“In Italia c’è l’ossessione dell’esperienza data dall’età. Se sei più anziano sei più esperto, non si tiene conto della formazione”
Negli ultimi mesi in Italia il lavoro stagionale, e più precisamente la mancanza di lavoratori per le strutture turistiche, è stato un argomento che ha creato un fortissimo dibattito, politico e non. Le stime de il Corriere della Sera parlano di quasi 200 mila offerte di lavoro rimaste insoddisfatte per l’estate 2021. Numeri che si traducono in 200mila dipendenti in meno per bar, ristoranti, hotel, terme, spa, resort. Questo, dopo le chiusure dovute alla pandemia, è sembrato più che mai “inaccettabile”.
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Le principali voci intervistate — quasi sempre imprenditori e commercianti — sembravano d’accordo sulle motivazioni alla base di questa mancanza di manodopera: il reddito di cittadinanza, la poca voglia di lavorare dei giovani italiani, “Ah ma ai nostri tempi era diverso.” Una risposta riportata in maniera trasversale, dal Corriere della Sera alle testate locali a Vanity Fair alla TV (per intenderci, sul tema degli stagionali mancanti, causa giovani svogliati e arricchiti dal reddito di cittadinanza, Rai 2 ha dedicato un servizio di tre minuti a giugno 2021) .
Opinioni e sensazioni che però, se confrontate con i numeri e le statistiche, non riescono a trovare conferma e riscontro. Una semplice ricerca su Google riporta alla luce articoli relativi alla mancanza di camerieri e baristi stagionali estivi già dal 2012 — il reddito di cittadinanza è stato introdotto nel 2019. Secondo il Ministero del Lavoro i maggiori beneficiari del reddito di cittadinanza sono nella fascia di età 35-64 anni, il 43,5 % di coloro che lo hanno ricevuto. Invece la fascia di età 18- 34, quella più considerata nella discussione sui giovani lavoratori stagionali, si attesta al 20%, dimezzandosi ancora se si prendono in esame solo gli under 30.
Per fortuna qualche voce fuori dal coro si è levata: una su tutta quella della preside dell’istituto alberghiero Amerigo Vespucci di Roma, Maria Teresa Corea. La dirigente scolastica ha dichiarato che molte attività commerciali hanno contattato l’Istituto per avere stagionali, salvo poi proporre contratti da 300 euro. Parole che hanno fatto il paio con quelle dello chef Jacopo Ricci, il quale ha ribadito che chi non trova dipendenti è perché non offre paghe adeguate.
Lavorare nei cocktail bar all’estero se sei un Under 30
Ma gli stagionali e i professionisti dipendenti del settore dell’ospitalità cosa dicono? Sono stati il centro della discussione e delle polemiche ma sono stati anche quelli meno interpellati. Abbiamo quindi voluto sentire l’opinione di quattro giovani professionisti under 30, che lavorano da anni nel settore del bar e della ristorazione e che hanno deciso di lasciare l’Italia per trovare condizioni migliori.
Qui non c’è la sotto-dimensione tipica dei locali italiani, anzi, preferiscono avere un dipendente in più per garantire sempre il miglior servizio.
Classe 1993, Kevin Osbat è un barman friulano all’anagrafe, ma bolognese di adozione, che ha iniziato la sua carriera nel mondo della miscelazione proprio nel capoluogo emiliano.
Attualmente Osbat si trova in Francia, a Saint-Tropez, dove sta lavorando per la stagione estiva. “Quella di quest’anno è la mia terza stagione estiva in Costa Azzurra. Sono arrivato a giugno e rimarrò fino a ottobre al Club Les Palmiers, dove sono capo barman: è una struttura balneare di lusso con ristorante e bar.”
Osbat ha iniziato come barback a Bologna e “mi sono subito innamorato di quel mondo e di quell’ambiente. A 21 anni stai zitto, non ti lamenti e a testa bassa impari tutto quello che puoi imparare. Se vuoi raggiungere l’eccellenza i sacrifici sono necessari.” Da barback diventa barman e ha l’opportunità di girare in tutta Italia e anche fuori Europa. Nel mentre vince anche il premio migliore bar team d’Italia assieme ai suoi colleghi. Soddisfazioni che però comportano anche numerose rinunce: come le dieci ore lavorative al giorno, e più, che lo inglobano completamente.
