Dopo il goal che ha permesso all’ACF Wimbledon di trionfare sul Plymouth nella finale playout di League Two, abbiamo riproposto quest’intervista a Adebayo Akinfenwa realizzata l’anno scorso da VICE Sports.
Il telefono squilla con quello strano riverbero che senti quando chiami all’estero. In pochi secondi Adebayo Akinfenwa risponde e dice di sentirti a malapena. Non importa poi molto, perché in ogni caso non sa chi sei, e non riconosce il numero di telefono. Lo hanno chiamato a decine in queste settimane, molti che come te non avevano mai sentito parlare dell’AFC Wimbledon e men che meno dell’esistenza di un attaccante di nome Adebayo Akinfenwa. Così adesso non è più in grado di riconoscere chi sta dall’altra parte della cornetta.
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“Ah sì, dagli Stati Uniti,” dice, dopo che che gli ricordo dell’intervista che avevamo fissato. Mi chiede se lo posso richiamare mezz’ora dopo. Sembra che tutte queste interviste abbiano esaurito la batteria del suo cellulare. Lui e il suo telefono hanno bisogno di una pausa.
Fino all’inizio del 2015 il trentaduenne Akinfenwa viveva ai margini della popolarità. Nel Regno Unito è diventato famoso come giocatore fisicamente più prestante di FIFA (97 di forza), ed era noto tra gli ultras come l’attaccante di presenza—178 cm per 102 chili—delle leghe minori con l’account Twitter divertente. Sul campo è impossibile non notare Akinfenwa. Sembra un carro armato tedesco in mezzo a un mucchio di Fiat.
Akinfenwa era soddisfatto della sua piccola fama, ma poi il 5 gennaio 2015 il Wimbledon ha incontrato il Liverpool al terzo turno della FA Cup, dove i Reds hanno faticato per un 2-1. A tratti il Wimbledon—che è nella League 2, ossia la quarta serie del calcio inglese—è sembrata la squadra più determinata se non la migliore tra le due. “Abbiamo quasi fermato il Liverpool,” ha dichiarato Akinfenwa.
Al 36esimo minuto, dopo un’ammucchiata in area su un calcio d’angolo del Wimbledon, Akinfenwa ha beffato il portiere del Liverpool Simon Mignolet con una palla lenta portando il punteggio sull’uno a uno. Per diversi gloriosi momenti è sembrato che il Wimbledon potesse ribaltare il risultato. C’era qualcosa di magico quando quel gigante ha segnato il gol più importante della sua carriera da professionista contro la squadra che tifava da ragazzino.
“Segnare contro una squadra che tifavo non ha prezzo,” ha detto Akinfenwa. “È stato un momento surreale. Sul campo li guardavamo come 11 normalissimi giocatori. Ma dopo la sconfitta siamo tornati a essere dei tifosi. Non ci puoi fare niente. Loro sono i giocatori che sogniamo di essere.”
Il Liverpool ha poi vinto la partita—con due gol di Gerrard, uno dei giocatori preferiti di Akinfenwa—ma quello di cui tutti parlavano era la curiosa immagine di Akinfenwa, che in campo sembrava grosso quasi il doppio di chiunque altro. Akinfenwa si è così guadagnato il sostegno di un nuovo gruppo di fan in tutto il mondo. Alla fine della partita si è avvicinato alla leggenda del Liverpool e gli ha chiesto la maglia. Gerrard—alla sua ultima stagione con il Liverpool—ha detto ad Akinfenwa che avrebbe conservato per sé la maglietta con cui aveva giocato quella partita.
Ma ha aggiunto, “Non ti preoccupare grand’uomo, ne ho autografata una per te.” E in effetti Gerrard ha spedito ad Akinfenwa una sua maglietta autografata.
