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Il controverso metodo dei gruppi antiabortisti che propongono alle donne di 'invertire' un aborto

La “abortion pill reversal” è una procedura non provata scientificamente e promossa da organizzazioni contro l’aborto—anche in Italia.
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Foto di Getty Images/Bill Diodato.

Questa inchiesta è stata realizzata da openDemocracy.

“Grazie della tua email. Anche se hai già iniziato il processo di aborto farmacologico, tornare indietro potrebbe essere ancora un’opzione per te e faremo tutto il possibile per aiutarti.” Il messaggio viene da un’operatrice di una grande organizzazione antiabortista americana, che spiega che se è stata assunta solo la prima pillola delle due previste per ottenere un aborto farmacologico, “si possono ancora annullare gli effetti”: “Ti metteremo in contatto con un medico nella tua area.”

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Negli Stati Uniti viene chiamato “abortion pill reversal” (APR), una procedura non provata scientificamente e promossa da organizzazioni contro l’aborto. Oltreoceano se ne discute da diverso tempo, da quando nel 2012 un medico antiabortista californiano ha iniziato a sostenere di aver trovato un metodo per annullare gli effetti di un’interruzione di gravidanza già iniziata.

Tra le organizzazioni che lo promuovono negli Stati Uniti c’è Heartbeat International, un grande gruppo della destra cristiana—con ramificazioni e giri di denaro che arrivano in tutto il mondo, anche in Italia. Heartbeat è l’ente a cui sono collegati negli Stati Uniti i Crisis Pregnancy Center (Cpc, “Centri di assistenza per la gravidanza”), che cercano di distogliere le donne dal cercare un aborto. Tra i suoi affiliati internazionali c’è il Movimento per la Vita.

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La stessa organizzazione americana gestisce una hotline e una chat attive 24 ore su 24, 7 giorni su 7, sostenendo di poter “invertire” il processo di aborto farmacologico. Gli operatori promettono di connettere le utenti con medici del loro network presenti in tutto il mondo. “Ti sei pentita della tua decisione e vorresti annullare gli effetti della pillola abortiva?”, si legge sul sito, dove si sostiene che sia una cosa che succede “a molte donne”—presupponendo che l’aborto non sia una scelta consapevole. “Potrebbe non essere troppo tardi per salvare la tua gravidanza.”

Come è emerso da un’inchiesta portata avanti da openDemocracy in oltre 15 paesi, questa rete di sanitari antiabortisti esiste ed è perfettamente funzionante: giornaliste sotto copertura hanno contattato via chat e telefono l’organizzazione chiedendo del servizio APR, e dopo alcune domande sullo stato della gravidanza sono state dirottate verso medici e ginecologi locali. 

Anche in Italia, dove secondo l’operatrice contattata via chat il gruppo USA ha “diversi posti” da poter chiamare. Poco dopo, ha comunicato di aver “contattato un medico nell’area [in cui la giornalista sotto copertura aveva detto di trovarsi],” aggiungendo che lo specialista sarebbe stato di assistenza “per tutto il processo.” Nel frattempo, avrebbe “pregato per il bambino.”

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Dopo circa due giorni è arrivata la mail di una ginecologa italiana, che illustrava cosa fare per ottenere i farmaci, spiegando dosaggio e modalità di assunzione: “Basta farsi fare la ricetta dal medico di base.”

La “terapia” di cui parlano le organizzazioni antiabortiste consiste nell’assunzione massiccia di progesterone—un ormone—nelle ore successive a quella del mifepristone (la RU486), al posto della seconda pillola prevista per l’aborto farmacologico (il misoprostolo). Questo dovrebbe, secondo i sostenitori del metodo, bloccare il processo abortivo.

In Italia si trovano scarsi riferimenti e citazioni su APR in siti di gruppi contro la libertà di scelta, dove viene chiamato “antidoto alla RU486.” Qualche anno fa, un medico legato ai movimenti antiabortisti sosteneva che il metodo fosse replicabile anche nel nostro paese con la collaborazione dei medici di base. Di APR si è parlato anche nel corso di convegni tenuti da associazioni antiabortiste italiane con la partecipazione di obiettori di coscienza.

