peshmerga prepararsi a sparare contro le postazioni dell’ISIS presso Kirkuk, in Iraq. Tutte le foto dell’autrice.
La strada che porta a uno dei fronti su cui si combatte la guerra contro lo Stato Islamico attraversa decine di chilometri di terra piatta e polverosa. Occasionalmente, il panorama è interrotto da qualche palude—per la maggior parte in secca in questo periodo dell’anno—alimentata da un corso artificiale. Un tempo c’era un ponte che attraversava il fiume, a circa 20 chilometri dalla città irachena di Kirkuk, ma è andato distrutto durante i combattimenti. Oggi restano dei giganteschi tronconi di pietra sulle due rive, che affondano nell’acqua.
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In una postazione qui vicina, Halat Karim Agha, un uomo slanciato, calvo e con dei folti baffi, gesticola in direzione di due soldati che stanno maneggiando una mitragliatrice. Sono peshmerga, la milizia curda che combatte lo Stato Islamico.
“Questo è quello che usiamo per uccidere Daesh,” dice Agha a VICE, usando il termine arabo per indicare l’ISIS. “Quando vedono qualcosa che si muove, sparano.”
I soldati sparano qualche colpo come dimostrazione, punteggiando il cielo con la traccia della mitraglia. Agha sorride paziente.
“E adesso aspettiamo,” dice.
Mariwan Karim Agha e i suoi fratelli Halat e Farooq nelle terre della tribù Hamawand a Chamchamal, in Iraq.
Al momento i peshmerga, supportati dalla coalizione guidata dagli Stati Uniti, stanno tentando di avanzare verso la città irachena di Mosul, controllata dallo Stato Islamico. Nella zona di Kirkuk, i soldati del governo regionale curdo stanno anche liberando territori, villaggio dopo villaggio, dall’autoproclamato califfato islamico. C’è una squadra delle forze speciali americane di stanza nel quartier generale dei peshmerga, vicino alla città, guidata da un comandante che indossa abitualmente i vestiti tradizionali curdi. Ma anche se i curdi non combattono questa battaglia da soli, si tratta comunque di una lotta senza quartiere.
Per Agha, la guerra non è niente di nuovo. Come membro degli Hamawand, uno dei clan curdi più antichi e rispettati, la guerra fa parte della sua identità.
La reputazione di testarda resistenza a ogni nemico degli Hamawand risale a secoli fa. Fieramente attaccati al loro territorio, in Iraq si sono scontrati con gli ottomani, gli inglesi, Saddam Hussein e un gruppo legato ad al Qaeda. Ma ora stanno affrontando quello che a detta loro è il nemico più brutale che abbiano mai incontrato, un nemico pronto a distruggere le loro case e a rendere irriconoscibile la loro terra.
Per la loro autonomia e la loro fedeltà assoluta al clan, tuttavia, storicamente le tribù di quest’area hanno messo in difficoltà non solo gli invasori ma anche gli stessi nazionalisti curdi determinati a unificare il loro popolo. Il che solleva la complicata questione su quale ruolo le singole tribù—invece dei curdi come gruppo etnico unitario—giochino nella lotta dei peshmerga contro l’ISIS, e sulla possibilità che mettano da parte le loro divisioni una volta che il califfato sarà sconfitto.
Un soldato peshmerga si fa un selfie su un ponte distrutto vicino a Kirkuk, in Iraq.
Nel 1914, lo scrittore E. B. Soane pubblicò un libro sui suoi viaggi nella regione, intitolato To Mesopotamia and Kurdistan in Disguise. Nel suo racconto compaiono spesso gli Hamawand, descritti come temibili banditi che terrorizzavano la regione.
Gli Hamawand, membri di una schiatta celebre per coraggio e sprezzo delle leggi, si sono fatti un nome tra i loro conterranei, superando i più selvaggi tra questi con i loro raid spericolati e i più coraggiosi con il loro sprezzo del pericolo, e si sono conquistati presso i turchi un’ostilità che spesso è esplosa in scontri.
Ma i membri della tribù raccontano una storia piuttosto diversa su quei tempi. Agha, insieme ai suoi fratelli Mariwan Karim e Farooq, siede su una sedia pieghevole sotto il portico della casa di Mariwan. Di notte in questa parte del Kurdistan l’aria si raffredda e le pianure battute dal sole sembrano tirare un sospiro di sollievo. Da un vicino lago artificiale attraversato da un ponte traballante arrivano il gracidare delle rane e il ronzio degli insetti. All’orizzonte, le luci della vicina città di Chamchamal brillano flebili, ma qui fuori ci sono solo poche case e tutte appartengono agli Hamawand.
