All’interno di Macao, che per chi non lo conoscesse è un centro indipendente per le arti, la cultura e la ricerca che sta negli spazi dell’ex Macello a Milano Est, è attivo da poco un nuovo laboratorio che si definisce etero-dissidente e transfemminista e ha l’obiettivo di organizzare serate che mescolino discussione e clubbing, ma anche letture o proiezioni di documentari, il tutto ovviamente improntato a tematiche ben precise. La prima serata, con grande partecipazione di pubblico, è partita con la proiezione del documentario Queercore: How to Punk a Revolution di Yony Leyser, seguita da un momento di discussione e dai potentissimi live e dj set di Violence e Kilbourne.
La prossima serata è in programma per il 30 marzo e sarà uno showcase di Discwoman, collettivo con base a New York “che fa della lotta al razzismo e alla normatività di genere il motivo fondante del proprio attivismo artistico/politico”. Alle 22:00 ci sarà una discussione con le artiste e gli artisti del collettivo intitolata Difference as a culturally-propelling force, moderata da Sonia Garcia e Virginia Ricci e in seguito, in consolle, Juliana Huxtable, Shyboi e Kamixlo. Lungo il corso dell’intervista potete ascoltare alcune delle loro cose. Abbiamo approfittato di questa occasione per parlare con il nuovo laboratorio/collettivo di Macao e farci raccontare per bene quello che stanno portando avanti.
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Noisey: Come la definiamo questa cosa che state facendo? È un collettivo, un laboratorio?
Diciamo entrambi, è un laboratorio che non potrebbe esserci senza una collettività che lo frequenta e gli dà forma. Sono due aspetti complementari di un unico progetto. L’idea del laboratorio, durante il quale ci è capitato di leggere e discutere testi come il piano anti-violenza redatto da Non Una Di Meno e Gli usi della rabbia di Audre Lorde, è nata dall’esigenza di condividere dei contenuti che ci stanno a cuore, un modo per ascoltare e restituire idee che partono da esperienze individuali, per stimolare l’arricchimento, la crescita collettiva, un lavoro continuo che ricorda un po’ la pratica di autocoscienza del femminismo degli anni ’70. Il laboratorio è aperto a tuttx, basta venire a MACAO il martedì alle 19.
Chi ne fa parte e come nasce? Mi sembra di capire in maniera abbastanza spontanea, per definire meglio alcuni discorsi che già erano in corso all’interno di Macao in senso più ampio.
Da tempo sentivamo la necessità di trovare soluzioni concrete e propositive ad atteggiamenti diffusi che percepiamo come machisti e molesti. MACAO si situa nel mondo, non in un’isola ideale, e con questo bisogna fare i conti quotidianamente, soprattutto quando lo spazio accoglie un numero elevato di persone.
Negli anni, alcuni laboratori temporanei sono nati con diversi obiettivi, alcuni più teorici, come “Occupare il conflitto” che abbiamo tenuto a maggio 2013, altri focalizzati sulla produzione di linguaggi capaci di nominare il sessismo (“Eventual Scoliosis“, luglio 2017). Dalla fine dell’anno scorso, abbiamo deciso di creare un appuntamento fisso in modo da dare una continuità a un percorso che in moltx sentiamo necessario, e che sta anche diventando una porta di accesso per nuove soggettività a MACAO. Far sì che uno spazio sia accogliente per tuttx richiede un lavoro di cura immenso e bellissimo: è il tentativo collettivo di smascherare, a partire da noi stessi, linguaggi e pratiche che adottiamo in modo spontaneo ma che si rifanno a una normatività che ripudiamo. Un continuo rendersi conto di quanto abbiamo incarnato dalla cultura capitalista e patriarcale in cui siamo immersx e, anche, di quanto—solo insieme—possiamo lentamente smantellarla per dare spazio a nuove forme.
Possiamo farti l’esempio di due pratiche che abbiamo sviluppato: l’affissione di messaggi e il take care. Attraverso queste, vogliamo invitare coloro che attraversano lo spazio a prendersi cura di tuttx, delle cose che ci piace fare insieme. Se ti piace venire a MACAO deve esserti chiaro che comportamenti omofobi o sessisti non sono accettati, ma anche che, entrando, farai parte di una comunità impegnata a far sì che nessunx si comporti così. Durante le serate più frequentate, per esempio, indossiamo un nastro glitterato che è un segno di riconoscimento per coloro che partecipano a quello che ci piace chiamare take care: se sei in una situazione di difficoltà o vedi qualcunx che lo è, queste persone saranno d’aiuto. Non è il classico repertorio di disciplina, controllo e punizione in cui spesso ci si imbatte nei club, italiani e non solo. Noi non siamo un club, e poi, a noi, gli sbirri non piacciono. Non ci siamo solo noi di MACAO a prenderci cura durante le serate, ma anche amicx che frequentano abitualmente lo spazio partecipano a questa iniziativa.
La musica disco e in generale il clubbing nascono e si sviluppano storicamente all’interno di comunità LGBTQ, ma direi che nella stragrande maggioranza dei casi è un elemento che si è andato a perdere (soprattutto fuori dall’underground). Voi volete anche rispondere un po’ a questa cosa?