Il modo in cui Akinfenwa risalta in mezzo al campo per la sua stazza, come un uomo di mezza età che gioca a calcio contro i ragazzini il sabato pomeriggio, lo fa sembrare uno qualunque, uno di noi. Il fatto è che in lui non c’è niente di ordinario. È un assiduo frequentatore della palestra, e al bilanciere riesce ad alzare quasi due volte il suo peso. È grosso, ma è anche agile. Nella sua carriera da giocatore della League Akinfenwa ha segnato 132 gol in 393 partite. Non è uno strano. È un vero giocatore. “I miei numeri non mentono,” dice.
Sull’interesse per le sue dimensioni corporee ha detto: “Le accetto. Penso che sia il mio tratto distintivo. La mia idea è che va bene essere diversi, o unici. Invecchiando ho capito che non si può cambiare quello che la gente percepisce di te, non solo nel calcio ma nella vita.”
Andrebbe tutto bene se il suo aspetto robusto fosse tutto quello che c’è da dire sul suo conto. A volte lo sport è un mondo crudele, in cui le persone vengono prese in giro per la loro stazza. Eppure questa caratteristica di Akinfenwa è forse la cosa meno interessante sul suo conto.
Quando aveva 18 anni ha vissuto un momento cruciale. Per un po’ si è allenato con la primavera del Watford F.C., e un giorno è stato convocato nell’ufficio del presidente. Questi colloqui di solito non portano nulla di buono, e il suo caso non ha fatto eccezione.
“Non ti offriremo un contratto,” gli aveva detto il presidente. “Non sei abbastanza determinato.”
Akinfenwa era scioccato. Ma soprattutto arrabbiato.
“Mi ricordo di essermene andato pensando, ‘Ti sbagli, e te lo dimostrerò,’” ricorda.
Ora Akinfenwa si rende conto che il presidente aveva ragione. Non era determinato. Spesso preferiva uscire con gli amici invece di allenarsi.
Akinfenwa è nato a East London da genitori nigeriani emigrati nel Regno Unito, i quali hanno impartito a lui e i suoi due fratelli un’educazione piuttosto severa. Sua madre voleva diventasse un cristiano devoto. Me né la religione né i genitori severi sono serviti a tenere lontano Akinfenwa dalle tentazioni del crimine del suo quartiere. I guai erano ovunque. Bastava scegliersi la compagnia sbagliata per rischiare di finire in prigione per furto o per qualche reato più grave. Era proprio questo il triste destino che attendeva Akinfenwa.
La sua corporatura già non convinceva molto gli allenatori, e il suo basso livello di determinazione ha dato loro un altro motivo per metterlo in disparte. In assenza di alternative, l’agente di Akinfenwa gli aveva trovato un periodo di prova di due settimane con una squadra lituana, unicamente grazie al fatto che la moglie dell’agente era lituana.
Tutt’a un tratto Akinfenwa ha trovato la motivazione che gli serviva. Ha concluso con successo il suo periodo di prova e gli è stato offerto un contratto di tre anni. Il suo agente si è poi dato da fare a mostrare il contratto a diverse squadre inglesi, perché Akinfenwa non aveva nessuna voglia di stare in Lituania. Tuttavia dopo due mesi nessuno ha mostrato interesse, e la Lituania restava l’unica opzione.
Così è andato a giocare per l’FK Atlantas. Non conosceva nulla del paese e non sapeva cosa aspettarsi, e solo dopo essere arrivato in Lituania è venuto a sapere di essere il primo giocatore di colore nella storia del campionato nazionale. Durante la preparazione in vista della sua prima stagione, sugli spalti c’era un gruppo di tifosi. Quando Akinfenwa è entrato in campo hanno iniziato a intonare cori razzisti.
Akinfenwa ha capito subito che la permanenza in Lituania sarebbe stata difficile. “Se lo avessi saputo non mi sarei mai messo in quella situazione,” confessa. “Ma non avrei permesso a nessuno di constringermi ad andar via da lì.”
Ma Akinfenwa è riuscito a trasformare quell’incidente in rabbia, in un motivo per essere più determinato sul campo. La sua vita si divideva tra casa e allenamenti. Non era tentato di uscire con le persone sbagliate perché non c’era nessuno con cui uscire.