“Le origini della tribù risalgono a 650 anni fa,” spiega Mariwan. Oggi è lui il leader del clan, dopo la morte di suo padre, Karim Agha. Anche lui è magro con dei folti baffi e assomiglia molto a suo fratello Halat. Mentre parla, gioca con una delle sue nipotine. Per la casa di Mariwan si aggirano diversi bambini ma lei è la sua preferita, dice, perché ha gli stessi occhi di sua madre.
“La tribù Hamawand è arrivata in Kurdistan circa 350 anni fa,” racconta. “Da quel momento in poi, abbiamo combattuto diverse battaglie contro l’Impero Ottomano, che voleva occupare le nostre terre. Siamo stati l’unica tribù che è riuscita a sconfiggerli. Non mostravamo mai le nostre forze; ci nascondevamo e usavamo tattiche da guerriglia. Alla fine, i nostri capi sono stati invitati ad Adana [una città della Turchia] perché negoziassero con gli ottomani.” Ma gli ottomani li hanno traditi e hanno catturato 900 famiglie Hamawand, le hanno ridotte schiavitù e le hanno disperse in tutto il Nord Africa e il Medio Oriente.
“Dopo 20 anni, la maggior parte delle famiglie ha lasciato l’Africa,” dice Mariwan sorridendo. “Sono tornati a piedi in queste terre. Il viaggio è durato nove mesi.”
Mariwan Karim Agha siede davanti a una foto di suo padre, vicino a Chamchamal, in Iraq.
Più di recente, la tribù si è unita alle forze americane durante la guerra in Iraq, combattendo contro Ansar al-Islam, un gruppo locale affiliato ad al Qaeda, che iniziava a emergere lungo il confine con l’Iran.
“[Ansar al-Islam] ha ucciso molti giovani soldati peshmerga,” spiega Mariwan. “Li mettevano in fila e filmavano i loro omicidi. Più tardi, abbiamo scoperto che mandavano questi video ai loro seguaci in altri paesi per ricevere donazioni.”
All’improvviso, Mariwan si incupisce. “E ora sono tornati, con il nome di Daesh,” dice. “Vogliono distruggere tutto quello a cui teniamo, per cui dobbiamo difendere la nostra terra.”
Secondo David McDowall, storico e autore di A Modern History of the Kurds, nonostante la loro abnegazione la presenza di tribù come gli Hamawand è stata sia un bene che un male per le aspirazioni nazionaliste dei curdi—e per la speranza di raggiungere una stabilità nella regione.
“Si pensa alle tribù come a organizzazioni sociali, ma fondamentalmente si tratta di entità politiche,” spiega. “Esistono in opposizione assoluta con il concetto di governo.”
Ma secondo il generale Hiwa Rash, comandante dei peshmerga a Kirkuk, le tribù sono state una risorsa nella lotta contro lo Stato Islamico.
“Se guardiamo indietro alla storia del popolo curdo, possiamo vedere distintamente l’impatto che hanno avuto le tribù,” dice a VICE. “In passato, ogni volta che il Kurdistan aveva bisogno di aiuto, le tribù si facevano trovare pronte. Molti soldati peshmerga in prima linea vengono dalle tribù, perché il popolo curdo è composto da molte diverse tribù. Ma non combattiamo l’ISIS come tribù, lo combattiamo come un esercito organizzato.”
Mariwan Karim Agha sulla tomba di suo padre a Chamchamal, in Iraq.
A Chamchamal, Mariwan ha costruito un piccolo museo in memoria di suo padre, in cui è in mostra la vasta collezione di antichità mesopotamiche di proprietà della tribù, che contiene pezzi che risalgono all’età della pietra. Mariwan ha persino ricreato la camera da letto del padre così com’era prima della sua morte, precisa fino al dettaglio del piatto col cibo sulla sua scrivania.
“Dopo la morte di mio padre, non ho potuto aprire la porta della sua camera per 11 mesi e due giorni,” dice, con gli occhi che per un attimo diventano lucidi. “Aveva un’anima pura. Tutta la città lo amava, non solo gli Hamawand. Quando è morto, al suo funerale c’erano 10mila persone. Hanno camminato per dieci chilometri portando in spalla la sua bara.”
Mariwan si prende un minuto per ricomporsi, guardando alla camera da letto di Karim Agha illuminata dalle luci del museo.
“Mio padre mi ha sempre insegnato a onorare il nostro passato,” continua. “È nostra responsabilità tenere viva l’identità della tribù, perché abbiamo sacrificato così tanto per il Kurdistan nel corso della sua storia.”
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