curare a casa il covid
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Attualità

Diagnosi su Facebook e farmaci 'miracolosi': i gruppi italiani convinti di poter 'curare' il Covid

Non c’è una pastiglia che fa guarire appena insorgono i sintomi del Covid—eppure sui social c'è chi promuove cure condite da affermazioni pseudoscientifiche.
Leonardo Bianchi
Rome, IT

A marzo del 2020, mentre eravamo scossi e chiusi in casa, un video virale proveniente dal Giappone sosteneva che una via d’uscita per la pandemia fosse già a portata di mano—ma ce la tenevano nascosta.

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Secondo l’italiano che parlava nel video, Cristian Aresu, mentre l’Europa entrava in lockdown in Giappone erano tutti in giro senza mascherina grazie all’Avigan, un farmaco antinfluenzale prodotto dalla Fujifilm. Anche l’uomo l’aveva assunto, diceva, ed era guarito subito dal Covid-19. Perché, si chiedeva, il governo e le autorità sanitarie italiane non stavano facendo lo stesso?

La vicenda aveva immediatamente assunto contorni grotteschi, finendo sui talk show serali attraverso le urla di Vittorio Sgarbi. Ovviamente, erano molte le cose a non quadrare. Anzitutto, il protagonista del video non era un “farmacista,” come erroneamente riportato sui social e in alcuni articoli, ma il titolare di un negozio di videogiochi a Roma; e soprattutto, l’Avigan non serviva a nulla contro il coronavirus.

A dirlo erano Aifa (l’agenzia italiana del farmaco), Ema (l’agenzia europea del farmaco) e la stessa azienda produttrice—un giudizio poi confermato dal Ministero della Salute giapponese a dicembre del 2020.

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L’Avigan è stato solo il primo di una lunga serie di presunti rimedi contro il Covid-19 poco costosi e facilmente accessibili, e per questo—secondo le teorie che li promuovevano—invisi a Big Pharma o alla fantomatica “dittatura sanitaria.”

Il più noto è senza dubbio l’idrossiclorochina, un antimalarico sponsorizzato da figure del calibro di Donald Trump e Jair Bolsonaro; poi è venuto il turno del plasma iperimmune, di cui in Italia ha parlato spesso Matteo Salvini; il caso più recente è quello dell’ivermectina, un antiparassitario usato principalmente per cavalli e animali.

Diversi trial clinici in doppio cieco (in cui né i partecipanti né i ricercatori sanno chi sta assumendo il trattamento e chi il placebo) hanno stabilito che tutti i farmaci appena menzionati sono inefficaci sia come trattamenti in fase sintomatica che come misure preventive. Non solo: le agenzie sanitarie di vari paesi hanno anche messo in guardia dai potenziali effetti dannosi causati da uso improprio o dosaggio errato.

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Qualche settimana fa, a fronte degli accessi quintuplicati ai centri antiveleni negli Usa per l’assunzione scorretta di ivermectina, l’account ufficiale della Food and Drug Administration ha twittato: “Non siete un cavallo. Non siete una mucca. Davvero, piantatela.”

Il punto, meglio chiarirlo sin da subito, è che non esiste una cura specifica e accessibile a chiunque per il Covid-19. Non c’è (ancora) una pastiglia—o qualcosa che si assume da soli a casa—che fa guarire appena insorgono i sintomi.

Le cure attualmente disponibili offrono un supporto per alleviare i sintomi, e sono note (c’è per esempio il protocollo del Ministero della Salute italiano, aggiornato ad aprile del 2021).

Eppure, la suggestione delle “cure domiciliari precoci”—nella loro accezione di terapie “sottovalutate” o “proibite” portate avanti da medici coraggiosi in aperto contrasto con il “sistema”—ha dimostrato una formidabile persistenza nel tempo, sospinta da alcune forze politiche e certi media.

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In Italia questo mito è tornato d’attualità a causa di una vicenda piuttosto clamorosa. Il 13 settembre del 2021, infatti, in una sala del Senato è andato in scena un convegno intitolato International Covid Summit – Esperienze di cura dal mondo.

L’appuntamento, promosso dalla senatrice leghista Roberta Ferrero, ha suscitato non poche polemiche sia per la presenza di personalità legate ad ambienti antivaccinisti che per le affermazioni pseudoscientifiche e complottiste—tra le tante, si è parlato di Sars-Cov-2 come “chimera ricombinante creata in laboratorio.”

