Dopo aver svelato le illusioni dei neo venticinquenni, è giunto il momento di edificare una filosofia raffazzonata per la seconda parte della nostra vita. Nell’articolo precedente alcuni commentatori si sono chiesti che cosa fare a 25 anni se non si può fare niente. “Ne ho 26… che faccio, mi stendo sul letto e attendo la morte per inedia?”
Mettiamo in chiaro subito una cosa: la vita è la stessa di sempre, solo che adesso forze sconosciute ci costringono a essere lucidi e consapevoli. Il lavoro e le relazioni sono le identiche commedie di quando siamo partiti per la Danimarca in Erasmus o di quando ci stordivamo con l’md. Ma risvegliati da quei 25 anni sottovuoto abbiamo oggi dei postumi tremendi. Qui di seguito sono dunque elencati alcuni agili consigli per superare elegantemente l’hangover della post-post adolescenza e vincere una volta per tutte quelle forze oscure che ci costringono a responsabilizzarci.
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AVERE SOLDI SUL CELLULARE
Gli amici che non hanno i soldi al cellulare sono esistiti grazie a noi che li abbiamo sempre richiamati. È vero, a volte ci hanno ingannato mandandoci sms preoccupanti: “Chiamami presto.” Il risultato era sempre lo stesso: essere dei sacchi di patate. Volevano soltanto sapere cosa fare la sera e farsi venire a prendere, senza neanche il contributo minimo di una ricarica telefonica per organizzare. Abbiamo avuto a che fare con loro per tutto il liceo e gran parte dell’università. È ora di basta, abbiamo sopportato abbastanza, soprattutto le loro lezioni: “a me non servono più di cinque euro al mese di ricarica.” È ora di rispondere agli squilli con altri squilli: se non quella della ragione, almeno abbiamo raggiunto l’età della ricarica.
LEGGERE
Terminato il periodo scolastico, dove i libri si leggevano perché imposti, oggi i venticinquenni sembrano essersi tolto un peso. A continuare a leggere sono rimasti i cosiddetti “lettori forti” (quelli da 12 libri l’anno), personaggi mitologici che annusano la carta e ti raccontano la poesia della lettura (“La serietà della lettura”, “l’ossessione per il cartaceo”, “il non poterlo chiamare hobby”). Questi attrezzi bibliofili non sono modelli affascinanti; spaventerebbero chiunque, anche Papini che i libri li sodomizzava.
Leggere in realtà non è nulla di straordinario. Citando liberamente Celati, “leggere è un modo di consumare il tempo, rendendogli omaggio […] poter celebrare il vuoto, l’ombra, l’erba secca, le pietre dei muri che crollano e la polvere che respiriamo.” Iniziamo allora a trattare i libri come qualsiasi altra cosa: la magia della lettura non ha mai funzionato. Apriamo Bataille con l’intenzione di masturbarci (saltando però l’introduzione di Barthes che la fa scendere); superiamo col pilota automatico capitoli interi di Infinite Jest e leggiamo Dostoevskij seduti composti, come volevano i nostri maestri, mentre cachiamo.
NEGARE TUTTO
A venticinque anni non si è vissuto tanto, ma a riguardare il passato sembrano infinite le cose che ci imbarazzano: la compilation Festivalbar ’98, la canotta nera De Puta Madre Carlito Brigante, le scarpe Geox, le carte Magic, i Soliti Idioti, il codino, il collarino di legno, quella volta che sovrappensiero abbiamo citato Zelig o quell’altra in cui ci hanno beccato mentre fischiettavamo “Il mio nome è mai più”…
Quando qualcuno dalla memoria lunga vi chiederà delucidazioni, voi negate. In fila all’Adriano per lo spettacolo di Twilight? Impossibile, non ero io. Quella lettera d’amore in cui citavo Baricco? Ma se io Baricco lo odio! Se ce l’ho ancora il cappello alla pescatora di quando andavamo al liceo? No, ecco, quello l’ho bruciato.
IL GRAN SENSO DEL RIDICOLO
Non date retta a chi vi dirà che da oggi la vita sarà un inferno; in tutti questi anni avete sviluppato il più efficace dei rimedi: il Gran Senso Del Ridicolo.
