Come il “lago fantasma” calabrese è diventato una delle più disastrose incompiute della storia italiana

Secondo la leggenda, negli anni ottanta una coppia di turisti tedeschi si sarebbe inoltrata nelle colline nei pressi di Gimigliano (CZ) per cercare uno dei laghi della zona e fare un po’ di canottaggio. Si trattava del lago Azzurro, e non è mai esistito se non su alcune carte stradali.

Per decenni il progetto della diga ha acceso le fantasie degli abitanti della Presila catanzarese, attratti dalla prospettiva di centinaia di posti di lavoro per la manodopera della zona e dalla costruzione di una delle più imponenti dighe d’Europa.

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Con un’altezza di 108 metri e una capacità di 100 milioni di metri cubi d’acqua, il lago artificiale del Melito sarebbe dovuto diventare una risorsa fondamentale per rilanciare il territorio e risolvere l’atavico problema dell’approvigionamento idrico, riuscendo a servire circa 50 comuni delle province di Catanzaro e Vibo Valentia e coprire – azzardò qualcuno – l’intero fabbisogno idrico calabrese.

Nella realtà, in quasi 40 anni, la costruzione della struttura ha subito diverse battute d’arresto, che ne hanno prima rallentato i lavori e poi totalmente annichilito la realizzazione—con una dispersione di denaro pubblico che ammonta a quasi 190 milioni di euro, e una percentuale di lavori eseguiti ferma ancora al 13 per cento.

Il più grande cantiere del Sud” alla fine è diventato la più grande e dispendiosa opera mai consegnata della storia della Calabria, in una regione che – stando ai dati diffusi del ministero delle Infrastrutture questa estate – detiene il primato delle incompiute sul territorio nazionale.

L’invaso del lago

La storia di come sia stato possibile spendere questi soldi senza riuscire a portare a termine neppure un quinto del progetto è piuttosto contorta.

“È una specie di mistero. Su questa opera se ne sono dette molte, tanto che a un certo punto qualcuno ha persino tirato fuori un presunto fantasma del lago,” spiega a VICE News Giuseppe Valentino, segretario generale della CGIL di Catanzaro che da anni segue la vicenda e cerca di portare all’attenzione pubblica questo macroscopico sperpero di denaro e risorse naturali. “È la storia di 40 anni di opere, lavoro e promesse mancate: un gran pasticcio di carte e di soldi buttati per aria per poi non realizzare assolutamente nulla.”

La parola “diga” ha cominciato a circolare dalle parti di Gimigliano attorno al 1978, anno in cui il progetto è stato incluso in un programma della Cassa per il Mezzogiorno. Quattro anni dopo sono stati stanziati 503 miliardi di lire per la sua realizzazione, e i lavori affidati al Consorzio di Bonifica Alli Punta di Copanello—oggi Consorzio di Bonifica Ionio Catanzarese.

È a quel punto che si è cominciato a deformare molto lentamente l’area, a scavare un po’ di terra e a perforare qualche collina. Ed è a quel punto che il lago è stato ottimisticamente inserito nelle mappe stradali e nelle cartine turistiche, ancor prima di essere consegnato.

Da lì in poi i lavori sono proseguiti a rilento, fino a quando nel 1993 le macchine sono state fermate su disposizione del ministero dell’Ambiente a causa di una “valutazione d’impatto ambientale carente.” Italstrade, ditta che si era aggiudicata la costruzione dell’opera nel 1990 per 97,4 milioni, abbandona il cantiere: la Calabria si ritrova un buco nel proprio cuore, riempito da automezzi arrugginiti, rendering e terra mossa.

Ci sono voluti quasi dieci anni prima che la Cassazione, nel 2001, sbloccasse la faccenda e decidesse che l’unico vero titolare del progetto è il Consorzio di Bonifica dello Jonio Catanzarese, diretto dal figlio dell’ex presidente dello stesso Consorzio Grazioso Manno. I lavori, a quel punto, sono sembrati ripartire sotto la spinta del governo Berlusconi, che mette a disposizione 500 miliardi di lire—262 milioni di euro. Consegna dell’opera: dicembre 2009, costo complessivo 167 milioni.

Rilanciata per l’ennesima volta, l’esecuzione dei lavori è stata poi affidata alla ditta Astaldi, che dopo aver firmato un contratto col Consorzio, nel 2007 decide di sollevare i primi dubbi sulla resistenza strutturale dell’opera e richiedere la perizia di un collegio arbitrale.

La sentenza dell’arbitrato sarà piuttosto netta: l’opera, così com’era stata progettata, non avrebbe mai retto all’impatto dell’acqua e all’alta sismicità della zona, specie per quanto riguarda la stabilità della spalla destra.

Ignorando totalmente la sentenza, nel 2008 il Consorzio ha poi rescisso il contratto con Astaldi – indennizzandola con altri 37 milioni – e riappaltato la costruzione dell’opera alla romana Safab, col compito di portare a casa alcuni interventi minori “a sviluppo ridotto” nella speranza, ormai quasi vana, di completare l’opera entro il 2010, poi entro il 2015. Il costo del riappalto sarà di altri 19 milioni aggiuntivi.

Tra lavori che partono a singhiozzo e proclami di pronta consegna, passa poco tempo prima che arrivi un’informativa antimafia del prefetto di Roma sulla presunta esistenza di rapporti fra i vertici della Safab e il gelese Sandro Missuto—arrestato nel 2009 con l’accusa di aver operato come prestanome per il boss Daniele Emmanuello. Sarà il colpo di grazia.

Parallelamente, il presidente del Consorzio Manno, viene coinvolto in una lunga vicenda giudiziaria e accusato di assumere personale in deroga alle leggi proprio mentre i lavori erano sospesi.

