Aggiornamento del 14/09/2021: Visto il successo della raccolta firme per il referendum sulla cannabis legale, abbiamo deciso di riproporre questo articolo che avevamo pubblicato l’anno scorso. L’articolo è stato modificato con gli ultimi dati disponibili sul tema, mentre sono stati rimossi i riferimenti più datati.
Tra proposte di legge in Parlamento e iniziative dal basso—come leggi popolari e referendum—è da qualche tempo che il movimento antiproibizionista sembra quindi aver avuto un rilancio dal punto di vista istituzionale, muovendosi dopo tempo in maniera più o meno uniforme rispetto alle tantissime realtà esistenti.
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Ma cosa succederebbe se decidessimo di legalizzare la cannabis a scopo ricreativo una volta per tutte? Ho parlato con esperti e attivisti degli effetti positivi, degli eventuali problemi e delle ricadute da un punto di vista economico e sanitario [nota: in questo articolo si parla primariamente di legalizzazione, che ha un significato diverso rispetto alla liberalizzazione, ovvero la libertà di commercio senza vincoli legislativi].
I dati sul consumo di cannabis in Italia
Stando all’Istat sono circa sei milioni gli italiani che consumano cannabis; secondo le stime di Marco Rossi, docente e ricercatore di economia politica alla Sapienza di Roma, il numero varia però dai 500mila consumatori quotidiani a “chi si fa uno spinello a capodanno, che è economicamente irrilevante.” I consumatori abituali costituiscono circa il 90 percento del mercato.
Per Rossi, i consumi e i prezzi sono rimasti sostanzialmente invariati negli ultimi dieci anni. “L’unico cambiamento significativo è stato la crescita esponenziale dell’autocoltivazione,” spiega il professore. Infatti, il clima Italiano si presta particolarmente bene alla crescita della canapa, che di per sè non richiede il pollice verde per fiorire.
La base di un eventuale mercato legale, insomma, è piuttosto ampia. Come funzionerebbero le cose da un punto di vista distributivo e fiscale?
I benefici della legalizzazione della cannabis
In base al rapporto della società di consulenza Prohibition Partners, il mercato della cannabis in Europa è in crescita costante e potrebbe arrivare a valere ben 128 miliardi di euro entro il 2028. Tuttavia, come spiega Rossi, esistono almeno due modelli di legalizzazione che porterebbero a esiti fiscali completamente diversi.
Da un lato c’è il monopolio di Stato (un po’ come le sigarette), con una tassazione intorno all’80 percento e la vendita in tabaccheria. In tal caso “sarebbe ragionevole ipotizzare un beneficio fiscale che si aggira fra i 3 e i 4 miliardi.”
Il dato riflette appunto la crescita dell’autocoltivazione, soprattutto fra i consumatori abituali. “Se ipotizzassimo che tutti i consumatori andassero a comprarla al tabacchino, potremmo tranquillamente arrivare anche a 5 miliardi,” continua il professore.
L’altro modello si rifà all’esperienza olandese. La sostanza verrebbe dunque tassata, ma la produzione e la distribuzione non dipenderebbero dallo stato—lasciando quindi ai privati l’opportunità di coltivare, vendere e pubblicizzare il proprio prodotto. Per Rossi si creerebbero così alcune decine di migliaia di negozi per soddisfare la popolazione locale “con un impatto notevole sull’occupazione, sul reddito e sulle imposte sul reddito.”
Il professore non crede che l’Italia possa approvare il secondo modello, principalmente a causa della mentalità conservatrice. “Se ci sarà una legalizzazione,” spiega, “almeno all’inizio dovrà essere il meno visibile possibile.” L’opzione della legalizzazione tramite il monopolio di stato è dunque più verosimile, sebbene meno vantaggiosa.
Ci sono pochi dubbi, invece, sul fatto che entrambi i modelli avrebbero ricadute occupazionali molto positive. Sempre secondo Rossi, se la legalizzazione avvenisse tramite il monopolio di stato ci sarebbero 60mila addetti stagionali impiegati soprattutto nella fase della manifattura dopo il raccolto. Con il sistema dei coffee shop, invece, si creerebbero circa 300mila posti di lavoro.
“In questo senso, l’esperienza della cannabis light ci può insegnare molto,” spiega Francesco Principe, ricercatore all’Erasmus School of Economics. Come abbiamo raccontato più volte su VICE, il mercato della cannabis light è fiorito molto rapidamente dopo la legge (piuttosto lacunosa) del 2016; e, pur tra difficoltà e sentenze contraddittorie, ha ormai raggiunto un volume d’affari sostanzioso. In più, il nuovo settore ha attirato molti investimenti dai giovani. “L’età media di chi lavora nel settore della cannabis light e di 32 anni,” dice Antonella Soldo, portavoce di Meglio Legale.
Il costo del proibizionismo
Un’eventuale legalizzazione non solo creerebbe lavoro, ma libererebbe risorse preziose che sono in gran parte destinate alla repressione.