Ora siete pronti a tutto:
quando il vostro prossimo ragazzo/ragazza vi lascerà preventivamente per fare carriera;
quando il vostro primo lavoro retribuito sarà di 1000 euro lordi l’anno;
quando smetterete di fumare per una settimana e in quella settimana fumerete tre sigarette;
quando vostra madre che vi vede sempre davanti al computer vi dirà di iscrivervi all’ufficio di collocamento;
quando rivedrete i film doppiati in lingua originale;
quando vedrete il correlatore distruggere la vostra tesi di laurea dopo aver letto una pagina la sera prima;
quando vi ritroverete a ballare Jovanotti per rimorchiare;
quando impiegherete 45 minuti a scegliere il porno migliore;
quando il vostro miglior amico si metterà le palle di natale nella barba;
quando uscirà il nuovo film di Checco Zalone e straccerà il record del precedente film di Checco Zalone;
quando Benigni leggerà il Mein Kampf in prima serata.
IMPARARE A FARE LA SPESA
La prima spesa è difficile per tutti. Davanti agli scaffali del supermercato si comprano pop corn, un pacco di pasta, tre banane, una scatola di merendine, una di pomodorini e una bottiglia di Jack Daniel’s. Con il tempo ci si affina; dopo il periodo dada si passa a quello “post-atomico”, durante il quale si acquista tutto il cibo che Nostro Signore Appert ha scelto di mettere in scatola: tonno, legumi, carne, sottaceti. Questa spesa a base di olio ci permette di vivere tranquillamente per una settimana. Superare questo periodo è l’impresa più difficile. Molti venticinquenni mollano. Si giustificano spiegando che per loro mangiare non è poi così importante, una pratica che devono sbrigare tra un impegno e l’altro.
Per superare il periodo “post-atomico” bisogna andare al banco clienti del supermercato e fare la carta. Da lì in poi lasciate lavorare lei al vostro posto; vi guiderà soltanto verso i prodotti in offerta. La spesa diventerà così più variegata e potrete finalmente invitare i vostri amici e preparare una cena di “Arte povera”.
SCUSARSI CON LA DOMENICA
Ma se fa schifo la domenica! Bleah! Comportarsi da bambini aveva senso quando eravamo bambini. La domenica faceva schifo perché c’erano la chiesa e la scuola. Ora che siamo diventati, chi più chi meno, dei senza-Dio, non abbiamo ancora smesso di disprezzarla, abbottandola in alcuni casi di calcio-placebo; spalmato dalla mezza fino alle ventitré. “Uscire? Ma come si può quando c’è Chievo – Cesena!”
Siccome da oggi tutti i giorni sono domeniche, restituiamo all’unica e vera giornata del Signore la dignità di cui l’abbiamo sempre privata. Facciamo un’impresa futurista: viviamola! Continuando a non fare niente, si badi bene, ma almeno all’aria aperta; è il nostro modo di chiederle scusa per tutte le volte che le abbiamo dato senza motivo della stronza.
STARE SEDUTI AI CONCERTI
Abbiamo trascorso anni a pagare per stare male. Ai concerti d’inverno eravamo sepolti in locali di amianto con l’acustica di un garage; alle arene d’estate, in un deserto di polvere e cinquanta gradi, spugnati come cetacei con bottigliette d’acqua. Sempre e dovunque a combattere con altri amanti della musica per un metro quadrato di spazio, regolarmente dietro gente troppo alta. Dov’è Neil Young in tutto questo? Dove sono finiti i miei 50 euro?
Dovremmo cominciare a pretendere quello che ci spetta; pagare per stare bene. Basta stare in disparte a borbottare e farci schiacciare le Church mentre intorno a noi si mettono in scena il ballo e il pogo. Ai concerti sarebbe bello stare seduti e non alzarsi neanche se Lou Reed risorto ci invitasse a raggiungerlo sotto al palco dell’Auditorium: lui è pagato per stare in piedi, noi no.
DARE MENO
Come specificato nel precedente pezzo, dai venticinque anni in poi dovremmo evitare di vivere con furia gli anni che ci restano, altrimenti saremmo nel pieno di un conto alla rovescia; la vita dai venticinquenni deve essere affrontata con calma e ponderatezza. Mettiamo per un po’ da parte gli altri e pensiamo a noi.
Cominciando dalle piccole cose: i social network. Abbiamo trascorso anni a condividere tutto e alla fine ogni nostra esperienza più intima è diventata “un post”. Quando abbiamo ascoltato una canzone struggente alla radio invece di piangere abbiamo pensato al momento in cui l’avremmo condivisa; e così quella che poteva essere un’occasione per conoscersi meglio diventa un coito interrotto sulla bacheca di una buzzicona che manco ha messo “mi piace”.
