Música

Un tuffo nella vita di Nosaj Thing

Nosaj Thing si esibirà la sera di Halloween allo Spazio Ex-Cobianchi per il Diurno di Elita e presenterà dal vivo il suo album Fated. Se ti sbrighi fai ancora in tempo ad acchiappare due biglietti.
Trovi tutte le informazioni sulla pagina dell’Evento Facebook.

Nosaj Thing si approccia alla musica nello modo in cui un chirurgo affronta un’appendice infiammata. Prima e durante l’operazione c’è l’adrenalina in circolo e subito dopo arriva la soddisfazione, ma l’atto in sé è viscerale, e non importa quante volte sia già stato eseguito, i rischi sono sempre dietro l’angolo.

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“A volte ti capita di parlare con qualcuno dopo uno show, e la conversazione diventa in qualche modo a senso unico” mi spiega il produttore, che all’anagrafe si chiama Jason Chung. “È dura. Sei appena sceso dal palco, sei accaldato, sei sudato e non sei per niente a tuo agio. Io non sono abituato a stare su un palco o al centro dell’attenzione. Fa una pausa, e poi aggiunge, come se non fosse chiaro: “Sono cresciuto facendo musica nella mia cameretta”.

Tuttavia, quando il tuo studio si trova nello stesso posto in cui dormi, qualcuno potrebbe storcere il naso, ma “musica da cameretta” non è il modo peggiore per parlare del lavoro di Nosaj Thing. Chiedetelo a Chance the Rapper, che a malapena riesce a starci dentro nella sua strofa su “Cold Stares”:

“Devil whistles in his ear, out of tune/
On an empty-ass bed, can’t remember how to spoon/
[…]
Tied up in the sheets, sweat drips from his cheeks/
He’s gonna die in hospital clothes/

Bed, bed I rest in, not my own/
These cover make me itch/
Hurt my head, head I question/
Not my own/
These covers make me sick.”

La canzone, tratta dal suo nuovo album Fated (uscito su Innovative Leisure), è un manifesto delle idee di Chung, sia per quanto riguarda la direzione in cui si muove il suo lavoro, sia per i suoi tic. La sua musica si insidia nella mente, e anche quelle canzoni che parlano di dipendenza dall’eroina e di temi desolanti, suonano come una ninna nanna, perché niente nell’immaginario di Nosaj Thing può fornire punti di riferimento, c’è solo un continuo scambio di posizioni tra i generi. “Posso anche avere un numero X di beat” spiega del suo processo di editing “ma mi serve far riposare le orecchie degli ascoltatori, ogni tanto”.

Chung afferma che la maggior parte dei suoi pezzi nasce come piccoli episodi prodotti in casa ed effettivamente è qualcosa che non si fa fatica a credere ascoltando il lavoro finale. C’è una qualità in Fated che non è sciatta, ma nemmeno somiglia a un’improvvisazione, è semplicemente priva di ritocchi finali, libera dalle sovrastrutture. “Erase” si trasporta da sé verso l’alto fino ad un climax finale, ma non ha bisogno di un’orchestra sinfonica per farlo. Mentre “A” è nervosismo allo stato pure. “Provo a spogliare il mio approccio e rendero il più cristallino possibile, di modo che rifletta i miei pensieri”.

Fated è sorprendentemente personale, nella misura in cui la musica strumentale può esserlo, ma non identifica quello che Chung ha pensato per se stesso: “Quando ho iniziato a fare beat volevo diventare come Dr. Dre”, mi dice ridendo. “Volevo essere i Neptunes. Ho iniziato facendo quella roba, e poi ho cominciato ad allontanarmi sempre di più verso la musica noise e ambient. Mi ha dato la spinta necessaria per guardarmi intorno e cercare qualcosa di diverso. Capisci cosa voglio dire?”.

Da lì l’ascesa è stata ripida e relativamente veloce, le influenze hanno circondato ciò che sarebbe stato il risultato finale(“[il fu] Rashad è stata una delle ispirazioni principali”), e la musica ha cominciato a farsi scrivere: un EP nel 2006 (Views/Octopus) e, nel 2009 il suo album di debutto, uscito su Alpha Pup, Drift. Prima della fine della scorsa decade Nosaj Thing era ben conosciuto nel suo ambiente ed era pronto per diventare uno dei primi produttori della scena beat di Los Angeles. Low End Theory, la serata settimanale all’Airliner, organizzata dal boss di Alpha Pup Daddy Kev e dal leggendario rapper d’assalto Nocando, è il punto di convergenza tra la scena beat e l’hip hop, e Chung ne è presto diventato uno dei protagonisti. “È uno dei migliori della scena beat e forse sarà il primo capace di trascendere dai ‘beat’ e diventare un vero produttore”, spiega Nocando.