“A livello di stipendio guadagna nei mesi estivi il doppio dello stipendio percepito in Italia e ha un TFR che gli permette di star bene tutto l’anno”
Nel gennaio 2019 inizia come bartender al Club Les Palmiers nel 2019. Dopo la prima stagione torna in Italia ma l’estate dopo è di nuovo in Francia. Diventa ben presto bar manager, ruolo che ricopre anche oggi: “Mi occupo della formazione dello staff, della cocktail list, delle materie prime d’acquistare e della scelta delle bottiglie da proporre. La prima differenza con l’Italia è nel numero dei dipendenti: non c’è la sotto-dimensione tipica dei locali italiani, anzi, preferiscono avere un dipendente in più per garantire sempre il miglior servizio.”
Altre differenze evidenti dono a livello contrattuale. “Dal punto di vista personale con l’assunzione sono stato subito regolarizzato già nel 2019. Quest’anno il locale è entrato a far di un gruppo e, se possibile, le tutele sono aumentate ancora di più. Tutto è a norma. Ho le ferie, la malattia, i giorni liberi settimanali. Gli straordinari quando vengono fatti sono retribuiti.”
Osbat è stagionale e a livello di stipendio guadagna nei mesi estivi il doppio dello stipendio percepito in Italia, oltre ad avere un TFR che gli permette di star bene tutto l’anno: “A questi poi si aggiungono le mance e i premi di produzione quando raggiungiamo e superiamo i target prefissati. Sono in moltissimi che qui lavorano solo sei mesi e riescono a viverci tutto l’anno”.
Continua: “Mia madre mi chiede se ho voglia di tornare in Italia. Ma come posso? Con quali garanzie? Per quanto mi possa mancare l’Italia, e mi manca, allora come oggi non tornerei. Credo che per un cambiamento nel nostro settore ci vorranno almeno 4-5 anni. E quando accadrà valuterò il ritorno.”
Oggi in Francia da commis di sala guadagno più che da bar manager in Italia
Mentre parla Osbat interviene anche Aurelio Cardella, 28 anni, anche lui impegnato per la stagione estiva a Les Palmiers. Per Cardella è il primo anno, la prima stagione vera: “Io sono iscritto a Giurisprudenza e questa esperienza la faccio anche per pagarmi gli studi. Oggi in Francia da commis di sala guadagno più che da bar manager in Italia. Il nostro Paese garantisce una formazione che spicca all’estero e che infatti viene premiata. Mentre da noi capita ancora che siano richieste preparazione e specifiche qualifiche, senza che però siano poi riconosciute a livello contrattuale.”
“In Italia non si ha un monte ore settimanale. Semplicemente lavori finché serve. In Olanda ho trovato condizioni opposte”
Della stessa opinione di Osbat e Cardella è Valentino Creatura, barman pugliese di 26 anni, la cui ultima esperienza è stata Amsterdam [N.d.R Dopo la stagione estiva ha ricevuto un’offerta lavorativa che lo ha portato a Barcellona]. Ha iniziato a lavorare come cameriere in Puglia, salvo poi decidere a 16 anni di trasferirsi a Bologna, dove viveva già suo fratello.
Creatura frequenta il corso da barman dell’Accademia del Bar, nota scuola professionale del capoluogo emiliano, trovando subito lavoro in un cocktail bar del centro. Un lavoro che dura due anni, dopo i quali Creatura decide di lasciare non solo Bologna, ma l’Italia: “Le motivazioni furono diverse. Avevo sentito dire che l’Inghilterra era over the top nel mondo dell’ospitalità, anche per stipendi e garanzie contrattuali. A Bologna avevo imparato tanto ma facevo turni massacranti per uno stipendio non elevatissimo. Era il 2015 quando mi trasferii a Birmingham. Ambientarsi allo stile di vita anglosassone è stato molto complicato e all’inizio anche il lavoro era complesso: il livello è davvero molto alto, si persegue e si pretende sempre l’eccellenza, c’è cura e attenzione verso i minimi dettagli. È stata una scuola fondamentale per me.”
Le condizioni lavorative risultano essere nettamente migliori dell’Italia, sia per numero di ore che per stipendio. La tappa successiva della vita di Creatura sono i Paesi Bassi, più precisamente Amsterdam, dove lavora in due realtà molto diverse fra loro: un luxury hotel e un cocktail bar del centro, con miscelazione di qualità ma informale. Anche in questo caso le differenze con l’Italia si notano subito.
“Una mentalità completamente diversa, in cui non si lavorava al risparmio ma avevamo la disponibilità del meglio per raggiungere il top. E poi le ore di lavoro. In Italia non si ha un monte ore settimanale: semplicemente lavori finché serve. In Olanda invece ho trovato condizioni opposte, avevo un contratto da 38 ore settimanali a 1900 euro mensili con ferie, malattia e contributi pagati. Quando superi un tot di ore di straordinario hai automaticamente giorni di ferie. Mediamente lavoro tra i 4 e i 5 giorni a settimana.”