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Il progesterone non è dannoso in sé. Tuttavia, il suo uso in dosi elevate per questi scopi è stato definito “pericoloso per la salute delle donne” e basato su “ricerche non dimostrate e non etiche” dall’American College of Obstetricians and Gynecologists. Lo stesso istituto sostiene che “affermazioni riguardanti trattamenti di inversione dell’aborto non sono basate sulla scienza e non rispettano gli standard clinici.”

Inoltre, una ricerca americana su questo metodo è stata bloccata nel 2019, dopo che alcune partecipanti sono finite in ospedale con forti emorragie.

Oltre ai problemi di sicurezza, gli esperti sanitari spiegano che è improbabile che grandi quantità di progesterone funzionino per “invertire” realmente un aborto farmacologico. “Non c’è nessuna prova a supporto del fatto che questo trattamento funzioni e dire alle donne che funziona è fuorviante e sbagliato,” ha spiegato Margit Endler, ginecologa ostetrica e ricercatrice nel campo della salute materna a Stoccolma.

Eppure, in Armenia, Italia, Lituania, Portogallo, Romania, Spagna, Regno Unito e Ucraina, l’organizzazione USA ha provveduto a contattare medici locali, che si sono offerti di prescrivere alle giornaliste sotto copertura il progesterone o dare indicazioni sulla terapia via mail o telefono. La stessa cosa è successa in Messico, Sudafrica, Canada e Uruguay. Nella maggior parte dei casi, i medici si sono premurati di affermare come il procedimento fosse totalmente sicuro.

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“Sei la prima cliente di cui mi occupo in Germania, ma abbiamo assistito donne in tutta Europa,” ha detto una delle infermiere del servizio americano a una giornalista. Il dottore contattato nel Regno Unito ha parlato di circa “100 trattamenti” di questo tipo già effettuati. 

Secondo Mina Barling, direttrice degli affari esteri per International Planned Parenthood Federation (IPPF), si tratta di “un altro esempio terrificante di quanto sia ben finanziato e radicalizzato il movimento contro le donne.”

Gli operatori americani hanno inviato e fatto firmare alle giornaliste un “modulo di consenso”—prodotto da Heartbeat—in cui affermavano di comprendere che l'APR è un "uso off-label [farmaci somministrati al di fuori delle condizioni autorizzate] di progesterone" e che avrebbero dovuto "cercare immediatamente assistenza medica di emergenza" in caso di dolori.

Neil Datta, segretario del Forum parlamentare europeo sui diritti sessuali e riproduttivi (EPF) a Bruxelles, ritiene che il modulo mostri come le persone coinvolte si siano “cinicamente assicurate di essere protette dalla responsabilità legale se dovesse accadere qualcosa.” Il documento “prova quali sono le loro priorità, perché sono chiaramente più preoccupati per la propria responsabilità che per la salute delle donne.”

In risposta alle domande di openDemocracy, Heartbeat ha dichiarato che APR è “un’applicazione all'avanguardia di un trattamento collaudato e approvato dalla Food and Drug Administration utilizzato da decenni per prevenire aborti spontanei e parto prematuro." L’organizzazione ha detto anche che "più di 2.000 donne hanno fermato con successo un aborto e salvato i loro figli attraverso l'intervento salvavita di APR” e che il ricercatore a capo dello studio bloccato nel 2019 era un sostenitore dell’aborto.

OpenDemocracy afferma che non è chiaro quante donne nel mondo si siano imbattute in questo “metodo” e come ci siano entrate in contatto. In alcuni paesi sembra più consolidato (nel Regno Unito è sponsorizzato online e nel giro di poche ore la ginecologa ha richiamato l’utente), in altri sembra essere solo all’inizio, con medici coinvolti solo in tempi recenti.

Precedentemente, altre inchieste giornalistiche hanno trovato prove del fatto che “abortion pill reversal” sia stato promosso da attivisti anti abortisti in Irlanda e nei Paesi Bassi.

Quello che sembra certo è che esistono medici e ginecologi che anche in Italia supportano e prescrivono terapie senza basi scientifiche, a scapito della salute delle donne. Nel paese dove non è semplice trovare un medico non obiettore quando si vuole interrompere una gravidanza—tanto più con metodo farmacologico—a quanto pare bastano un paio di giorni per averne uno pronto a somministrare farmaci potenzialmente pericolosi pur di portare avanti la propaganda antiabortista. 

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