Uno dei relatori di spicco è stato Mauro Rango, un laureato in diritti umani senza alcuna competenza medica. L’uomo è diventato noto nel corso della prima ondata (che ha trascorso nella Repubblica di Mauritius) per un messaggio virale su WhatsApp zeppo di inesattezze e dichiarazioni fuorvianti, in cui sosteneva che nell’isola non moriva nessuno grazie al plasma iperimmune e all’idrossiclorochina—solo che, esattamente come nel caso di Aresu, nessuno ce lo diceva.

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Rango è inoltre autore di un libro chiamato Guarire il Covid-19 a casa nonché il fondatore di IppocrateOrg, un’associazione di “cure domiciliari” che—si legge sul sito ufficiale—si batte per “il diritto della persona a conservare la propria salute ovvero ad avere diritto a cure mediche che siano al centro dell’attenzione del sistema medico.” Secondo Rango, finora il movimento avrebbe “curato” più di 60mila persone.

A ogni modo, l’“approccio terapeutico” di IppocrateOrg è il seguente: come primo passaggio, il paziente deve contattare l’associazione dal sito tramite la sezione “Assistenza 999” (che al momento della pubblicazione di questo articolo risulta “sospeso fino a esaurimento delle richieste già pervenute”).

A quel punto un medico dell’associazione—quello più visibile a livello mediatico è il dentista Andrea Stramezzi, che in Senato si è vantato di seguire contemporaneamente malati “a Rio de Janeiro, Dubai, in Grecia e in Belgio”—prende in carico dal web la persona e prescrive la “terapia”, che insieme ad altri include farmaci off-label (cioè non autorizzati dalle autorità regolatorie per il trattamento di Covid-19), vitamine e integratori.

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Per il medico e divulgatore scientifico Salvo di Grazia, esperto di disinformazione scientifica e autore del sito MedBunker a cui mi sono rivolto per fare chiarezza sul tema, si tratta di un “miscuglio confuso.”

Alcuni farmaci come antinfiammatori e corticosteroidi, spiega Di Grazia, sono “già previsti dalla linee guida scientifiche usate in tutto il mondo”; altre cose come vitamine e integratori, prosegue, “sono completamente inutili”; altre ancora come l’idrossiclorochina “sembravano mostrare effetti ma non li hanno confermati.”

Se da un lato Rango e IppocrateOrg ripetono che il loro “protocollo” è efficace e sicuro, dall’altro sono ben consapevoli di muoversi in una zona decisamente grigia: per questo fanno firmare liberatorie che “esonerano” il medico da “ogni responsabilità civile, penale e morale per effetti collaterali,” e invitano ad andare in ospedale se si hanno difficoltà respiratorie o la saturazione scende sotto il 94 percento.

IppocrateOrg non è l’unica associazione italiana attiva in questo campo: esiste anche il Comitato Cure Domiciliari Covid. È stato fondato a marzo del 2020 dall’avvocato Erich Grimaldi del Foro di Napoli, titolare di uno studio il cui core business—cito dal sito—è “l’attività di recupero dei crediti su tutto il territorio nazionale.”

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La premessa è più o meno la stessa di IppocrateOrg: “il covid19 è una malattia che deve essere affrontata ai primi sintomi nella propria casa,” recita l’homepage, per questo “aiutiamo i malati di covid19 […] attraverso il supporto gratuito di medici volontari.”  

Il cuore pulsante del Comitato è il gruppo Facebook “#ESERCITOBIANCO - Medici e prof. sanitari x la Terapia Domiciliare Precoce,” che conta più di 167mila iscritti. Ci sono poi altri gruppi locali sparsi su Facebook e Telegram, e a breve dovrebbe essere lanciata un’applicazione per smartphone.  

In base a quanto ho potuto osservare, funziona così: il paziente fa un post indicando zona, età, peso, altezza, temperatura, saturazione, vaccinazione (nella stragrande maggioranza dei casi non si tratta di persone vaccinate, come ha rilevato anche il sito Biologi per la Scienza), patologie pregresse e allergie. Nei commenti interviene un amministratore, che comunica l’avvenuto “contatto” tra il paziente e un medico dell’associazione e chiude la discussione.

Le richieste d’aiuto sono intervallate dai video postati sulla pagina principale (seguita da oltre 230mila persone) e i ringraziamenti di chi è guarito. Di solito si tratta di post dai toni molto enfatici, che assomigliano alle recensioni su Tripadvisor e AirBnb: si lodano la “disponibilità,” la “cortesia” “l’umanità” e la “professionalità” di amministratori del gruppo e dei medici, arrivando perfino a parlare di “speranza per l’umanità.”