Secondo la dodicesima edizione del Libro Bianco sulle droghe, quasi un milione di persone sono state segnalate per possesso di cannabis e derivati negli ultimi vent’anni. La maggior parte delle risorse antidroga della polizia sono destinate alla cannabis, sia per quanto riguarda gli interventi che i sequestri. Giusto per dare un’idea delle proporzioni: tra il 2004 e il 2018 sono state sequestrate circa 850 tonnellate di cannabis, rispetto alle 66 di cocaina e 17 di eroina.
Un altro effetto diretto è l’aumento delle persone incarcerate. “Un terzo dei detenuti in carcere é per violazione del testo unico sulle droghe, e la maggior parte di questi procedimenti giudiziari riguarda la cannabis,” spiega Antonella Soldo.
A questo si deve aggiungere una normativa confusa e paradossale sul punto. Nel 2019 la Corte di Cassazione ha stabilito che la coltivazione per uso personale non è sempre reato; la legge però punisce l’autocoltivazione con pene che possono arrivare a sei anni di carcere. Al contempo, il possesso per uso personale è soltanto un illecito amministrativo. “È come se lo stato ti dicesse che puoi fumare la cannabis,” sottolinea Antonella Soldo, “basta che te la procuri sul mercato nero.”
Di sicuro c’è che il probizionismo costa, e parecchio. Il Libro Bianco parla di 20 miliardi di euro all’anno tra mancate entrate per lo Stato, costo dei processi, spese di polizia e il sovraffollamento delle carceri; il professore Rossi è molto più prudente, e parla di 500 milioni. In ogni caso, si tratta di parecchi soldi: le risorse attualmente dedicate alla lotta contro la cannabis potrebbero essere usate meglio—anche per concentrarsi su reati più gravi e sostanze più pericolose.
La legalizzazione aiuterebbe la lotta alle mafie
Uno degli argomenti più usati a favore della legalizzazione è la riduzione di una grossa fonte di introito per le mafie. “In Italia il mercato della cannabis è monopolio della criminalità organizzata, soprattutto della ‘ndrangheta,” mi dice il ricercatore Francesco Principe. Insieme ai colleghi Vincenzo Carrieri e Leonardo Madio, Principe ha studiato l’impatto che la legalizzazione della cannabis light ha avuto sul crimine organizzato e ha fatto ricerche sul traffico di droghe leggere e le mafie.
“È un mercato che vale tantissimo, circa 4 o 5 miliardi di euro solo per la cannabis,” continua. “Parliamo di una cifra elevatissima e probabilmente al ribasso, perché è difficile determinare le dimensioni di un mercato illegale.”
Principe ritiene che la legalizzazione non farebbe automaticamente sparire il mercato nero. Sul breve termine, lo stato si troverebbe in competizione con organizzazioni che “hanno una conoscenza del mercato sviluppata in 30 o 40 anni, il pieno controllo del territorio e un maggior know-how sul prodotto e sui prezzi.” Rimarrebbe quindi una minoranza di consumatori disposta a comprare un prodotto illegale a un prezzo più basso.
Un problema specifico dell’Italia sarebbe invece la potenziale infiltrazione del crimine organizzato nella nuova economia legale. “Una volta che si decide di legalizzare la cannabis,” mi spiega il ricercatore, “le due domande principali sono: chi la produce? E chi la vende? Ovviamente si rischia di dare a organizzazioni criminali l’opportunità di ripulire il denaro aprendo, per esempio, dei coffee shop.”
Il tema della legalizzazione rimane estremamente complesso, continua Principe, ma “l’esperienza della cannabis light fa ben sperare.” Secondo il loro studio, “circa il 10 percento dei consumatori è passato dalla cannabis illegale a quella legale, nonostante quest’ultima abbia un tasso ridotto di Thc.”
L’impatto della legalizzazione sulla sanità
Come hanno dimostrato varie ricerche, la qualità della cannabis venduta illegalmente per strada è piuttosto bassa. Il prodotto viene spesso tagliato con sostanze nocive per risparmiare sui costi e aumentare i margini di profitto. Il professore Rossi ritiene però che i rischi per la salute dovuti alla contraffazione della cannabis siano trascurabili, specie se confrontati con eroina, cocaina o anche alcolici e sigarette di contrabbando.
La legalizzazione avrebbe un impatto benefico per la sanità, seppure in maniera diversa. Se da una parte si aprirebbe maggiormente alla ricerca scientifica, dall’altra, “come si è visto anche in Olanda,” ricorda il docente, “se rendi la cannabis illegale la metti nello stesso calderone con cocaina, eroina, eccetera. Il pusher ti vuole vendere anche il resto e ha un interesse economico a farlo.” In altre parole, legalizzare le droghe leggere spezzerebbe il mercato in due segmenti diversi.
Perché si dovrebbe legalizzare proprio ora
“Non dobbiamo essere sempre indietro rispetto agli altri paesi,” ribadisce Principe, “e per una volta potremmo essere noi quelli un po’ più innovativi.” D’altro canto, i paesi che hanno intrapreso questo passo l’hanno fatto dopo aver valutato che i benefici sono superiori ai costi sociali.
In base ai calcoli di Rossi, ci troveremmo di fronte a 4 miliardi di introiti e di 50mila nuovi lavoratori. Tuttavia, in Italia la questione “non viene affrontata né sul piano razionale ma su quello simbolico.”