Ristorante Incalmo Este Staff
Foto di Margherita Bonetti per gentile concessione di Incalmo
Cibo

È davvero una buona idea aprire un nuovo ristorante dopo il Covid-19?

Incalmo aprirà ad Este (Padova) in quello che teoricamente è il periodo peggiore per la ristorazione mondiale. Ma perché potrebbe essere una buona notizia e non solo pazzia.
Andrea Strafile
Rome, IT

"Per molti non ci saranno nemmeno vacanze, quindi fare una fuga dalla città e lasciarsi coccolare per qualche ora sarà la chiave vincente"

Non sono proprio i giorni migliori per fare ristorazione. Aprire una qualsiasi forma di locale in un momento storico senza eventi, praticamente senza turismo e i clienti ingabbiati dentro mascherine, non sembra una buona idea. I media ci stanno avvisando quasi quotidianamente di quanto stia soffrendo il mondo del cibo e del bere - sia per il calo di clienti, sia per il calo del fatturato.

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Ma nonostante la chiusura e il rischio lockdown anche nei mesi autunnali, molti ristoranti hanno pensato di inaugurare proprio in questi o nei prossimi mesi. Qui parleremo dei ragazzi di Incalmo, che hanno deciso di aprire ad agosto nel mezzo della Bassa Padovana, a Este (Padova), un ristorante fine dining.

A dispetto di tutti i numeri e le previsioni, Michele Carretta e Ricardo Scacchetti rischiano di vincere una scommessa che può portare ancora una volta a riflettere su come sia meglio fare ristorazione fuori dai grandi centri. "Ho avuto la fortuna di avere tra le mani una struttura alberghiera nella zona dei Colli Euganei di proprietà della mia famiglia," mi dice Michele. "Il progetto è stato sempre quello di aprire un fine dining in quel posto, era una scommessa già due anni fa - perché non ce ne sono altri nella zona - e, dopo due anni di lavoro, siamo pronti a partire." E ovviamente come potevano sapere che ci sarebbe stata una pandemia mondiale a falciare le gambe ai locali e riscrivere il concetto di convivialità a tavola?

Niente a che vedere con i tanti posti turistici che servono i dolci con lo stampo di un cucchiaio fatto di zucchero a velo o gran piattoni di Bigoli con tanto di gamberi poggiati sopra, a mo' di fontana barocca.

"Io e Michele ci siamo conosciuti a Londra, entrambi lavoravamo nel marketing," mi dice Ricardo, l'altro socio e anima comunicativa del progetto. "Dal punto di vista della comunicazione pensiamo di fare un doppio lavoro, che è quello che ci serve: un primo periodo di comunicazione low profile e, quando le acque saranno più tranquille, una seconda comunicazione fatta di video e foto mirate, sempre puntando a lasciare trasparire l'eleganza del posto."

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Tra gli aspetti più interessanti c'è sicuramente il come si può aprire un nuovo ristorante di alta cucina con una pandemia in corso, mentre tanti altri chiudono o rischiano di chiudere. Quindi ho chiesto a Michele e ai ragazzi quali saranno le misure per arginare i danni o cosa si aspettano succederà a livello di fatturato e prezzi.

"Per fare questo progetto abbiamo investito molto, ma ciò in cui abbiamo investito di più è sicuramente il tempo," mi dice Michele. "Ci siamo fatti i conti in tasca e un piano per il futuro e abbiamo capito che per guadagnare qualcosa ci vorranno almeno tre anni e non guarderemo all'incasso per i prossimi sei mesi almeno." Potendolo fare, i ragazzi di Incalmo hanno deciso di puntare su una strategia a lungo, lunghissimo termine. "Ci siamo dati un modello di rientro così ampio perché siamo veramente molto convinti che questa zona abbia bisogno di un ristorante del genere e vogliamo essere non solo i primi, ma i migliori da qui ai prossimi anni."

Se vi state chiedendo se ci siano degli aiuti statali per aprire in tempo di Covid, la risposta è no. "Ci siamo mossi attraverso i bandi della regione dedicati ai giovani imprenditori," mi dicono. "Sono piani di rimborso che faranno certamente comodo, ma a livello statale non ci sono sgravi fiscali o aiuti di nessun tipo." Una delle soluzioni, che loro non adotteranno, potrebbero essere, come diceva Bourdain in Kitchen Confidential, le aste dei macchinari professionali delle cucine ormai fallite.

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Tra gli aspetti per contenere i costi, Michele e Ricardo hanno pensato che selezionare poco personale, ma molto preparato, potrà al tempo stesso far risparmiare su nuove assunzioni e rendere tutto più gestibile.

Per gli avvinazzati come me, c'è il maître Filippo Caporelli, che si vanta di avere "in carta 320 etichette: sono la mia storia da ubriacone e di quanto ami andare a visitare le cantine prima di scegliere i vini. Di queste ne ho assaggiate 298." Insomma, uno che il suo mestiere lo fa con criterio.