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Questo aspetto comunitario è cruciale nella dinamica del Comitato. Nel descrivere le linee guida del Ministero enfatizza la formula “vigile attesa”, a suggerire che lo Stato abbandoni i pazienti al loro destino. Chi si affida all’associazione, ritengono, riceverebbe un sostegno medico e umano. Non a caso, nel corso dei presidi e delle manifestazioni organizzate a cadenza regolare in tutta Italia, i guariti vengono sempre invitati a parlare come testimonianza vivente dell’efficacia del metodo.

Peccato che il protocollo terapeutico del Comitato non sia formalmente pubblico, per evitare che le persone lo adottino come cura “fai da te.” Qualche settimana fa, comunque, lo schema è stato pubblicata su Twitter dal giornalista di Rainews24 Gerardo D’Amico, scatenando la rabbiosa reazione di Grimaldi. Leggendola ci si accorge che non è molto diversa da quella di IppocrateOrg: anche in questo caso tornano vitamine, integratori e farmaci off-label come l’idrossiclorochina.

Inoltre, come ha notato il sito di fact-checking Facta, il Comitato non ha mai rilasciato studi né condiviso le proprie controanalisi della letteratura accademica, rendendo così “impossibile qualsiasi valutazione aperta da parte della comunità scientifica.”

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Il direttore dell’Istituto Mario Negri Giuseppe Remuzzi, co-autore di uno studio su un protocollo sperimentale sulle cure domiciliari che ha coinvolto 90 pazienti, in un’intervista a Repubblica ha espresso un giudizio piuttosto netto sul tema: “Se si fanno studi si pubblica. Stop. Non basta dire che i pazienti che hai seguito a casa vanno bene.” Anche perché, ricorda Remuzzi, la maggior parte delle persone che contraggono il Covid-19 guariscono da sole.

E allora, come mai così tante persone si rivolgono a questi movimenti?

Per Salvo Di Grazia, i motivi sono sostanzialmente due: il panico e la sfiducia nelle istituzioni. “Il Covid fa paura,” mi dice, “quando si sta male si capisce che non si ha a che fare con un’influenza.” Chi scrive nei gruppi Facebook o Telegram “cerca aiuto immediato e si rivolge a chiunque, scontrandosi con un sistema sanitario lento sia per la situazione che per la disorganizzazione.”

Insomma: i gruppi per le “cure domiciliari” funzionano perché si insinuano nei vuoti della sanità italiana. Evidenziano le oggettive carenze della medicina territoriale, martoriata da decenni di tagli, e sfruttano la percezione di distanza tra cittadinanza e istituzione sanitaria.

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Non va dimenticato che entrambe le associazioni sono nate all’apice della prima ondata, quando in alcune zone d’Italia i sistemi sono collassati sotto il peso dell’emergenza, lasciando i pazienti totalmente soli. Nemmeno la creazione delle Usca (Unità Speciali di Continuità Assistenziale, ossia le “squadre” di medici a domicilio) è stata sufficiente a colmare il divario.

Allo stesso tempo, non siamo più nella situazione di marzo 2020. Focalizzarsi solo ed esclusivamente sulla cura ha un effetto ben preciso: rimuovere i vaccini dalla gestione della pandemia. Anche se nella propaganda di questi gruppi non ci sono accenni esplicitamente antivaccinisti, il sottotesto (nemmeno troppo implicito) è che questi “schemi terapeutici” siano un’alternativa secca alla vaccinazione.

In questo senso, ha scritto il giornalista scientifico Andrea Capocci, le “terapie domiciliari” rappresentano anche “un alibi per chi non vuole vaccinarsi,” nonché una “merce spendibilissima nel dibattito politico.”

La riprova è che negli ultimi tempi si è parlato molto di “cure domiciliari” nelle trasmissioni populiste di Rete4, prontamente riprese da Giorgia Meloni e altri esponenti politici (anche della Lega) per attaccare il governo e le autorità sanitarie.

Per Di Grazia, infine, l’intera storia delle “cure domiciliari precoci” è indubbiamente connaturata a questi tempi—ma ha pure più di un’analogia con il passato.

“C’è una malattia grave che non ha cure o ne ha difficili, e compare il genio dal nulla che ha inventato quella semplice, rapida ed economica che ovviamente guarisce sempre tutti,” mi dice. “Il trucco è sempre lo stesso, i meccanismi anche e le vittime ci cascano sempre—anche quelle meno ingenue.”

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