“Secondo la nostra tesi, le risorse attorno a quest’opera sarebbero state spese per scopi clientelari e per motivare assunzioni non effettivamente necessarie,” spiega Valentino. “Questa teoria però è stata smontata dal tribunale: Manno alla fine è stato accusato semplicemente di abuso d’ufficio per le assunzioni,” ed è stato scagionato il 9 febbraio scorso con formula piena.

Faccenda chiusa, malgrado l’assunzione a livelli apicali – e “persino il trasferimento in Regione Calabria per alcuni” – di personale sostanzialmente superfluo per un’opera ferma al palo da sempre. Manno verrà poi rinviato a giudizio dalla Procura della Repubblica di Catanzaro per un’altra vicenda nella quale – secondo l’accusa – sarebbe coinvolto nell’assegnazione di appalti truccati per il riammodernamento della sede del Consorzio, a Catanzaro.

Del lago Azzurro, da questo punto in poi, nessuno sa più nulla: un discorso che vale per la diga del Melito, così come per tutta l’incredibile serie di laghi e dighe incompiute che imperla la Calabria di buchi da riempire.

C’è la diga del Menta, che come quella del Melito risale agli anni ottanta e non mai stata ultimata. O per esempio quella del Metramo, il cui costo, preventivato nel 1978 per 15 miliardi di lire è continuato a salire sopra i 400 miliardi fino a che, in fase di collaudo, non si è scoperto che mancava ancora un sistema di canalizzazione e distribuzione.

In totale sono una dozzina i laghi artificiali problematici mai completati, completati ma non agibili, o i cui lavori non sono mai effettivamente cominciati.

Ma se la leggenda del fantasma del lago sembra suonare come una grande metafora, e la storia dei canoisti tedeschi come una beffa che si tramanda di gimiglianese in gimiglianese, ancora più paradossale appare la vicenda di chi avrebbe dovuto abbandonare le tre frazioni sgomberate – Umbri, Militello e Canne – e che a tutt’oggi si dovrebbe trovare teoricamente all’interno del bacino del lago.

“In zona – continua Giuseppe Valentino – è famosa la storia di un’anziana che è stata espropriata, ma che abita ancora lì” e continua a sopravvivere tranquillamente nel letto di un lago inesistente, incurante dei progetti della prima Repubblica e di mappe stradali troppo fiduciose.

“Io resto qui, tanto non sono mai venuti a cacciarmi via,” risponde la donna a chi le chiede cosa ci faccia ancora lì. “Quando verranno a prendermi sarà buon segno, perché vuol dire che stanno facendo la diga. Però sono passati tutti da casa mia – giornalisti, di tutto e di più – e non è mai successo niente.”

Ad oggi, stando ai progetti, la casa di questa donna dovrebbe esser sommersa dall’acqua, e lei sarebbe dovuta andare a vivere, insieme agli altri espropriati ai quali è stata assegnata una nuova abitazione, nella nuova frazione di Militello costruita ex novo.

Sono stati stanziati 25 milioni di euro per spostare un intero abitato e far posto all’acqua. “Alcuni degli espropriati rivendicano ancora dei pagamenti,” aggiunge il segretario CGIL. “È stata spostata praticamente un’intera frazione, e sono andati via tutti—anche se qualcuno sta ricominciando a occupare di nuovo le vecchie case, visto che ciò che era stato espropriato rimane ancora adesso intatto.”

Eppure gli espropriati non sono gli unici a reclamare un pezzo di ciò che gli spetta: centinaia di lavoratori assunti per completare il cantiere si sarebbero poi trovati senza lavoro o in cassa integrazione. “Sono stati licenziati tutti quanti,” spiega il sindacalista. “Hanno persino vinto cause in tribunale, ma non sono mai stati neanche reintegrati sul posto di lavoro—mentre nel frattempo altri sono stati assunti dal Consorzio e sono stati confermati a vari livelli.”

Alla fine mancheranno all’appello circa 187 milioni serviti a finanziare espropri, indennizzi, riappalti, e a impermiabilizzare un paio di gallerie che dovrebbero portare l’acqua a valle, e che forse non sono neanche più tanto utili—essendo ormai vecchie di anni, e costruite in economia da una ditta finita sotto esame dalla prefettura di Roma.

“Dopo 50 anni ci credono in pochi, anche i cittadini stessi ormai dicono ‘sì, va be’, figuriamoci’. C’è qualche stralcio di giornale che dice ‘L’opera sarà appaltata’, ‘Stiamo lavorando, sarà un volano per l’economia’, ma né la regione Calabria né il ministero la collocano fra le opere strategiche.”

Malgrado lo scetticismo tangibile, la faccenda del lago Azzurro è comunque riaffiorata nel dibattito nelle ultime settimane, dopo che da più parti è stato chiesto che l’opera venisse inserita nel decreto Sblocca Italia prima, e nello Sblocca Cantieri poi—richieste che al momento appaiono inevase.

Di recente i sindaci della zona hanno deciso di coinvolgere il presidente regionale Mario Oliverio, che – espletato il rito del sopralluogo in zona – ha deciso di portare la questione direttamente all’attenzione del ministro delle Infrastrutture Del Rio, per capire se il progetto del lago artificiale di Gimigliano può avere ancora un futuro. Interpellato da VICE News, ad oggi il ministero non ha saputo fornire alcuna risposta in merito.

Di storie come quella della diga del Melito sono piene le cronache e i reportage indignati, e non è certo l’unica – o l’ultima – vicenda che coinvolge dispersione di fondi pubblici, malaffare, occupazione del territorio e progetti miliardari incompiuti.

Tuttavia, accettare pacificamente che centinaia di milioni finiscano in un buco costruito poco e male – senza che nessuno possa dire effettivamente come – forse non è poi la cosa più naturale del mondo.

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