Visto che non siamo troppo forti negli sport, spesso apprezziamo storie impossibili di personaggi senza talento. In qualche modo le storie meravigliose di persone come Leo Messi, Michael Jordan o Rafa Nadal alla fine ci annoiano. Certo, sono personaggi perfetti per vendere maglie con grossi slogan motivazionali, ma tutti sanno che Leo, Michael e Rafa non sono arrivati dove sono solo grazie all’impegno: sono nati con del talento.
Messi che vince il Pallone d’Oro o Jordan nominato MVP sono fatti accaduti così tante volte da non poterli contare sulle dita di una mano e soprattutto paragonabili a Donald Trump che vince alla lotteria: è come dare soldi ai ricchi. Al contrario, il caso di un 31enne senza alcun tipo di talento calcistico che riesce a ingannare la dirigenza di un club inglese di primo livello è molto più interessante. E quando quel 31enne riesce addirittura a giocare 53 minuti semplicemente assicurando di essere il cugino di George Weah, il tutto diventa ancora più meraviglioso.
Nel 1995 Ali Dia era un giocatore del Blyth Spartans. Attraverso i contatti di un amico si era messo in contatto con l’allenatore del West Ham United, Harry Redknapp. Lì portò a compimento la prima parte del suo piano: presentatosi come il liberiano George Weah (!), spiegò di avere un cugino “tutto tecnica e velocità” pronto per giocare in Premier.
Non funzionò: Redknapp non abboccò. Ma Dia, invece di perdersi d’animo, continuò a provarci. E a un certo punto Graeme Souness, vecchia leggenda del Liverpool e allenatore del Southampton, parve interessato alla possibilità di avere tra i suoi un cugino di Weah.
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Il 23 novembre del 1996, il Southampton doveva giocare contro il Leeds United. Souness, che continuava a mantenere il suo atteggiamento fiducioso sorprese tutti quanti decidendo di convocare Ali Dia.
Al minuto 32 dell’incontro, uno dei calciatori più famosi della storia del Southampton, Matt Le Tissier, fu costretto a uscire per infortunio. Souness si girò verso la panchina e indicò Ali Dia, a cui sarebbe toccato il compito praticamente impossibile di sostituire l’eroe del match. Il senegalese, che non aveva chiaramente previsto quell’evenienza, non ebbe altra scelta che cambiarsi ed entrare.
Improvvisamente, il suo piano—passare un po’ di tempo in una squadra di livello, guadagnare qualcosa e vivere una storia da raccontare ai nipoti—si era scontrato con la realtà.
Ovviamente fu un disastro. Ali Dia durò soltanto 53 minuti. All’85esimo Souness decise di sostituirlo con Ken Monkou. Il difensore, che a differenza del compagno non aveva mentito sul suo curriculum, fece il suo ingresso sul terreno di gioco interrompendo così il sogno di Dia.
Nei minuti trascorsi in partita, il senegalese aveva vagato per il campo senza un’idea precisa della posizione da adottare o dello schema degli avversari. Nel frattempo, più tempo passava, più cresceva la vergogna di chi aveva creduto alla storia del finto cugino di Weah—primo fra tutti, ovviamente, l’allenatore Graeme Souness.
Sostituito da Monkou, Ali Dia aveva lasciato il campo a testa bassa. L’intero stadio del St. Mary’s aveva intonato il suo nome in un coro canzonatorio: “Ali Dia pallonaro, Ali Dia pallonaro!”
“Ali era rimasto nella sua zona per quasi tutta la partita, ma non aveva il senso della posizione né dell’anticipazione, e continuava a fare domande ai compagni. Non so nemmeno se sapesse l’inglese,” ricorda Le Tissier.
Due settimane dopo l’ingaggio arrivò la cancellazione del contratto, dopo la quale Ali Dia trovò rifugio nelle comode—e anonime—categorie inferiori del calcio inglese. Probabilmente, negli anni sono stati in molti a chiedere conto della sua carriera sfumata in Premier.
Ripensando a tutta la storia, mi viene un dubbio: quella di Ali Dia è solo una storia triste su un tizio senza talento che ha approfittato dell’unica occasione a sua disposizione per farsi conoscere? O quella di un genio che ha ingannato tutto il mondo per 53 minuti?
Che sia una o l’altra, in testa ho impressa un’immagine: quella del volto di Ali Dia negli spogliatoi dopo l’uscita dal campo, che dice tra sé e sé: “Cazzo, come li ho fregati.”
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