmare per quella che, nel mondo del metal underground, era una grossa label.
“Non ho idea del perché la Earache ci abbia voluti. Continuavamo a dire di no e mi ricordo chiaramente di Johnny che ha sputato addosso a Dig [Digby Pearson, fondatore della Earache] durante un concerto all’Old Angel di Nottingham”, dice Greaves ridendo. “Qualcuno l’aveva anche avvisato: ‘Non riuscirai mai a far firmare gli Iron Monkey’… e guarda cos’è successo. Ci deve aver tentato offrendoci un curry o qualcosa del genere. A essere sinceri, però, siamo finiti per firmare perché dopo un concerto con i nostri amici Acrimony ci siamo ritrovati con gli strumenti tutti distrutti. La grancassa era stata sfondata con una sedia. Avevamo anche problemi a pagare l’affitto della sala prove, e siamo arrivati al punto in cui non riuscivamo più a fare le prove, non potevamo più fare concerti, non potevamo fare più nulla. La Earache ci ha messo davanti un bel rotolo di soldi e—visto che eravamo dei venduti di merda—l’abbiamo preso [ride]. Più tardi, ci siamo resi conto che era stata una pessima idea, davvero pessima.”
Anche se il contratto con la Earache e la conseguente copertura della stampa hanno fatto guadagnare agli Iron Monkey una nuova, sostanziosa fetta di pubblico, andare in tour rimaneva un problema. Il contratto non ebbe alcuna ricaduta economica per i membri della band, i quali lavoravano tutti per mantenersi, e tanto i fondi quanto il supporto manageriale dell’etichetta non sembravano arrivare.
Lo stesso Greaves quando non suonava montava palchi di gente come Status Quo, Mogwai e i monaci Shaolin. “Mi toccava lavare le tuniche arancioni”, ricorda. Dopo poco, però, gli Iron Monkey sono finiti al centro di una polemica, accusati di avere un’atteggiamento “aggressivo” in tour. Sono stati banditi da ogni locale Mean Fiddler di Londra a causa di una controversia con un promoter: un bel problema per una band emergente.
“Non è che andassimo in cerca di problemi, ma non facevamo nemmeno di tutto per evitarli. Per quanto io ami gli Iron Monkey, spesso era una vera rottura di cazzo. Tutti ci fregavano: promoter, manager, l’etichetta. Eravamo molto determinati. Sapevamo cosa volevamo e nessuno poteva convincerci a fare diversamente—una band così non può durare [ride]. Voglio dire, Kerrang e Terrorizer ci adoravano. E pompavano gli aspetti più estremi: ‘Iron Monkey: la band che fa scatenare le rivolte!’ Ma poi quando andavamo a suonare a Londra ci trovavamo davanti 50 persone.”
Quando sono arrivati a registrare il loro vero primo LP nel 1998, i tour incessanti avevano trasformato il loro suono in un ibrido hardcore ancora più potente. “Bad Year” è un pezzo velocissimo per i loro standard, e la mitica “Charlton Heston’s Floor”—che non figura sull’LP ma è stata inclusa in Ruined by Idiots—era un assalto frontale totalmente folle e mostra meglio di ogni altra canzone la fantastica tecnica di Greaves, che ci dà dentro con la cowbell.
“Dopo l’album abbiamo continuato a suonare molto. Però diventava sempre più assurdo, perché eravamo totalmente al verde”, racconta Greaves ridendo. “Ricordo che abbiamo suonato al Dynamo—un festival gigante—e dopo il concerto dei Metallica ci siamo messi a perlustrare il terreno alla ricerca di monetine e accendini. Eravamo a quel livello.”
“Ci fottevano tutti, nessuno ci pagava equamente, e poi nei guai ci finivamo noi perché ce la prendevamo con lo stronzo del promoter che non ci aveva procurato un furgone per riportarci a casa. Non è che facessimo i duri, ma penso che alcune persone non fossero preparate ad avere a che fare con una band disposta a lanciare dei mattoni contro le finestre per cinquanta sterline. Ma quei soldi facevano la differenza tra tornare a casa e non tornarci”, continua Greaves.
L’onnipresente tensione dei tour peggiorò durante gli ultimi mesi della band a causa della salute in continuo peggioramento del cantante Johnny Morrow, che, all’insaputa della band, soffriva di una malattia mortale ai reni.
“Quando Johnny si è ammalato, tutto è diventato molto più difficile. L’ultimo tour che abbiamo fatto con i Pro-Pain è stato davvero terribile”, dice Greaves. “Johnny stava davvero male e nessuno riusciva a capire perché. Era piena estate, e lui stava nel sacco a pelo, indossando una felpa e una giacca, tremante, di colorito giallognolo. In Polonia ci siamo decisi a portarlo da un medico, e lui ha detto: ‘Deve andare a casa, è in pericolo di vita’, per cui abbiamo chiamato subito la Earache—e loro si sono rifiutati di mandarci dei soldi. Il nostro manager, non lo dimenticherò mai, ci ha detto: ‘Che cosa dovrei farci io?’. Ma i Pro-Pain sono le persone più gentili del mondo, e ci hanno dato i soldi che avevano tirato su con il merch per l’aereo di Johnny. Non in prestito. Quando siamo arrivati a casa abbiamo chiamato la Earache e abbiamo comunicato che non volevamo più lavorare con loro, basta, non avrebbero più avuto a che fare con gli Iron Monkey. Gli abbiamo detto che se non avessero annullato il contratto ci saremmo sciolti. Non ci hanno creduto, così abbiamo dovuto farlo davvero—ed è finita così. Circa dieci giorni dopo il tour.”
Johnny Morrow è morto il 2 giugno 2002. Dopo la fine degli Iron Monkey aveva formato una nuova band (Murder One) e aveva lavorato alla compilation Ruined by Idiots (uscita postuma nel 2003). Quanto segue è ciò che Greaves ci ha comunicato sul modo in cui la Earache ha utilizzato il catalogo della band dalla morte di Morrow e sull’influenza della band che dura ancora oggi.
“Ogni tanto la Earache mi comunica qualche stronzata. Hanno fatto una montagna di soldi grazie agli Iron Monkey e non ne hanno mai reso conto a me o a nessun altro. Da quando ci siamo sciolti ho ricevuto un solo minuscolo pagamento di royalty da parte loro. E poi hanno fatto uscire le versioni in vinile senza dirlo a nessuno di noi—io non ne ho nemmeno ricevuto una copia. Non voglio essere cinico, ma le hanno anche fatte uscire per l’anniversario della morte di Johnny, il decimo anniversario, nel 2012. Pubblicano questi dischi e dicono che è in memoria di Johnny Morrow, ma non hanno nemmeno voluto pagargli il volo quando stava male e ci serviva aiuto. È una merda.”
“Penso che a volte serva la morte di qualcuno per creare una band di culto”, ragiona Greaves. “È stato un peccato, perché Johnny era un nostro amico e una persona fantastica, e all’improvviso ti ritrovi migliaia di persone che ti dicono che gli volevano bene e che lo avevano conosciuto o visto dal vivo o cose del genere. Be’, il nostro primo concerto è stato davanti a 40 persone, l’ultimo davanti a 45. Non eravamo niente di speciale; non lo eravamo allora e non lo siamo oggi. Ci manca tantissimo, ma per quanto riguarda la band, l’abbiamo davvero seppellita. Ma sono molto orgoglioso della musica che abbiamo fatto insieme.”