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Drip Harder è l’inizio della storia di Lil Baby e Gunna

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Qualche mese fa Atlanta ha cominciato ad avere fede in una nuova trinità della trap. Young Thug era il Padre. Sulla sua etichetta era appena arrivato Gunna, il Figlio, appassionato di alta moda—quella che chiama il “drip”, un termine che ricorre nel vangelo della sua serie di mixtape Drip Season. E lo Spirito Santo era Lil Baby, maestro delle melodie disarticolate, scintilla che aveva riacceso il fuoco della Quality Control Music con i suoi progetti della serie Harder Than.

L’ascesa di Baby e Gunna è stata legata alla figura di Thug fin dall’inizio. Gunna ha modellato la sua figura e la sua musica con l’esplicito intento di porsi come suo successore. Definiva il suo sound una “melodia di quartiere”, costruita su racconti della sua vita nella cittadina di College Park e una caterva di nomi di brand. Lil Baby invece non aveva un progetto. Non aveva neanche così tanta voglia di rappare e furono Coach K e Pee, capi di Quality Control, a trascinarlo in studio nel 2017 appena uscito di prigione per fargli fare un mixtape, che sarebbe diventato il suo primo progetto Perfect Timing. Già allora il rapporto tra Baby e Gunna era sbocciato: la loro nuova amicizia venne celebrata con due featuring, “Our Year” e “Up”. Ne sarebbe arrivato un altro poco dopo su Too Hard, “Money Forever”. D’altro canto era stato proprio Gunna a insegnare a Baby a rappare: “Quando dico che siamo partiti dalle basi, dico sul serio—come registrare, come fare le doppie. Anche cose semplici, come salvare un pezzo e inviarmelo sul telefono”, ha detto Baby in un’intervista.

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La copertina di Drip Harder, cliccaci sopra per ascoltarlo su Spotify.

È su “Oh Okay,” singolo tratto da Drip Season 3 di Gunna, che la Trinità si è palesata per la prima volta. Le loro melodie vocali stravaganti si stratificavano sulle fondamenta di un arpeggio di chitarra e, insieme, suonavano stranamente coese. Quasi finivano le frasi l’uno dell’altro, come capita agli amici. Thug, loro amico da molto prima che cominciassero ad attirare attenzioni, li ha innegabilmente influenzati; al contempo, entrambi hanno dimostrato con il passare del tempo di essere capaci a far parlare di sé anche senza la protezione del loro mentore. E così arrivarono altre collaborazioni: “Sold Out Dates,”, “Throwing Shade”. I rookie più chiacchierati di Atlanta facevano hit anche senza Thug, ma ci sarebbero riusciti sulla lunga distanza di un intero progetto?

La risposta va cercata in Drip Harder, il loro nuovo mixtape, ma non è facile da trovare. Il primo pezzo, “Off White VLONE”, è un featuring con Lil Durk e Nav. A entrambi viene concesso molto spazio sulla traccia: una scelta strana, dato che di solito si comincia con i pezzi più forti e identitari. Qua invece i due passano il loro tempo a fare i mattacchioni e a parlare di pompini mentre Gunna e Baby restano sullo sfondo. La mossa potrebbe anche essere voluta: “Non mi tengo mai la palla, la passo ai miei neg*i per degli alley oop” ha twittato Baby il giorno prima dell’uscita del tape. Il problema è che né lui né Gunna prendono le redini del progetto.

Come artisti solisti, entrambi hanno già regalato al pubblico momenti geniali che sono andati a definire la loro musica e a giustificare l’hype che gli era nato attorno. Gunna fece la sua prima apparizione nel rap game nel 2016, con un featuring su “Floyd Mayweather” di Thug. Nonostante fosse ancora un rapper relativamente sconosciuto in mezzo e avesse attorno anche le voci di Gucci Mane e Travis Scott, Gunna si lasciò forse ispirare dal nome del pugile a cui era dedicato il pezzo per dare una forma al suo stile: flow agili e appariscenti, intrisi di “drip”. Oggi Gunna si sente a suo agio anche a basarsi sulle melodie sognanti degli amici con cui collabora o a scrivere barre molto più fitte. Nel suo verso su “YOSEMITE” di Travis Scott, la sua comparsa dal profilo più alto finora, Gunna ha un flow così preciso che persino Scott ci si specchia, ripetendo la sua cadenza. Era come se si fosse reso conto della sua skill più preziosa, quella che gli permette di essere un camaleonte nella scena di Atlanta: la sua capacità di manipolare e trasformare la sua voce.

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Screenshot dal video di “Freestyle” di Lil Baby, cliccaci sopra per guardarlo su YouTube.

Baby è invece un artista più attento al contenuto che alla forma, come dimostra il fatto che il suo catalogo è pieno di racconti d’infanzia e adolescenza. “Siamo venuti dal fondo, ci mettevamo i vestiti l’uno dell’altro” rappava sulla sua hit “Freestyle” verso la fine del 2017. Qualche mese dopo si sarebbe concesso un pezzo più adatto alle radio e alle playlist, “My Dawg”, ma ormai il suo stile si era formato: Baby poteva anche parlare di soldi, macchine e donne ma la sua identità era indissolubilmente legata al suo passato, quando doveva sopravvivere di giornata in giornata e un contratto era solo un sogno lontano. Insieme Baby e Gunna sono opposti e complementari, lo yin e lo yang della nuova scena di Atlanta: stile e contenuto, vuoto e pieno, sfarzo e serietà. Ed è un peccato che Drip Harder non realizzi appieno il loro potenziale.