Siamo convintx che la liberazione dei corpi dai vincoli del patriarcato e dell’eteronormatività debba passare dalla condivisione di diversi tipi di linguaggi. L’inclusività deve passare necessariamente dalla messa in comune degli spazi e dalla riappropriazione di tutti quei mezzi di espressione che sono stati cooptati dalla solita egemonia del maschio bianco eterosessuale. Come hai giustamente notato, il club è un luogo in cui questi corpi dissidenti hanno manifestato la loro esigenza. Non abbiamo la presunzione di volere restituire definitivamente il dancefloor alla comunità LGBTQ ma vogliamo, da un lato, poterci divertire senza dover sottostare a quel sistema del clubbing che a Milano ha ingessato anche le soggettività LGBTQ, dall’altro vogliamo curare una programmazione musicale e artistica in generale che dia nuovamente spazio a forme di musica realmente alternative—che è quello che ha fatto MACAO da quando esiste. A Milano si è diffusa l’equazione gay = pop e moda, e non tuttx si riconoscono in questo.
Cosa ne pensate invece delle serate “a tema” che pure ci sono, nella maggior parte delle città europee? Forse il problema è che ne resta l’aspetto più superficiale ma si perde il discorso politico? Voi volete far rientrare il discorso politico all’interno del contesto delle serate LGBTQ?
Fare musica, ascoltarla, ballarla è già parte del discorso politico. Noi vogliamo solamente ricordarlo. Talvolta si pensa che andare a ballare sia puramente un momento di svago, una parentesi all’interno di una settimana di produttività ed efficienza. No, quando frequentiamo un luogo in cui possiamo arricchire la nostra esperienza musicale e in cui possiamo liberamente esprimerci, entriamo in relazione con le persone, creiamo un contatto, comunichiamo. Il fatto che spesso questa pratica sia regolata dalle tendenze, dalle norme di mercato e dal sistema capitalistico che costruisce e standardizza comportamenti, relazioni e gusti musicali, fa dimenticare che questo è uno strumento di lotta politica fortissimo. Condividere, costruire progetti assieme, collaborare al benessere e anche al divertimento collettivo sono pratiche che si apprendono divertendosi e che possono poi essere applicate alla vita di tutti i giorni. Banalmente: rispettare chi è diversx da noi, quellx stranx, quellx che non si adattano, chi è queer insomma, costruendo rapporti. Da una sterile distanza teorica non si può capire ed accogliere la diversità.
E negli spazi occupati, quelli che fanno politica ogni giorno, soprattutto in Italia, come vi sembra la situazione riguardo l’inclusività, o semplicemente la presenza di determinate riflessioni? C’è una mancanza che vorreste andare a colmare?
Tanti spazi occupati fanno le stesse riflessioni, non c’è nessuna mancanza che abbiamo la presunzione di voler colmare. È necessario comunque allargare il più possibile il discorso e la consapevolezza intorno ai temi del sessismo, del razzismo, del fascismo e della violenza di genere, e trattarli insieme, in una prospettiva il più possibile intersezionale. Si tende sempre a pensare che queste discriminazioni si esprimano solo in grandi manifestazioni di intolleranza, laddove in verità i comportamenti quotidiani, il linguaggio e le piccole azioni sono inconsapevolmente imbevuti e istruiti da un sistema discriminante e violento. Ci inseriamo dunque all’interno di una lunga storia di pratiche e riflessioni fatte da diverse realtà in giro per il mondo. Le pratiche che abbiamo elaborato non le abbiamo inventate noi, le abbiamo mutuate adattandole alle nostre esigenze e ai nostri desideri. Il dialogo con chi si sbatte da molto prima di noi su queste questioni è necessario, anche per sottolineare il fatto che siamo in tantx a volere che le cose cambino.
La formula è quella di abbinare festa e dibattiti, che magari a qualcuno potrebbe fare storcere il naso. Pensate che sia la strada giusta? Effettivamente la prima serata ha avuto un successo di pubblico inaspettato.
Ce lo aspettavamo perché la serata era una bomba! Per quanto possa sembrare che il momento del dibattito e quello del concerto siano separati e inconciliabili, di fatto sono complementari. Il successo di partecipazione alla prima serata dimostra proprio questo: le persone vogliono nutrirsi a livello culturale e al contempo divertirsi. Noi sentivamo un bisogno e ci siamo accorti che questo era condiviso.
Quali sono le realtà che sentite più vicine, anche all’estero? La prossima serata per esempio sarà uno showcase con il collettivo Discwoman.
Sin dall’ingresso, abbiamo cominciato ad apporre una serie di timbri che vanno ad identificare il nostro pensiero nei confronti delle tematiche che trattiamo come laboratorio: “siamo frocissime”, “macho free zone”, “no means no” sono solo alcuni degli slogan che abbiamo adottato da alcuni collettivi transfemministi di Bologna. Siamo vicinx a tutte quelle che pensano che la produzione culturale sia un campo di lotta, come Guerrilla Girls, Lesbians and Gays Support the Migrants, SomMovimentonazioAnale e molte altre… ma mai a sufficienza! Discwoman è sicuramente un esempio per quanto riguarda le pratiche di confronto con il razzismo, l’omofobia e l’attivismo in campo musicale.
Ci date qualche anticipazione su cosa aspettarci per il futuro?
L’8 aprile facciamo un evento dal titolo “Tattoo Rise The Difference”: è un benefit creato per supportare persone transessuali, travestite, transgender e genderqueer. Nello specifico finanzieremo il progetto Rise The Difference, che prevede l’apertura di una casa per rifugiati e richiedenti asilo LGBTI a cura del MIT – Movimento Identità Transessuale di Bologna. Per il resto, basta venire il martedì alle 19 in assemblea, è aperta a tuttx. Nasce tutto lì.
Per sapere di più sul laboratorio etero-dissidente e transfemminista di Macao visita il sito.
Il terzo evento organizzato dal laboratorio sarà Tattoo Rise The Difference, l’8 aprile a Macao.
Federico è su Instagram: @justthatsome