Che cosa è rimasto del Leoncavallo?

La prima cosa che noto entrando nell’ex stamperia di via Watteau, l’edificio che ospita abusivamente il Leoncavallo dal 1995, è un foglio di sfratto previsto per il 20 ottobre 2015. È affisso al muro con un misto di sfida e spavalderia, ed è solo l’ultimo di una lunga serie: in effetti, è da quando il Leoncavallo è nato che c’è chi giura di volerlo far sparire—e invece il 18 ottobre 2015 ha festeggiato i suoi quarant’anni.

Non bisogna essere di Milano per aver sentito parlare del Leoncavallo S.P.A. (Spazio Pubblico Autogestito), il centro occupato più famoso d’Italia. In questi quarant’anni però è cambiato tutto: l’Italia, i giovani e la realtà dei centri sociali. Se prima erano luoghi che partivano da un’associazione politica e da un’idea sociale e agivano all’interno di quei mondi, al giorno d’oggi sono sempre più punti di aggregazione apolitici strettamente legati al mondo artistico e del recupero degli spazi per farne cultura, musica, teatro. Io sono venuta qui per capire proprio questo: come s’inserisce, in un mondo simile, un posto che è nato sotto il segno della protesta?

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A rispondere alle mie domande ci sono Kenny, Fox ed Elisa; rispettivamente al Leoncavallo da otto, 15 e 25 anni, si occupano un po’ di tutto, dalla programmazione culturale e musicale al coordinamento e la gestione quotidiana del centro. Insieme mi raccontano che il Leoncavallo è nato in un’ottica comunitaria e locale, nel bel mezzo di un quartiere di origine operaia in cui offriva servizi in grado di compensare alle mancanze istituzionali quali attività scolastiche, di palestra, di consultorio ginecologico, di doposcuola. Oggi quella tradizione di iniziative sociali prosegue attraverso una scuola di inglese, una scuola di italiano per gli stranieri, l’attività di accoglienza che ospita temporaneamente chi ne ha bisogno e la cucina popolare coi suoi pasti a prezzi contenuti.

Dietro a tutto, fin dall’inizio c’è stata l’idea di una riappropriazione dal basso degli spazi pubblici. Fu con questo movente, al termine di un corteo organizzato da un comitato locale il 18 ottobre del 1975, che un gruppo di ragazzi occupò abusivamente un’ex fabbrica farmaceutica del Casoretto, quartiere nella periferia nord di Milano. Si trattava di tre edifici per uno spazio di circa 3.5000 metri quadri, inutilizzati da dieci anni, in via Leoncavallo 22.

Da allora il Leoncavallo ha vissuto momenti fondamentali per la sua storia e quella dei Movimenti in Italia—i festival di parco Lambro, le battaglie contro il nucleare e per la legalizzazione delle droghe leggere, le Mamme Antifasciste in prima linea contro la tossicodipendenza, ma anche episodi e periodi più dolorosi, come quelli che risalgono alla fine degli anni Settanta.

Come l’assassinio di Fausto e Iaio, i due attivisti leoncavallini uccisi a colpi d’arma da fuoco poco lontano dal centro, in un omicidio rimasto senza colpevoli. L’accaduto, a soli due giorni dal rapimento di Aldo Moro e in pieni anni di piombo, segnò l’inizio di un periodo caratterizzato, in tutta Italia, dalla tensione e dal terrore, in cui i movimenti antagonisti venivano spesso associati, nella realtà e nell’immaginario collettivo, all’uso della violenza.

“Diciamo che sono stati momenti in cui tirare fuori un po’ le unghie non è stata una scelta ma una necessità,” mi dice Elisa commentando quegli anni, caratterizzati dalle manifestazioni di piazza e dalle divisioni interne tra chi spingeva per un’apertura e chi la negava del tutto.

16 agosto 1989: La resistenza degli occupanti del Leoncavallo in occasione del primo dei due sgomberi della sua storia.

In tutto questo gli sgomberi, ieri come oggi, hanno contribuito in maniera sostanziale alla costruzione dell’identità del centro. Il primo avvenne il 16 agosto del 1989, mesi dopo la domanda da parte della proprietà di demolire lo stabile, a cui Comune e Regione non avevano dato alcuna risposta. Da preludio della possibile fine del Leoncavallo, il periodo compreso tra l’annuncio dello sgombero e la sua attuazione diventò l’inizio del futuro del centro, quando il Leoncavallo scoprì il bisogno dell’autofinanziamento e cominciò a proiettarsi verso l’esterno—ottenendo il sostegno della popolazione, culminato in una manifestazione che vide la partecipazione di migliaia di persone e l’attenzione della stampa nazionale.

All’arrivo della polizia in quel giorno di agosto, gli occupanti del centro si arroccanoro dentro, e lo sgombero si concluse con l’uso della forza e 24 denunce. Il giorno dopo però gli occupanti, con l’aiuto dei cittadini, si riappropriarono del sito cominciando a ricostruirlo dalle macerie. Vi sarebbero rimasti fino al ’94, quando il 9 agosto un altro ordine di sgombero portò il Leoncavallo a passare un periodo senza una sede, e dopo una breve parentesi in una seconda locazione provvisoria, a mettere le radici in Via Watteau, dove da allora risiede senza aperti scontri con le forze dell’ordine.

Il cambiamento è evidente: il 25 aprile nessun membro del collettivo sarebbe mai sceso in piazza, perché il diktat era la protesta. Oggi invece è l’etica della proposta a prevalere, politica ma anche culturale e sociale. Con i pro e i contro che ne derivano.

“Negli ultimi anni è tutto un po’ diverso, l’approccio dei giovani è più pratico. Capita che ti avvicini per un’esigenza spiccia e magari poi ti si apre la testa. D’altronde la nostra storia in qualche modo anche solo guardando delle foto ti mette davanti aa alcuni interrogativi. Noi continuiamo a rappresentare un punto di vista alternativo, però si parte più da un’esigenza singola,” mi dice Kenny.

Eppure forse in un momento storico in cui la comunità e le ideologie collettive hanno ceduto il posto agli individui, la ragione di esistere di un centro simile non può che essere proprio questa: partire dalle singole esigenze dei giovani per offrire loro servizi che li facciano sentire parte di una comunità. “Il loro fervore politico non si è spento,” mi dice Kenny, “rimane sotterraneo.”

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Fuori dal Leoncavallo, il murales in memoria di Fausto e Jaio, 1992. (Foto di Isabella Balena)

16 agosto 1989: Alcuni ragazzi vengono arrestati durante lo sgombero.

Recupero di mattoni per la ricostruzione del Leoncavallo quando ancora era nell’omonima via, 1989.

Recupero del materiale del centro sociale dopo lo sgombero, 1989. (Foto di Isabella Balena)

23 settembre 1989: Manifestazione nazionale a favore del Leoncavallo.

Alcuni ragazzi del centro ricordano Fausto e Jaio con un murales nel luogo del loro omicidio, in via Mancinelli nel quartiere di Casoretto, Milano.

Due attiviste del Leoncavallo davanti ai murales in memoria di Fausto e Jaio, in via Mancinelli.