Qualche volta andava al cinema, ma anche in quei momenti si sentiva a disagio, perché era uno dei pochissimi uomini di colore nella città di Klaipeda. Persino le piccole faccende quotidiane potevano diventare un problema.
Un volta, mentre faceva la spesa, una ragazzina gli è corsa incontro gridando, “White Power!”
Akinfenwa è rimasto in silenzio, non sapeva come reagire.
“Ho pensato fosse uno scherzo,” dice. “A Londra, vedendo quanto sono grosso, la gente non osa dirmi niente.”
Successivamente grazie alla sua bravura in campo si è progressivamente guadagnato il rispetto di tutti. Grazie a lui l’Atlantas è entrato in Coppa UEFA e ha segnato il gol della vittoria nella finale della Coppa di Lituania del 2001.
Dopo quel gol Akinfenwa è diventato una celebrità locale. Quando usciva non doveva quasi mai pagare quello che beveva o mangiava. Ricordando quel periodo oggi è convinto di non aver cambiato il suo atteggiamento.
“Non sono cambiato,” dice. “Il colore della mia pelle non è cambiato. La gente ha imparato ad accettarmi perché li ho aiutati a vincere. Se non avessi segnato nessun gol non avrebbero cambiato idea. Quando ci ripenso sono orgoglioso di essere rimasto. Ho affrontato quella situazione come potrei affrontare qualsiasi altra cosa.”
Se dovesse ricominciare da capo, probabilmente non andrebbe più a giocare in Lituania, e sicuramente affronterebbe chiunque lo intimidisse con insulti razzisti. Ma all’età di 18 anni doveva ancora scoprire chi era, sia sul campo che fuori.
Ricordando quell’esperienza tuttavia, Akinfenwa riconosce che quel periodo gli ha salvato la carriera, e forse la vita—specialmente perché l’alternativa era tornare a frequentare le strade di East London dove molti amici d’infanzia sono finiti in galera, o morti.
“È stata una parte fondamentale della mia storia di calciatore,” continua.
Dopo due campionati in Lituania Akinfenwa è tornato in Regno Unito. Da allora si è costruito una carriera di successo. Dal 2003 ha giocato in 11 squadre diverse, anche se dice di non voler essere chiamato un semplice mercenario, perché con alcune di queste ha fatto solo periodi di prova per riuscire a tornare in Inghilterra.
La maggior parte dei manager ha imparato ad apprezzare le qualità di Akinfenwa—un attaccante forte, che segna molto, abile nel gioco aereo e che riesce a costruire, permettendo alla squadra di partecipare all’attacco—invece di scartarlo per quello che non è, ossia un attaccante veloce che fa allungare la difesa.
Per un po’ persino Akinfenwa ha creduto che le sue abilità non avessero molto valore. Quando giocava a FIFA di solito non sceglieva mai se stesso perché era troppo lento. Ma oggi nel videogioco sceglie regolarmente il suo alter-ego.
“Ora mi hanno aumentato un po’ la velocità,” scherza. “Ho detto a FIFA che non ero contento.” (La velocità di Akinfenwa è passata da 53 in FIFA 14 a 54 in FIFA 15.)
Ora che la sua carriera sta giungendo al termine, Akinfenwa ha grandi piani per il futuro. Ha trasformato l’ironia sulla sua stazza nel brand Beast Mode On, che produce abbigliamento ed è anche un’etichetta discografica. Quest’anno ha inoltre dichiarato di voler aprire una scuola di calcio BMO per giovanissimi.
Sì, l’attenzione sarà certamente sull’allenamento sul campo, ma ci sarà anche un forte lavoro motivazionale per far capire ai giocatori i risvolti psicologici e lo spirito del calcio. “Nasciamo tutti con caratteristiche fisiche diverse,” è questo che dirà ai suoi allievi. “Se sarete sempre determinati, ce la farete.”