Per stessa ammissione di Creatura, l’Olanda è anche meglio del Regno Unito in tema di garanzie lavorative, soprattutto per la qualità della vita rapportata alla professione: “I miei diritti sono sempre stati rispettati. Non avevo mai pensato di potermi costruire una vita facendo il barman. In Italia se sei barman non hai tempo di coltivare qualcosa che non sia il lavoro, ti ingloba. Io qui ho una relazione stabile, posso fare progetti con lei e ho il tempo per godermi del tempo libero.”
“Non è solo una questione di salario e contratto, ma è anche vedere riconosciuto il proprio lavoro”
L’ultima parola è quella di una bartender che ha lasciato l’Italia per perseguire le sue ambizioni di carriera oltre la Manica. Cristiana Pirinu è sarda di Bosa, in provincia di Oristano. Ha 25 anni ma è a Londra da quando ne aveva 19. “Al terzo anno di scuola ho scelto la specializzazione in sala e bar. Il mi primo stage, a 16 anni, fu subito in un cinque stelle. Prendevo 400 euro al mese ma non mi interessava: potevo imparare e migliorarmi in un contesto di eccellenza ed ero contentissima. Ci tornai infatti anche gli anni successivi, sempre in stage. L’anno del diploma mi sentivo di aver imparato e di poter essere inserita nello staff. Invece mi offrirono un altro stage, alle stesse cifre e agli stessi orari. Decisi di rifiutare.”
Pirinu torna a lavorare a Bosa, il suo paese natale, in un piccolo bar per una stagione. Una struttura locale dove però trova tutte le garanzie lavorative che un lavoratore vorrebbe: “Le mie esperienze in Italia sono state queste due. Una in cui ho avuto difficoltà contrattuali ma da cui ho potuto imparare moltissimo. E l’altra dove invece mi sono trovata davvero molto bene. Seguo le vicende in Italia e so com’è la condizione generale e io posso ritenermi fortunata.”
Per andare avanti con la sua carriera ha ritenuto necessario partire, scegliendo il Regno Unito: “La mia prima esperienza fu in un ristorante italiano dove ho un po’ rivisto quelle italianità in salari e ore. Sfruttavano il salario minimo obbligatorio e non andavano oltre. Fino a quando però ho deciso di impormi, pretendendo e ottenendo ciò che mi aspettava”.
Nel 2018 Pirinu viene assunta dalla Rocco Forte Hotel, una società di hotel di lusso: “Rocco Forte Hotel è una società che ha un approccio di hospitality molto italiano, ma una mentalità imprenditoriale anglosassone. Ho avuto l’opportunità di imparare, crescere, far carriera e avere al tempo stesso un contratto fisso, due giorni liberi a settimana, 28 giorni di ferie l’anno pagate. È stata la prima volta che ho fatto le otto ore di lavoro e tutte le altre pagate come straordinario.” Entrata come bartender tre anni fa, oggi è Bar Supervisor del Donovan Bar al Brown’s Hotel, uno dei più importanti cocktail bar della capitale inglese.
“Non è solo una questione di salario e contratto, per quanto siano fattori importantissimi, ma è anche vedere riconosciuto il proprio lavoro. A Londra ho avuto l’occasione di fare carriera e assumere ruoli di responsabilità. In Italia c’è l’ossessione dell’esperienza data dall’età. Se sei più anziano, sei più esperto, non si tiene conto della formazione. Non viene data l’opportunità ai giovani di dimostrare di poter valere.”
E su un suo futuro ritorno in Italia, mi dice: “Sarebbe difficile sentirsi a casa qui, dato il legame con la mia terra, quindi il desiderio di tornare c’è sempre. È questa la sfida più complicata che una persona deve affrontare: l’amore per il lavoro contro l’amore per la tua terra. Anche perché in Italia mi pare che sia in atto un cambio di mentalità. Ho sentito alcuni colleghi che sono tornati e hanno trovato offerte stimolanti.” C’è però una cosa che purtroppo accomuna l’Italia e l’Inghilterra. Ed è un problema che è ancora troppo presente nel settore e che mina le opportunità lavorative di chi non è un uomo: “Il sessismo nel mondo dei cocktail bar è un problema trasversale e diffuso ovunque anche a Londra, onestamente non penso sia peggiore in Italia. Io personalmente non ho mai vissuto episodi di questo genere ma me ne sono stati riferiti diversi. Purtroppo non dipende solo dal Paese in cui ci si trova.”