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ILLUSTRAZIONE BY JUTA
Cibo

Come ha fatto una birra industriale come l'Ichnusa a rappresentare la "vera Sardegna"

Il rapporto dei sardi con la loro birra è abbastanza complicato, ma l'Ichnusa in tutta Italia rappresenta la Sardegna in maniera abbastanza misteriosa.
Alessandro Pilo
Budapest, HU

C'è un tema ricorrente tra i sardi, il richiamo a un passato imprecisato in cui “l’Ichnusa era più buona"

Se esiste un oggetto magico in grado di unire i sardi da Cagliari a Sassari, probabilmente ha la forma di una bottiglia di Ichnusa. Bene, chi ha annuito leggendo questa frase vuol dire che non è nato o cresciuto in Sardegna. Già, perché il rapporto dei sardi con la loro birra è abbastanza complicato, per averne conferma mi è bastato fare un piccolo sondaggio tra alcuni amici.

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C'è chi le vuole bene: “sono davvero affezionato all'Ichnusa, anche se non ho le competenze necessarie per dire quanto sia di qualità”, mi racconta Lorenzo, studente sardo a Bologna. Lorenzo non smette di sorprendersi nel vederla trattata da birra chic, “qui a Bologna costa il doppio delle altre, per questo ripiego solitamente sulle birracce dell’Eurospin. Ma quando posso permettermene una, la prendo volentieri”.

Luca, un’adolescenza passata nella bassa oristanese e ora residente a Cagliari, mi conferma che quando dalle sue parti chiedi o ti viene offerta una birra, automaticamente s'intende che sarà Ichnusa. Ammette, ora, di essere entrato nella fase in cui “ho più voglia di qualità e meno di quantità. Ora rinnego le origini e quella classica la bevo poco spesso. Addirittura non mi ricordo l'ultima volta”.

Sull’isola si consuma il doppio della birra rispetto alle altre regioni italiane, con una media che arriva a 61,7 litri per abitante, numeri che includono anche la presenza dei turisti

A quanto pare il gusto dell’Ichnusa è il punto dolente, Roberto di Sassari lo definisce “notoriamente piatto, a essere magnanimi”, e accenna a un tema ricorrente tra i sardi, il richiamo a un passato imprecisato in cui “l’Ichnusa era più buona”. Secondo Maria Grazia di Sassari viene bevuta semplicemente perché è la più diffusa, ma anche il suo parere sulla qualità è ambivalente: “la classica ti fa ruttare come un camionista, ma la non filtrata l’apprezzo, ha quello stile accattivante, con la sua bottiglia retrò”. Secondo lei ci sta che rappresenti la Sardegna, visto il grande attaccamento all’Ichnusa dei bevitori da bar over quaranta dell’entroterra, “io stessa mi sento un po’ orgogliosa quando la trovo in un locale della penisola”.

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Una birra nata in Sardegna nel 1912 e di proprietà del marchio Heineken dal 1986

Non ci sono dati a disposizione sul successo della birra nata in Sardegna nel 1912 e di proprietà del marchio Heineken dal 1986; ho contattato l’ufficio stampa per averne, ma mi ha comunicato gentilmente che per questioni di marketing i numeri di vendita non possono essere diffusi. Tuttavia in questo articolo di Business Insider si legge che la Regione Sardegna nel 2019 ha autorizzato l’azienda olandese all’ampliamento dello stabilimento sardo di Assemini, l’unico che la produce, che porterà a un aumento della capacità produttiva da 149 a 230 milioni di litri l’anno, con un incremento del 54%. Secondo un sondaggio Doxa per Assobirra del 2015, sull’isola si consuma il doppio della birra rispetto alle altre regioni italiane, con una media che arriva a 61,7 litri per abitante, numeri che includono anche la presenza dei turisti. La stragrande maggioranza di quella birra viene servita dentro bottiglie e bicchieri con il simbolo dei quattro mori.

