Tripstillery. cocktail bar milano
Cibo

A Milano ha aperto un cocktail bar dove puoi anche distillare il tuo gin

Tripstillery è un nuovo cocktail bar che va oltre il concetto del solito bar: dentro c'è anche una microdistilleria e i drink sono notevoli.
Andrea Strafile
Rome, IT

La cosa bella è che potete venire qui e farvi fare il vostro gin o amaro personalizzato.

Negli ultimi anni il mondo dei cocktail bar in Italia ha subito una grandissima accelerata: dallo spritz si è passati alla piena conoscenza dei cocktail classici, fino a mirabolanti concetti minimal. Questa continua evoluzione ha portato all’apertura di nuovi format, come pochi ce ne sono in Europa: vedi Tripstillery, che oltre a essere un bar è una distilleria urbana, a Milano. E una caffetteria: è aperto tutto il giorno.

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Mentre qualche giorno fa passeggiavo per Milano in zona Porta Nuova per andare a provare Tripstillery, ho pensato una volta di più che quella zona a me proprio non piace. Ma ho anche pensato che non ci fosse punto migliore per aprire un concetto di bar dalle linee nordicheggianti in cui si può gustare un drink mentre un vero alambicco distilla del liquido. E ammetto anche che lo spaccato su un paio di grattacieli dalla piazzetta antistante è piuttosto fico.

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Foto di Tolga Sarikose per gentile concessione di Tripstillery

Arrivo dietro invito dell’ufficio stampa da Tripstillery; ad accogliermi Luca Vezzali, bar manager che, insieme al bartender-imprenditore del MAG Caffè, 1930 e Iter Flavio Angiolillo e a Nicola Corna, ha deciso di buttarsi in questo progetto che promette di essere un nuovo punto di riferimento per Milano. “L’idea è nata a maggio dell’anno scorso,” mi dice Luca Vezzali, “perché avevamo questa idea di fare una cosa che in Italia è difficile vedere. Quindi abbiamo coinvolto Nicola Corna, che si è arrabattato per capire come aprire una distilleria in un centro urbano, abbiamo trovato la location e siamo partiti.”

Se le quantità prodotte e imbottigliate non coincidono quasi perfettamente vai in galera. Per capire come sta venendo metto una goccia in un bicchiere e annuso.

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Per chi non lo sapesse, aprire una distilleria comporta una serie di percorsi burocratici, e regole ferree che non si sposano proprio perfettamente con un locale dentro un contesto urbano. Perciò si doveva trovare una soluzione. “Noi siamo tecnicamente un opificio di rettificazione,” mi spiega Luca Vezzali. Come il Botanical Club, sempre a Milano. “In pratica non possiamo produrre l’alcol da un ingrediente come potrebbe essere delle patate per la vodka, ma dobbiamo comprare dell’alcol già distillato e ridistillarlo con altre botaniche.”

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La micro-distilleria di Tripstillery

Il piccolo alambicco, mentre parliamo butta fuori qualche goccia di gin in produzione. “Possiamo fare con questo alambicco 45 litri di prodotto, la dogana viene a fare i controlli spesso e non possiamo assaggiarne nemmeno una goccia per legge prima di imbottigliarlo.” E mi dice il master distiller Francesco Zini: “Se le quantità prodotte e imbottigliate non coincidono quasi perfettamente vai in galera. Per capire come sta venendo metto una goccia in un bicchiere e annuso.”

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Tripstillery al momento produce due gin della casa, un London Dry, “Trip Gin” e un gin che si chiama “Bari”. L’idea è di creare una serie delle città d’Italia per fare un viaggio attraverso le botaniche e le caratteristiche di quei posti. E poi fanno due amari, uno bello diretto e uno dal sapore un po’ più rotondo, che invece non hanno i vincoli della distillazione. “Al momento abbiamo dieci taniche con gli amari in macerazione,” mi dice Francesco Zini. “Ma non c’è veramente un limite come per l’alambicco.

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Il master distiller Francesco Zini.

La cosa fica e importante è che hanno tirato su tutto questo laboratorio anche per dare anche la possibilità a terze persone di prodursi il proprio gin o il proprio amaro a prezzi piuttosto onesti. “Se sei un locale o anche uno studio di design magari, ti puoi fare il gin da noi come vuoi tu e noi pensiamo a tutto: dalla distillazione all’etichetta e persino il timbro da imprimere sulla cera lacca.”

“Volevamo che i cocktail seguissero i trend del momento— bicchieri giusti per drink giusto, creare come se si avesse una cucina e non solo assemblare- e volevamo che i protagonisti fossero i sapori”


I costi per fare un gin sono al massimo di 22 euro per un gin (iva già compresa, perché l’alcol comprato è accisato all’origine) e di 17 euro per un amaro. Se vi state chiedendo perché proprio il gin e non altro, Luca Vezzali mi spiega che naturalmente il gin ora ha più mercato, ma che non escludono affatto di creare anche cose nuove. “Nel futuro abbiamo un sacco di progetti: possiamo creare un distillato mettendo insieme all’alcol diversi ingredienti che ci fanno un profilo aromatico quasi identico a quello di un tequila, per esempio. Sperimenteremo, è quella la figata.”

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I banconi di Tripstillery sembrano tavolate di una casa di campagna, solo molto più minimal e fighetti. E l’idea è proprio quella di accogliere i bevitori e metterli a proprio agio come in una tavola sociale per parlare con il bartender—ti ci puoi volendo pure sedere vicino—e per conoscere sconosciuti. “Nella mia esperienza,” continua Luca Vezzali, “ho capito che la cosa che mi piace di più è il bancone come protagonista e adoro far conoscere le persone tra di loro mentre stanno al bancone. È un bar molto nordico, ma è un minimal anche caldo, che ti fa sentire a casa.”

E i cocktail ovviamente qui sono notevoli. Serviti non solo nelle solite noiose coppettine e bicchieri da Old Fashioned, ma messi in bicchieri da degustazione di grappa, per esempio. A servirmi Francesco Pagliara, il bartender con cui Luca Vezzali ha lavorato per la creazione delle ricette. “Volevamo che i cocktail seguissero i trend del momento—bicchieri giusti per drink giusto, creare come se si avesse una cucina e non solo assemblare—e volevamo che i protagonisti fossero i sapori e che si sentissero distintamente.” E sì, si sentono.

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Il drink con Vermouth Secco, Noce e Pera e Liquirizia (che si chiama solo “4”, non gli interessa farti perdere l’attenzione con dei nomi inventati, ma devi focalizzarti su cosa berrai) aveva note equilibratissime con tre picchi distinti sui tre ingredienti netti, ma a scalare. E poi Francesco Pagliara mi ha fatto provare la sua visione di Old Fashioned, con Scotch, Mou Salato e Pandan. “Abbiamo semplicemente fatto un mou con un pizzico di sale e abbiamo visto che funzionava da Dio.” Se vi piace l’Old Fashioned, è una roba da provare, avvolgente, azzeccato. Dai, lo sapete com’è il dolce-salato, su. Immaginate quello più lo scotch whisky lavorato come si deve.

Ci vediamo lì a bere un caffè e dopo un cocktail. E a produrci il nostro gin, perché no.

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