La cucina, poi, non sarà regionale e non avrà nulla a che vedere con i tanti posti turistici che servono i dolci con lo stampo di un cucchiaio fatto di zucchero a velo o gran piattoni di Bigoli con tanto di gamberi poggiati sopra, a mo' di fontana barocca. Sarà invece una cucina senza confini, di territorio o mentali: "Sono un cuoco senza nonna o mamma che mi hanno trasmesso le loro ricette," mi dice lo chef Francesco Massenz, che a 34 anni ha parecchia esperienza di stellati, di cui gli ultimi quattro da "Agli Amici". "Quello che piace mangiare a noi è anche quello che ci piace manipolare. Che sia un kebab o un piatto smaccatamente fine dining."

Leonardo Zanon, che ha vinto giusto l'anno scorso il premio come uno dei miglior pastry chef per il Gambero Rosso, gli fa eco dicendo: "Oggi sono pasticcere, ma quando ho iniziato cucinavo soprattutto carni e pesci, soprattutto in fine dining nel Nord Europa. Quando sono rientrato da Helsinki sono andato a mangiare da Agli Amici, ho rincontrato Francesco e c'era un posto libero in pasticceria. Così ho fatto il pastry chef per quattro anni lassù." La pasticceria, intesa come la intende Leonardo, è "dolce-non dolce: uso spesso la verdura, per esempio." Le verdure nei dolci sono un concetto che abbiamo imparato a conoscere anche con il mitologico Corrado Assenza, che ci aveva già spiegato come le verdure siano un mondo da esplorare anche nei dessert.

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Per tornare al denaro e all'economia di un posto che apre in pieno Covid: tre menu degustazione da quattro, cinque e sette portate che vanno dai 60 ai 90 euro, vini esclusi. Non competitivo, certo, soprattutto durante un periodo economicamente incerto, ma tutto come al solito lo faranno i piatti e il mood del ristorante.

Per abbattere ancora di più i costi, gli chef mi spiegano come faranno con i loro piatti e ordini dal fornitore: "Ci saranno dei grandi piatti fatti magari con ingredienti poveri, come un cetriolo lavorato in modo da renderlo interessante," mi dicono Leonardo e Francesco. "Questo ci permetterà di spendere più soldi su ingredienti che costano di più come il piccione o il caviale. E poi c'è sempre la filosofia dello scarto zero." Oltre allo scarto zero mi raccontano che anche prendere ingredienti di qualità ripaga molto: "La lattuga del contadino non si affloscia come quella della Grande Distribuzione. Puoi lasciarla in frigo due settimane e usarla ed è come nuova, ancora croccante."

Ci siamo fatti i conti in tasca e un piano per il futuro e abbiamo capito che per guadagnare qualcosa ci vorranno almeno 3 anni e non guarderemo all'incasso per i prossimi sei mesi almeno.

Rispetto alla semplificazione delle formule menu, noi in primis abbiamo speso parole su come potesse essere una soluzione poco invasiva ed efficace per contrastare la crisi derivata dal Coronavirus: menu più semplici, più brevi, più economici. In quell'occasione, i dati della Fipe citati parlavano di una perdita di incassi variabile tra il 53% e il 70% (rispettivamente il 70% in meno nella prima settimana e il 53% nella seconda). Oggi, a quasi un mese dalla riapertura i nuovi dati Fipe parlano di perdite medie del 50/51% e un leggero ottimismo da parte degli esercenti. Ma i cali di introiti sono ancora molto forti. Ci sono stati anche casi, come quello svizzero, in cui si è parlato del rischio di andare in perdita nel 90% dei ristoranti. Un anno buttato in cui sopravvive il più forte, mettendola in maniera terra terra.

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Aprire in provincia, nel pieno dell'estate, un ristorante fine dining, può essere vincente. La gente tende a uscire dalle città e sono le stesse persone che abitano in zone limitrofe e, in mancanza di una grossa affluenza di turismo estero, potrebbe tradursi in una fidelizzazione del cliente. "Confesso che non ci ho dormito molte notti," mi dice ancora Michele Carretta, il padrone di casa. "Poi però ho pensato che è un bel progetto. E le cose belle non possono che portare positività." Soprattutto ora, che usciamo tutti ancora un po' storditi dal lockdown. "Alla fine per molti non ci saranno nemmeno vacanze, quindi fare una fuga dalla città e lasciarsi coccolare per qualche ora sarà la chiave vincente" mi dice Michele.

Aprire un ristorante in questo momento, che sia fuori o dentro le mura di una città, è un segno di coraggio e, soprattutto, un bel segnale al mondo della ristorazione. Un gesto che, comunque vada, dice: "Noi ci crediamo, a dispetto di tutto e tutti." È la voglia di costruire qualcosa di nuovo e interessante che, credo sinceramente, gli farà vincere la scommessa.

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