Música

Laioung non ne vuole sapere niente dei vostri scazzi da rapper

È la seconda volta che parlo con Laioung. Dall’ultima sono passati quattro mesi: eravamo nello studio della RRR Mob a Milano est, a mangiare riso con pollo e verdure e chiacchierare del percorso che lo ha portato a diventare una delle voci principali della nuova scuola rap italiana. Nel frattempo per lui, Isi Noice, Momoney e Hichy Bangz le cose sono solo migliorate: hanno firmato per Sony, “Wooh” è diventata una hit e il loro primo album assieme è in dirittura d’arrivo. Il contesto in cui si trovano è simile a quello di molti altri loro colleghi MC e produttori: le major hanno cominciato a mettere sotto contratto tutte le voci più forti della nuova generazione, creando un’atmosfera di anticipazione attorno al futuro prossimo della scena. I soldi impatteranno le logiche collaborative che sembravano finora aver retto al suo interno? Cambierà il rapporto tra artisti e fan? Ci saranno sviluppi in senso internazionale?

Bè, devo dire che non ne ho idea. Nessuno ce l’ha, ok, ma ho pensato fosse interessante provare a parlarne con Laioung. Chiedergli qualcosa in meno della sua vita passata e qualcosa di più su come vede il presente e immagina il futuro della comunità di artisti di cui fa parte, ora che siamo all’alba della pubblicazione del suo esordio con tutti i crismi: Ave Cesare – Veni, Vidi Vici, ristampa ufficiale e ampliata dell’EP che l’ha messo sulla mappa italiana ampliato da una serie di inediti.

Noisey: In “Soluzioni” canti “Le esperienze porteranno i soldi,” poi dici che “Purtroppo sono soldi miei,” e continui con “La saggezza è la ricchezza dei poveri.” Il che mi ha fatto venire in mente di chiederti: qual è il tuo rapporto con i soldi, ora che stanno iniziando ad arrivare? 
Laioung: Vorrei sottolineare che i soldi non mi sono mai stati regalati, né dalla famiglia né dal destino, ma ho sempre avuto la passione per la musica—e la pazienza. Ho notato che con la musica imparavo sempre. Qualsiasi cosa tu voglia fare nella vita, devi imparare. E senza umiltà non impari. Ho detto che “Le esperienze porteranno i soldi” perché senza l’esperienza che ho, oggi non sarei in questa posizione. Non mi sono mai, ma mai preoccupato dei soldi. Mai. Anche se ho dovuto digiunare, rimanere senza un biglietto di ritorno…

Te lo chiedevo appunto perché hai sempre dato un’immagine molto terra-terra, sia nella tua esperienza—ricordo che mi avevi raccontato di come eri rimasto a piedi in Canada dopo un viaggio verso New York—che nel modo in cui interagisci con i tuoi fan e ti mostri su Instagram.

Sì, certo. Alla fine ognuno risplende come vuole. Io non mi focalizzo né sulla violenza, né sull’arroganza né sulla droga perché non c’entro niente con quella roba. Ma alla fine sono i soldi a far girare il mondo in cui viviamo. È bene parlarne, e ognuno ha un suo modo per farlo. Quello che dico è che, se ti fai le tue esperienze, i soldi arriveranno senza che tu debba dipendere da nessuno.

Negli ultimi mesi hai buttato fuori un sacco di pezzi nuovi, ma è un po’ che non scrivi di tematiche che esulano dalla tua esperienza, dal tuo avercela fatta, dal successo—cose come “Petrolio”, o anche “La nuova Italia.” 
Diciamo che il catalogo riserva molte sorprese, e che quindi prossimamente ci saranno tanti pezzi su tante tematiche diverse. Diciamo che a me piace essere conscious come mi piace spingere l’onda, quindi sicuramente è stato molto subconscio il modo in cui ho messo insieme il disco. Alla fine ho pensato, “Dai, diamo un po’ di musica potente agli ascoltatori”—nel prossimo album daremo anche emozioni diverse. Ci saranno canzoni che parleranno di momenti di famiglia, cose molto più intime. 

Tu sei molto a contatto con il tuo pubblico. Riposti i messaggi che ti arrivano, giri per Milano in bici, dai un’idea molto genuina della tua persona. Dato che è un po’ che sei dentro questa cosa, com’è che la nuova scena sta impattando i ragazzini che ti ascoltano? 

È uno spettacolo vedere bambini senegalesi e marocchini che ci credono più di te, che non ti mollano perché finalmente vedono un essere umano che li può rappresentare. Sono davvero felice, e devo dire che anche i genitori sono davvero contenti: non ci sono messaggi aggressivi nelle canzoni, parolacce… cerco poi anche di svegliare le persone che mi ascoltano, a volte. Che non deve essere sempre qualcosa di complicato, può essere semplice e diretto. Se vado nelle richieste di messaggi su Instagram vedo soltanto belle cose, potrei passare le giornate senza fare altro. E a volte devo restituire l’amore, perché ci sono due tipi di fan. Quello che ti ama davvero, e non importa se ha sentito una o mille canzoni. Ti dà qualcosa indietro, e quando lo incontri ti senti bene. Poi ci sono quelli che, con prepotenza e nervosismo, vogliono solo prendere, e non si rendono conto di essere dalla parte del torto. Per esempio il ragazzo che vuole farsi una foto, che mi chiede di fargli una dedica alla sorella, alla madre—però abbiamo appena finito lo show, frate, e siamo in camerino. Vorrei stare da solo! Non è perché non voglio farlo, però si creano queste confidenze che non esistono… Ci sono quelli che mi capiscono e quelli che non mi capiscono, quelli che ti danno qualcosa e quelli che ti prendono e basta. Vabbè, c’entra poco con la tua domanda, ma è un argomento in più!