Qualcuno potrebbe sostenere che ci sia già riuscito. Anche se il volume non è lo stesso, l’hip hop di Chung è impressionante, e le canzoni crepitano nel miglior modo possibile. In aggiunta a “Head Static” di Nocan c’è il suo lavoro con Kendrick Lamar (“Cloud 10” del 2011), e quello con Chance the Rapper, per il quale ha prodotto “Paranoia”, inserita in Acid Rap. Busdriver, rapper coi controcazzi e affiliato del Project Blowed, racconta che “Jason mi ha insegnato come usare il tempo, mi ha fatto capire che la sofisticatezza deriva dalla pazienza. La sua musica è una sorta di nostalgia moderna per me. In questo senso lui è un vero e proprio recluso a Los Angeles”.

I due hanno collaborato per “Split Seconds (Between Nannies and Swamis),” la prima traccia su Jhelli Beam, il suo LP del 2009. Inizia con sei parole a cappella dell’MC: “Be real—conscious rap failed us”. Questa voglia di confrontarsi con le dialettiche che intercorrono tra i diversi generi è intrinseca ai lavori di Nosaj fin dall’inizio, da quando ha capito che padroneggiare la produzione elettronica non significa creare un prodotto senz’anima. “Il modo in cui lascia respirare le sue canzoni riesce a rendere ciò che è sconosciuto e alieno, estremamente personale” conclude Busdriver.

Ma per Chung è diventato estremamente complicato capire ciò che è personale. Non sorprende che il suo ultimo album si chiamasse Home, così come non sorprende che abbia preceduto uno dei periodi più incasinati della sua vita. Anche se si muove in direzione contraria alla sua personalità (“Sono uno a cui piace chiudersi in casa”), ha messo in gioco tutte le sue forze per cercare di tornare sulla strada giusta, dopo un periodo di difficoltà famigliari e circostanze cliniche avverse, che l’aveva costretto ad abbandanore l’ispirazione. Ha scelto di continuare a muoversi “È questa la cura per ogni cosa: il tempo. Mi sono trasferito almeno una volta all’anno nell’ultima mezza decade. Non è per niente facile trovare un posto dove poter lavorare”.

I cambiamenti hanno portato con loro degli ovvi sconvolgimenti, ma hanno anche offerto una serie di sfide a cui solo un musicista è in grado di fare fronte. “Il cambiamento arriva a toccare qualsiasi cosa e io sono una persona molto sensibile all’ambiente circostante. Anche l’acustica del posto in cui lavoro può cambiare la mia musica”. Così, invece di un fastidio, dover andare in tour è diventata una confortante routine “Anche nel mio tour più recente non sono riuscito a capirne il valore finché non è finito, quanto sia importante creare un legame con le persone. Ora mi sento come se avessi sprecato un sacco di ispirazione, lungo tutto il percorso”. Gli aspetti negativi (“la scomodità, la mancanza di privacy e l’assenza quasi totale di sonno”) sembrano scomparire in un attimo. Sento che la sua voce assume le tonalità dell’entusiasmo mentre mi racconta di un incontro toccante con un fan ad Austin al SXSW.

Nosaj ha sviluppato un senso di apprezzamento per la strada, che conserva anche quando finisce per detestarla. Durante una sosta a Houston, la scorsa primavera, il suo furgone è stato svaligiato. I ladri non si sono portati via solo laptop e attrezzature, ma anche un hard disk che conteneva tutti i lavori prodotti da Chung durante gli ultimi due anni. Non si è salvato nulla, nemmeno le prime registrazioni delle sessioni che poi avrebbero portato allo sviluppo di Fated. È quel tipo di catastrofe che avrebbe mandato la manicomio anche il musicista con la personalità più carismatica, ma non Nosaj.

“È stata una strana liberazione”, mi dice. Ha messo insieme i suoi live set, ha perseverato nella stesura del suo album con lo stesso suono con cui l’aveva immaginato. Non è difficile spiegare in una conversazione quale potere centralizzante abbia avuto un disco come Fated nella vita di una persona che si sente spesso priva di un posto nel mondo. “Ho avuto una specie di rivelazione durante questo tour” mi dice, prima di iniziare a pesare le parole “Molta della mia musica è estremamente personale”. Poi si ferma e scandisce le parole come se le stesse pronunciando per la prima volta. “Mi aiuta davvero tanto”.

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