Se sei stato in Sardegna l’avrai bevuta almeno una volta, è un po’ come una madeleine di Proust liquida che ti fa ricordare le tue vacanze

Sebbene la birra Ichnusa sia prodotta totalmente in Sardegna e tra iniziative territoriali e sponsorizzazioni abbia un legame con l’isola, è comunque una birra industriale di proprietà di una multinazionale, dell’uso d’ingredienti locali non si ha notizia, in più gli stessi isolani l’apprezzano in modo alterno. Per questo è interessante come sia riuscita ad affermarsi negli ultimi anni come la birra glocale per eccellenza, in grado di prosperare tanto nell’isola quanto in luoghi dove il senso d’appartenenza con la Sardegna non ha ragione d’esistere.

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Con Ichnusa ci troviamo davanti al cosiddetto retro marketing, dare ancoraggio geografico e temporale a un prodotto per confermarne l’autenticità

La mia amica Maria Grazia la mette così: “Se sei stato in Sardegna l’avrai bevuta almeno una volta, è un po’ come una madeleine di Proust liquida che ti fa ricordare le tue vacanze”, probabilmente è vero ma c’è molto di più. Nicola Ferrari - dell’agenzia di comunicazione AQuest - è un digital strategist ed esperto del settore food & beverage. Gli ho chiesto che strategia c'è dietro il marchio Ichnusa: “Per pubblicizzare Ichnusa si è trovata un'ottima chiave di lettura, da un punto di vista comunicativo oggi le radici sono un valore aggiunto, soprattutto quelle meno patinate. Qualche decennio fa non avrebbe funzionato, ora è un plus”.

Una cosa che mi conferma anche Mirko Pallera, fondatore del blog Ninja Marketing, sociologo ed esperto di marketing: “Con Ichnusa ci troviamo davanti al cosiddetto retro marketing, dare ancoraggio geografico e temporale a un prodotto per confermarne l’autenticità. In una società sempre più sradicata, tutto ciò che dà una percezione di autenticità fornisce al consumatore un fattore identitario forte”. Secondo Pallera per il consumatore medio non è necessario che il rapporto tra un prodotto e determinati valori sia concreto, “gli esempi sono tanti. Pensa a Grom, la catena che ha fatto dell’attenzione al locale e alla sostenibilità un punto di forza. Chi mangia un loro gelato non sa oggi, o forse non gli importa, che sia stata acquistata da Unilever”. In altre parole il successo di Ichnusa è in gran parte basato su una questione di percezione a cui l’inconfondibile logo coi quattro mori fa da sigillo di garanzia.

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La strategia ha funzionato così bene che durante una visita in Sardegna un politico nazionale ormai non può farsi mancare una foto con l’Ichnusa, mentre Diego Fusaro per scagliarsi contro la colonizzazione mondialista dei palati ha twittato una foto di un suo italico pranzo accompagnato proprio da una non filtrata.

Già, la non filtrata. Il rebranding nazionale d’Ichnusa non può essere separato dal suo prodotto di punta. Secondo Ferrari con la non filtrata Ichnusa strizza l'occhiolino al consumatore che cerca qualcosa di diverso ed è stanco della classica bionda media. “È un esempio di crafty, quel settore pensato per chi non ha tempo, conoscenze o voglia di cercare una birra artigianale, ma d'altro canto non vuole una birra classica”.

Pallera la mette così: “c’è il surfista hardcore che si è trasferito a Bali, c’è quello che va in surf di tanto in tanto e c’è l’aspirante surfista interessato solo al codice estetico. Funziona allo stesso modo con le birre, esiste il vero appassionato di birra artigianale e c’è chi si accontenta di un prodotto più industriale che semplicemente richiama all’artigianalità”. Ad accontentarsi a quanto pare in Italia sono in tanti: secondo una ricerca realizzata dall’associazione Unionbirrai e l’Università di Firenze al supermercato i consumi di prodotti crafty sono aumentati rispetto al 2014 del 8000% in volume e del 4000% in valore, a fronte di una crescita delle birre artigianali tra gli scaffali della GDO del 73%.

Immagino che la chiave del successo nazionale di Ichnusa sta proprio in questi numeri, se da un lato in Italia andiamo orgogliosi della nostra tradizione culinaria, per ciò che riguarda il rapporto con la birra continuiamo a essere dei consumatori davvero pigri, e ci esaltiamo per quei prodotti in cui l’ingrediente principale è lo storytelling e qualche bandiera appiccicata su.

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