Forse è una questione di proporzioni. Ci sono momenti in cui Drip Harder sembra un album di Gunna più che un progetto collaborativo. La sua voce è la protagonista in ben sei pezzi, mentre Baby si prende le luci del palcoscenico solo su quattro (senza contare i tre pezzi in cui entrambi si mettono sullo sfondo per lasciare spazio ai loro ospiti: Durk, NAV, Thug e Drake). Il che non sarebbe un problema di per sé: non è scritto da nessuna parte che un progetto collaborativo debba essere suddiviso in parti uguali tra i suoi autori. Ma dato che Gunna e Baby hanno dimostrato più e più volte di saper lavorare benissimo assieme questo disequilibrio intacca la dinamica che li ha resi così interessanti come coppia.

È come se Drip Harder fosse un circuito di prova, e loro due piloti che gareggiano cercando di entrare l’uno nella scia dell’altro. Quando Gunna mette da parte il discorso del “drip” suona meno convincente; quando Baby prova a lasciarsi dietro lo street rap le sue parole risuonano meno nell’ascoltatore. In “Underdog”, per esempio, Gunna parla di “quando era rinchiuso al gabbio” e dice che “l’unica cosa di cui ha paura è Dio”, mentre Baby si vanta di avere una 4×4 troppo grossa per il suo garage. Da un lato è normale che entrambi esplorino territori a loro sconosciuti, ma è anche un peccato che il loro primo progetto assieme non spinga su ciò che li ha resi forti e cerchi invece di cambiare gli elementi della formula perfetta che avevano scoperto.

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L’artwork di “Drip Too Hard” di Lil Baby e Gunna, cliccaci sopra per guardare il video su YouTube.

Nonostante questo ci sono dei pezzi in cui Gunna e Baby fanno tutto come si deve. “Drip Too Hard”, per esempio, è un pezzo vivace e travolgente. “Troppo drip, non starmi così vicino / Provi a cavalcare ‘sta wave? Stai facendo una cazzata, annegherai”, rappa Baby nel ritornello, forse il momento del tape in cui la loro partnership rivela maggiormente il suo potenziale. Anche “I Am” è un pezzo più che riuscito: “Ho tirato su soldi, li ho tirati su / ‘Sta vita non è dolce, non è un lay-up”, dice Baby, disegnando linee tra la sua vita e il suo amato basket. È un pezzo perfetto sia per flexare che per ricordarsi di quanto la vita può essere pesante, la promessa che Baby e Gunna sembravano averci fatto fin dalle loro prime collaborazioni.

Sul disco ci sono due pezzi solisti a testa e ognuno spicca a suo modo. “World Is Yours” e “Style Stealer” di Gunna sono quasi opposti a livello tematico, leggeri nella loro esagerazione: “Ho pure le coperte firmate / Drippo anche a letto”, dice la prima, mentre la seconda è un pezzo che lamenta la perdita di originalità all’interno della scena rap. I contributi di Baby sembrano riprendere le fila del suo ultimo progetto, Harder Than Ever: “Close Friends” sembra il prequel della relazione finita male che raccontava in “Leaked”. La wave di “Drip Too Hard” ritorna invece in “Deep End”, in cui Baby si bulla di come i suoi avversari facciano fatica a restare a galla. Ma nonostante tutte le metafore acquatiche che possono fare, quando Gunna e Baby condividono la traccia con rapper più vecchi e saggi di loro come Young Thug e Drake gli cedono il timone della barca.

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Screenshot dal video di “Oh Okay” di Gunna, cliccaci sopra per guardarlo su YouTube.

“My Jeans”, con Young Thug, è un pezzo solido in cui le voci della Santa Trinità si confondono l’una con l’altra, come se fossero la stessa cosa. Come era già successo nella loro “Chanel”, i tre sono come uccelli che formano d’istinto uno stormo, posizionandosi perfettamente l’uno rispetto all’altro. Dato che condividono la traccia con un vero mutante del rap, Gunna e Baby colgono l’occasione per prendersi dei rischi e giocare con le loro voci. E fanno bene: Gunna è così convincente che sembra quasi un cantante, nonostante abbia rifiutato quella definizione in passato. Quando canta “I fell in love with Billy Jean / But YSL like Wu-Tang with that cream,” raggiunge forse, a livello timbrico, il punto più alto dell’intero progetto.

Drake, invece, trasforma Baby e Gunna in antagonisti in “Never Recover”. È il rapper di Toronto a dare una direzione al brano con il suo ormai classico flow a terzine e i due rookie di Atlanta sono come fratellini che cercano di seguire i consigli del loro fratello più grande. Drake è perfettamente conscio del peso del suo ruolo sul pezzo, quello che va a concludere il progetto, e gestisce la sua strofa con una maestria che Baby e Gunna ancora non possiedono. Invece del fiacco flow che esibiva in “Yes Indeed”, Baby butta fuori frasi sminuzzate che culminano in un verso perfetto per spiegare la sensazione che Drip Harder lascia all’ascoltatore: “Non devo drippare, lo posso lasciare fare a Gunna / Sono il capo di ‘sta merda, sono fuori solo da due estati”. Parole che ci ricordano all’ultimo secondo come sia Baby che Gunna siano in realtà ancora all’inizio delle loro carriere, e che questo progetto potrebbe essere solo l’inizio di una splendida amicizia.

Questo articolo è comparso originariamente su Noisey US.

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