Quest’estate sono riuscito finalmente a staccare la spina dal lavoro e dai social network per due settimane e ho dedicato tutto il tempo possibile alla mia famiglia e a me stesso. Ho cominciato a leggere Moby Dick, scoperto i Florence + The Machine ed insegnato al mio primo figlio, sei anni e mezzo, a giocare a Magic: The Gathering. Grazie a due mazzi pre-costruiti — prodotti che Wizard of The Coast dedica ai principianti — gli ho spiegato le regole base: il bimbo non è ancora capace di leggere, ma si è appassionato subito ai disegni, alla sfida e alla vera e propria magia che queste “figurine” riescono a trasmettere da 25 anni (buon compleanno!) a questa parte.
Onestamente pensavo che il gioco fosse troppo complicato per lui, soprattutto per via della quantità di calcoli richiesti: sottrarre i punti vita quando si riceve danno, capire come confrontare forza e costituzione delle creature, gestire i combattimenti dopo vari “buff” (potenziamenti) non scritti sulle carte. Dopo qualche partita mi sono reso perfettamente conto di quanto le sue capacità dedicate a questo aspetto del gioco stessero migliorando: alla fine dell’estate, con una quindicina di scontri sulle sue giovani spalle, era capace di calcoli non banali per la sua età e la sua velocità nell’eseguirli senza aiutarsi con le dita era aumentata a dismisura.
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Ho sempre ritenuto Magic un ottimo strumento di apprendimento di alcuni concetti algebrici: i bambini vengono coinvolti dalla partita e, senza fatica, sono invogliati a calcolare somme e sottrazioni visualizzando materialmente dei numeri (le varie “pedine” del gioco, cioè le famose creature di Magic) che si intersecano tra loro. Se si cerca però di scalfire la superficie ludica e di ragionare più sull’architettura di regole che tiene in piedi il gioco, si arriva a scoprire una profondità di schemi matematici molto complessi. Di certo non comprensibili senza un’adeguata preparazione.
Questa preparazione non mancava al professor Richard Garfield, di cui però non troverete nessun manuale sulla matematica combinatoria: materia che gli valse un dottorato di ricerca nel 1993. Garfield è un inventore di giochi, e nello stesso anno del suo riconoscimento accademico la Wizard of The Coast — un piccolo editore di giochi — pubblicava il gioco di carte collezionabili chiamato Magic: The Gathering e creato proprio da Garfield nei ritagli di tempo. Un gioco destinato a cambiare il mondo grazie a due concetti evidenti: accessibilità e facilità di trasporto.
Mentre Dungeons & Dragons richiedeva molte scatole costose, un largo tavolo, un’adeguata dose di merende e parecchie telefonate, per Magic bastavano due mazzi, un solo amico, un foglio e una penna. Finì che la Wizards of The Coast si comprò la TSR, l’azienda che produceva Dungeons & Dragons, mentre Magic veniva clonato e imitato in qualunque salsa, anche digitale, senza mai essere raggiunto nella sua estetica ludica e nel suo essere un magnifico esercizio di prevaricazione mentale.
“Il gioco degli scacchi è un gioco violento, forse il più violento tra gli sport”, ha scritto Roberto Saviano, un giorno mi piacerebbe fargli conoscere Magic. Per immaginare come si sviluppa la sfida senza addentrarsi nella spiegazione delle regole, basta pensare ad una partita a scacchi dove la scacchiera comincia vuota. I giocatori distribuiranno con il passare del tempo e dei turni i loro pezzi sul “campo di battaglia” utilizzando le carte nella loro mano e quelle del mazzo. Mentre negli scacchi però non esiste la fortuna e l’unico vantaggio è tenere i bianchi o meno, Magic aggiunge una distribuzione casuale di tutte le variabili — come nel poker. Le probabilità di vittoria storicamente registrate in tutte le partite di scacchi, infatti, sono a vantaggio dei bianchi (cioè di chi ha la prima mossa).
Le similitudini con gli scacchi dal punto di vista psicologico sono molte ma, matematicamente, Magic è un esercizio ancora più difficile perché si deve ragionare anche dal punto di vista del calcolo delle probabilità. Ed è qualcosa di più complesso del classico lancio di una monetina, forse uno dei problemi più famosi che si pongono a chi studia statistica. Nel caso del lancio della monetina basta usare una variabile casuale binomiale, cioè a due dimensioni: questo perché ogni volta che si lancia una moneta il risultato è indipendente dal lancio precedente. Per Magic il discorso è molto diverso.