A partire da Ave Cesare il tuo stile si è cristallizzato in un incontro tra rappato e cantato decisamente “tuo”, molto melodico—ma mi stavo riascoltando le tue cose vecchie, Laioung in Yo Eardrum nello specifico, e notavo come avevi una voce molto meno effettata, usavi molte più parole, andavi molto più veloce. 
Se ora ci sono pezzi meno rap è perché a me piace trasmettere emozioni attraverso la melodia. Sono arrivato a un punto della mia vita in cui sono riuscito a sviluppare la semplicità e lavorarci intorno. Non sono più il rapper che vuole spaccare tutti gli altri MC, non me ne importa niente. Voglio solo fare buona musica, voglio che la gente possa cantare con me, voglio mandare messaggi più chiari. 

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Il che si collega a un’altra cosa che volevo chiederti. È bello che tu non ti faccia problemi a collaborare o apparire con chiunque: suoni con Emis Killa come con Tedua, collabori con Fibra come con Guè, senza fare attenzione alle “fazioni”. Secondo te perché non riusciamo ancora, in Italia, ad andare oltre alla logica dello scontro? 
Io lotto per l’umanità, e quindi vedere una scena di tanti artisti diversi mi affascina. Quando ho di fronte un ragazzo della mia età come Vegas Jones o un ragazzo come Fibra con sette dischi di platino e vedo lo stesso amore per la musica, io sogno. Non vedo gelosia. Non importa quanto hai venduto, quante views hai fatto. Io vedo l’arte. Per esempio, ci tenevo che su “Vengo dal basso” Guè fosse in un contesto diverso dal solito, per amore della musica. Sono arrivato dal nulla in un paese in cui musicalmente si erano già create politiche in cui non c’entro niente, e non ne voglio sapere niente. Sono qua per fare musica e mi dispiace non poter fare il pezzo con questo perché ha litigato con quello. Non me ne può importare di meno. Farei un pezzo con Tiziano Ferro, farei Sanremo, farei tutto. Ricordiamoci che fino a sette mesi fa avevo video girati con l’iPhone da 4.000 views che oggi ne hanno 300.000. Il mio è stato un salto enorme, ma musicalmente mi conosco—quindi collaborare con tante persone può portare qualcosa a loro come a me. Penso solo a costruire. Seguo il mio interesse e non sono ipocrita, nasce tutto dal mio amore per la musica. Impariamo dagli americani: litigano, bisticciano, poi parlano, risolvono, fanno un pezzo e la chiudono. 

Sempre ascoltando i tuoi pezzi vecchi mi sono chiesto, dato che parli inglese da dio: quanto, secondo te, la nostra scarsa conoscenza dell’inglese tocca la qualità del rap italiano? 
La qualità magari no, possiamo parlare di influenze culturali. Fino ad Ave Cesare non avevo mai fatto un album in italiano. La mia mentalità è sempre stata influenzata dall’America, sia a livello di suono che di parole. Non ho trovato ispirazione nella musica italiana se non magari da cantanti lirici, classici, che mi hanno ispirato melodicamente. Resta che oggi non parlare inglese può essere un grosso problema, perché siamo arrivati al punto in cui il linguaggio della musica è uguale a quello americano. Potrebbero succedere collaborazioni molto interessanti con artisti americani, ed è ora che si costruiscano relazioni genuine. Consiglierei a qualsiasi persona di viaggiare, masticare un po’ la lingua più parlata nel mondo del capitalismo. Stai vivendo un po’ sotto una roccia se non lo sai, secondo me. 

Mi racconti le situazioni di cui parli in “Porta Venezia”? L’immagine di te che giri di notte coi ragazzi eritrei è molto vivida.
Sono venuto per prima volta in vita mia a Milano nel 2014, con Isi Noice, da Torino. Parlavamo, dicevamo, “No, dobbiamo andare a Milano e cominciare a spingere la roba.” Siamo andati a incontrare Mohamed a Porta Venezia, e ogni volta che rubavamo il Frecciarossa—perché non avevamo i soldi ma non volevamo prendere il regionale—arrivavamo sempre lì, eravamo a Porta Venezia, e la mattina presto ci sono tutti gli eritrei lì seduti a bere il caffè da 40 centesimi. Ed era un’esperienza da raccontare perché è partito tutto da lì, da Corso Buenos Aires. Sono stato lì per un po’, un mese e mezzo, perché producevo un artista brasiliano, Lorenzo Carvalho. Poi sono partito per la Francia e per il Canada, ma simbolicamente è un posto che mi ha fatto scoprire questa città, ecco. 

Il primo pezzo che hai su Spotify è “Keeping Our Love Alive“, e direi che è ufficialmente un pezzo teen pop della madonna, tutto romanticone con l’acustica. Com’era nato? Che cosa provi a riascoltarla oggi? 
Se la ascolto oggi sento un pischello che amava cantare—e oggi sono la stessa persona di quel pezzo. Sono state le relazioni che ho avuto nel passato a ispirarmi mentre lo scrivevo. Le donne hanno sempre cercato di cambiarmi: ho sempre voluto fare musica, ed è sempre stato anche indirettamente un problema. Ma io non cambio, e questo era quello che volevo dire. 

Ave Cesare – Veni, Vidi Vici esce venerdì 21 aprile per Sony Music. 

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