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I Drive Like Jehu, un organo gigante e la miglior reunion di tutti i tempi

“Non c’erano mai state tante persone qui dal 1915,” mi racconta un uomo avanti con gli anni mentre scatta delle fotografie. Si riferisce all’anno in cui l’organo più grande del mondo, Lo Spreckles Organ, fu mostrato al pubblico nella periferia di San Diego, California. Probabilmente quest’uomo non era qui, quel giorno, ma sono piuttosto sicuro che un organo vecchio di novantanove anni non attiri esattamente la stessa folla del 1915.

E poi sono arrivati i Drive Like Jehu.

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Di solito le band si riuniscono ai festival, è la cosa che ha più senso da un punto di vista finanziario, in più ci sono abbastanza altre band con un immaginario simile da far sì che il rischio di un flop diventi davvero minimo. Non c’è molto da discuterne, è così e basta. Se sei proprio smanioso di vedere quel gruppo che si è sciolto prima ancora che tu e l’internet esisteste, allora preparati a sopportare il processo di de-umanizzazione stile The Human Centipede che è necessario per partecipare ad un festival moderno. Per sconfessare questa formula (ci sono dozzine di pettegolezzi a proposito di organizzatori di festival che hanno offerto ai DLJ di riunirsi su questo o quel palco) e organizzare il spettacolo a ingresso gratuito è richiesta una buona dose di palle. È perfettamente evidente quanto i Drike Like Jehu siano in possesso di questo requisito.

Drive Like Jehu

Con appena due settimane di scarto tra l’annuncio della reunion e l’esibizione vera e propria, ha iniziato a diffondersi la voce che avrebbero suonato soltanto cinque pezzi, accompagnati da un organista che li avrebbe seguiti improvvisando. Era ovvio fin dall’inizio che tutto fosse stato costruito sulla base di un interesse della band nei confronti del suono dell’organo, e per rendere finalmente possibile questo desiderio hanno deciso di esibirsi ancora una volta, senza promettere nient’altro.

L’organista Carol Williams (la prima donna a diventare Civico Organista) è salita sul palco per prima e ha scaldato il pubblico con un pezzo del suo repertorio, tratto dal Fantasma Dell’Opera, riuscendo anche a far piangere alcuni bambini. Poi ha presentato la band e quasi duemila persone sono passate dal quasi-silenzio dell’organo ad un’eccitazione covata per vent’anni quando John Reis ha iniziato a suonare il riff di “Do You Compute”. È stato un momento speciale, sentire quel riff per la prima volta in vent’anni, svettante sopra il suono di quattromila canne d’organo con una strana dissonanza. Ha continuato ad essere speciale per tutta la serata.

Per un momento, all’inizio dell’esibizione, è sembravo che Reis e gli altri avessero deciso di farsi il culo giusto il minimo indispensabile, ma appena hanno attaccato col secondo pezzo, “Super Unison”, è stato chiaro a tutti quanto in realtà si stessero divertendo. La voce di Rick Froberg era proprio come tutti la ricordavano in Hot Snakes, l’ultimo lavoro del gruppo, e Mark Trombino indossava gli stessi guanti neri. Il suono dell’organo è stato più prominente durante “Sinews”, sfortunatamente in molte occasioni i volumi della band lo hanno sovrastato, ma alla fine è uscito benissimo proprio nella canzone più dinamica e spigolosa, come se fosse stato pensato per stare lì fin dalla stesura originale del pezzo.

Drive Like Jehu

Gli scettici che hanno pensato che non valesse la pena di fare un viaggio per un’esibizione di soli cinque pezzi probabilmente si stavano mangiando le mani. Infatti la band ha impiegato trenta minuti per suonare i primi tre pezzi, e altrettanti trenta per completare la performance con “If It Kills You” (l’unica tratta dal loro album omonimo) e “Luau”. Un elegantissimo Rob Crow ha cantato le sue parti originali, che erano state registrate venti anni prima, mentre il sole calava e la band chiudeva l’esibizione.

L’intera esperienza è stata agli antipodi di una classica reunion. Uno staff composto per la metà di volontari spinti dal senso civico nei confronti di uno strumento/monumento della città, un pizzico di recital e un po’ di caos. La band si è riunita in un luogo pubblico nel quale c’erano lo stesso numero di bambini, anziani, cani al guanzaglio e papà che un tempo erano punk e fan storici della band. Niente bancarelle, niente cagate alla moda, niente bottigliette d’acqua da otto dollari, solo buona musica e puro stile.

Drive Like Jehu

Un momento cruciale della serata è stato quando Carol Williams ha cercato di avvicinarsi alla fine del palco, immaginando di dover fare un inchino al pubblico. In realtà la band si è subito allontanata, e quando Froburg si è accorto di lei le ha sorriso, e le ha sussurrato all’orecchio: “a dire il vero, noi non ci inchiniamo”.