Vivere le cose in prima persona ci porterà a temere sempre meno il giudizio degli altri, e riusciremo finalmente a goderci in pace i giorni lavorativi anche senza un lavoro.
Foto di Bruno Bailey.
IL DOTTORATO
Nel 1916 il poeta Dino Campana scriveva a Sibilla Aleramo: “Fabbricare, fabbricare, fabbricare / Preferisco il rumore del mare.” Cent’anni dopo abbiamo preso in prestito il distico per rivolgerlo prontamente ai nostri genitori che ci chiedono perché “stiamo sempre davanti al computer.” Dopo aver terminato gli studi universitari, sei anni per una triennale e la magistrale in un lampo, ci siamo, a torto, convinti di essere idonei a una carriera accademica e “davanti al computer” compulsiamo i bandi di dottorato (quelli con borsa chiaramente, perché il nostro progetto di ricerca “CINEMADANZA” o “Una cosa sulle donne nei romanzi” non può essere gratuito); dall’Università di Ancona a quella di Viterbo; 5.000 euro di Trenitalia per provarne almeno sei.
Lo scopo, che si tratti di master, dottorato o corso di perfezionamento, è uno solo: rimandare. Perché lavorare fa schifo e quel salto nel buio dalla scuola all’impiego sarà sempre insostenibile; dalla convinzione di essere un predestinato come tutti, all’approdo dietro la scrivania di un ufficio inquietante in un seminterrato con le finestre al livello della strada. Procrastinare, procrastinare, procrastinare, tutto fuorché lavorare.
SMETTERLA DI COMPRARE ROBA APPLE
1. Abbiamo ammesso di essere impotenti di fronte alla Apple e che le nostre vite erano divenute incontrollabili.
2. Siamo giunti a crede che un Potere più grande di Steve Jobs potrebbe ricondurci alla ragione.
3. Abbiamo preso la decisione di affidare i nostri portatili e i nostri tablet alla cura di Bill Gates.
4. Abbiamo fatto un backup profondo e senza paura di noi stessi.
5. Abbiamo ammesso di fronte a Bill Gates e a noi stessi l’esatta natura dei nostri torti.
6. Eravamo completamente pronti ad accettare che Bill Gates eliminasse tutti questi difetti di aggiornamento.
7. Gli abbiamo chiesto con umiltà di eliminarli.
8. Abbiamo fatto una lista di tutte le persone che avevano Windows a cui abbiamo fatto del male e abbiamo deciso di fare ammenda.
9. Abbiamo fatto direttamente ammenda.
10. Abbiamo continuato a fare il nostro inventario personale, e quando ci siamo trovati in torto lo abbiamo ammesso senza esitare.
11. Abbiamo cercato attraverso i Nokia Lumia di migliorare il nostro contatto cosciente con Bill Gates chiedendo solo di conoscere la Sua volontà per noi e di avere la forza di metterla in atto.
12. Avendo ottenuto per mezzo di questi passi un risveglio spirituale abbiamo cercato di trasmettere questo messaggio ai dipendenti dalla Apple e di praticare questi princìpi in tutti i campi della nostra vita.
AVERE UN PIANO
In fondo, non è importante fare qualcosa dopo i venticinque anni, l’importante è avere un piano. Non siate troppo rigidi però: il vostro piano deve essere modificabile, aggiornabile, paraculo. Avere un piano non vuol dire reinventarsi, quello porterebbe all’insoddisfazione eterna. Avere un piano vuol dire aspirare alla pace suprema: non mettersi in gioco, basso profilo e fingere che la situazione sia sempre sotto il vostro controllo. Ogni fallimento, in questo modo, diventa insignificante: tanto il vostro piano è un altro. Ogni vittoria diventa trascinante, dandovi la certezza che il piano stia funzionando. Ripetetelo anche agli altri per convincere voi stessi: “È un percorso intellettuale mio, poi ti spiego, aspetta e vedrai.” Ricordatevi di non svelarlo a nessuno, neanche ai parenti; il piano è soltanto vostro.
Poi se riuscirete a mantenere il segreto raggiungerete finalmente l’illuminazione: intorno a voi nessuno vi starà più col fiato sul collo, nessuno vi renderà più ansioso, nessuno pretenderà da voi il meglio, l’efficienza o la produttività.
E quando gli altri avranno finalmente capito che non devono più rompervi i coglioni perché voi avete il piano, arriva il momento in cui potreste metterlo in pratica; ma ormai è troppo tardi, chi ve lo fa fare?
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