Julia Reda è un membro tedesco del Parlamento Europeo. Fa parte del Partito Pirata Tedesco, della The Greens-European Free Alliance ed è presidentessa degli Young Pirates of Europe.
Internet ha radicalmente democratizzato la creatività. L’opportunità di raggiungere un pubblico globale con il proprio lavoro, che in precedenza richiedeva particolari attrezzature di registrazione, contratti con i distributori e un importante investimento finanziario ora è accessibile gratuitamente a tutti.
Mentre le emittenti aziendali hanno approfittato dei vantaggi di Internet come mezzo per distribuire i loro contenuti, l’impatto molto più profondo sulla nostra società è l’aver permesso a tutti di diventare essi stessi un’emittente partendo da uno stesso piano. Questa stessa parità di condizioni, però, ora è a rischio.
Durante tutto l’anno scorso, a Bruxelles c’è stata una guerra. Il progetto di legge europeo sulla riforma del copyright, attualmente in fase di valutazione nell’iter legislativo dell’UE, imporrà a tutte le piattaforme su cui è possibile caricare contenuti di installare i cosiddetti filtri di caricamento. Il loro compito: supervisionare tutti i tuoi contributi per conto delle grandi aziende dei media, cercando di individuare le violazioni del copyright e fermarle prima che vedano la luce del giorno.
Ogni video che carichi del tuo gatto che si comporta in modo adorabile dovrebbe, per legge, essere controllato automaticamente dalle autorità che cercano opere di Taylor Swift e Justin Bieber, per assicurarsi che non stia miagolando illegalmente una melodia protetta da copyright.
YouTube ha già un filtro simile. È stato messo in piedi diversi anni fa nel tentativo di placare le etichette discografiche. Come quasi ogni youtuber può dire, “Content ID” è stata una fonte costante di problemi per ogni singolo creatore di contenuti. Regolarmente, gli upload perfettamente legali vengono eliminati o “demonetizzati” (privando i creator di entrate pubblicitarie). I creativi devono quindi passare attraverso un processo complicato per lottare per i loro diritti e ripristinare i loro video.
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Nel tribunale del filtro di caricamento, gli autori dell’upload sono colpevoli fino a prova contraria. I giganti aziendali forniscono la lista dei prodotti “ricercati” a cui i filtri devono prestare attenzione. Le piattaforme si fidano ciecamente di questo input, così come della tecnologia che analizza i tuoi caricamenti alla ricerca di qualsiasi segno di violazione. Qualunque cosa che non superi i filtri non può essere vista. In pratica, la tua libertà di espressione è diventata soggetta all’approvazione aziendale.
Anche se la violazione del copyright fosse una pratica tanto diffusa e dannosa quanto i giganti dei media vorrebbero farci credere — e non lo è — questa misura sarebbe completamente sproporzionata. Inoltre, ci sono due evidenti insidie: i filtri non possono distinguere cosa è legale da ciò che è non lo è. E i filtri sbagliano.
È legale fare parodie, citare opere, usare contenuti protetti da copyright in contesti educativi e così via. Queste eccezioni e limitazioni al diritto d’autore consentono il diritto umano essenziale alla partecipazione culturale. Ma la tecnologia di filtraggio non è in grado di stabilire, ad esempio, se l’uso di alcuni secondi di musica sia legale in base a un’eccezione oppure sia semplicemente una copia illegale.
In caso di dubbio, bloccalo: questo sarà il principio dei filtri di caricamento. Le piattaforme configureranno i loro filtri per pendere dalla parte dell’eliminazione dei tuoi caricamenti. Hanno più paura degli eserciti di avvocati delle società dei media che di chi reclama i suoi diritti umani. In questo modo, i filtri di caricamento spingono il bilanciamento del potere verso le grandi imprese.
Se pensavate che stessi scherzando prima sul gatto che miagola una canzone, bene, la realtà è spesso più strana della finzione: il filtro di YouTube ha sostenuto che una registrazione di 12 secondi di un gatto che faceva le fusa contenesse opere protette da copyright di un’etichetta discografica famosa. E tutto questo dopo che Google aveva speso 60 milioni di dollari per lo sviluppo del filtro — ora immaginiamo quanto spesso filtri più economici costruiti da aziende più piccole si potranno sbagliare.
In effetti, le piattaforme di piccole dimensioni potrebbero non avere altra scelta che esternalizzare il loro filtro di caricamento a Google — a quel punto avremo davvero creato una grande “macchina di censura” centralizzata che mina tutto ciò che il web rappresentava un tempo. Le piattaforme internet e le app europee che non possono permettersi né le licenze né i costi di sviluppo per i filtri di caricamento dovranno chiudere. Diventerà ancora più difficile per le aziende dell’UE competere con le piattaforme dominanti degli Stati Uniti, e l’innovazione sarà scoraggiata.
Ingiusti, inclini al malfunzionamento, una restrizione dei diritti umani, dannosi per l’innovazione europea: i filtri di caricamento sono una cattiva idea sotto tantissimi punti di vista. Le organizzazioni per i diritti umani e accademici indipendenti hanno esortato i politici a rinunciare a questi piani da mesi. Ma ancora non è chiaro se i loro avvertimenti siano stati ascoltati.
La settimana scorsa, la Commissione per le libertà civili del Parlamento europeo ha votato la rimozione dei filtri di caricamento automatico dalla legge sulla riforma del copyright. Questa è una buona notizia. Ma altre commissioni si erano dette favorevoli in precedenza, e la decisione più importante deve ancora essere presa. La Commissione per gli affari legali, responsabile di questa legge, ha in programma per votare a gennaio 2018. L’approvazione o la bocciatura di questi filtri dipende dal voto di ogni singolo membro. Nel frattempo, diversi governi nazionali degli stati membri dell’UE stanno difendendo strenuamente questi filtri in seno al Consiglio Europeo, che detiene tanto potere nel processo legislativo quanto il Parlamento.
I filtri di caricamento eliminerebbero il ruolo di Internet come spazio pubblico per tutti. Internet diventerebbe sempre più simile alla TV via cavo, dove spetta a poche grandi aziende decidere cosa andrà in onda.
È ora di opporsi a questi piani, finché possiamo farlo ancora senza filtri a fermarci.
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