Se si volesse calcolare la probabilità che al settimo lancio dopo 6 “testa” esca la prima “croce”, quella probabilità sarà sempre ½. In Magic, invece, i mazzi sono costituiti da un numero fisso di unità e il calcolo delle probabilità di pescare una determinata carta dipende da una terza variabile, cioè quante carte sono già state rimosse da quel mazzo. Per risolvere questo tipo di problemi probabilistici bisogna usare quindi una variabile casuale ipergeometrica, che aggiunge una terza dimensione.
Ai tornei infatti si notano spesso ipergeometriche incazzature date dal cosiddetto “topdeck” avversario, ovvero il pescare la carta vincente al momento giusto. Per calcolare la probabilità che nella nostra mano iniziale ci siano 5 terre su 7 carte dato un mazzo di 60 carte con 24 terre all’interno, bisognerà ricorrere alla seguente formula:
[(24/5)*(36/2)/(60/7)]=0.069335
Con il numeratore stiamo calcolando i casi favorevoli e al denominatore quelli possibili (definizione classica del calcolo di una probabilità), esattamente come abbiamo trovato il valore ‘½’ per il lancio della moneta senza usare nessuna formula.
Assimilato quindi il concetto di distribuzione ipergeometrica, l’altro teorema che serve per valutare l’occorrere di qualunque evento all’interno di una partita di Magic è quello di Bayes, altrimenti conosciuto come ‘Teorema delle probabilità delle cause’.
Questo teorema è molto più complesso e viene impiegato per calcolare la probabilità di una causa che ha generato un certo evento. Si devono avere dei dati osservati e delle ipotesi che possono spiegare questi dati alla luce di regole generali che sono conosciute; è un teorema talmente importante che le sue due diverse interpretazioni hanno dato vita a due scuole di statistica, quella bayesana e quella frequentistica.
In Magic questo teorema viene usato da milioni di giocatori per indovinare che mazzo stia giocando il proprio avversario, partendo dall’osservazione della prima carta messa sul campo di battaglia, per esempio. Oppure, ancora più importante ai fini del gioco, per indovinare la mano dell’avversario a seguito di una particolare situazione di gioco.
Tutto qui? Assolutamente no. Se si uscisse per un momento dalla sfida e si cercasse di utilizzare la struttura di Magic per meri esperimenti computazionali, si scoprirebbe un mondo di matematica ancora più complesso e addirittura una macchina di Turing completa.
Assumendo che l’avversario non abbia alcuna possibilità di scelta, ma anzi prenda le decisioni che più ci fanno comodo ai fini dei nostri esperimenti, potremmo ad esempio calcolare qual è la quantità massima di danni che è possibile arrecare in un solo turno di gioco con un mazzo Vintage di 60 carte. La ricerca di questo numero, escludendo ovviamente tutte le “combo” di carte che permettono danni infiniti, è il soggetto di un interessantissimo carteggio iniziato cinque anni fa tra esperti del gioco appassionati di matematica.
Nel 2013, l’utente di Reddit SadisticMystic ha formulato per la prima volta le regole dell’esercizio, riuscendo a costruire un mazzo capace di infliggere 2^30 danni in un turno! Con gli anni, con la produzione di nuove carte e con lo studio da parte di altri utenti di Reddit o siti specializzati, si è arrivati ad infliggere 2^408 danni, sempre in un singolo turno. I calcoli richiesti per arrivare a risultati simili non sfruttano solo i teoremi di statistica enunciati nel corso di questo articolo, ma anche serie numeriche, matematica procedurale e la cosiddetta ‘Fast Growing Hierarchy‘, altrimenti detta Gerarchia estesa di Grzegorczyk.
Ci sono ottime probabilità che il mondo di Magic che ho toccato con mio figlio abbia ben poco a che fare con tutti questi numeri. Ci è bastato giocare qualche partita, però, per capire che, oltre alla matematica, per giocare a Magic serve davvero parecchia fortuna. Tornando a mio figlio ovviamente è ancora troppo piccolo per augurargli un futuro all’Università di Matematica solo perché ora ha cominciato a giocare a Magic. A pensarci bene, anche la carriera di giocatore professionista potrebbe essere una scelta remunerativa solo che per l’appunto implica una gran dose di fortuna, come appena dimostrato.
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