In mezzo a testi lanciati tra i banchi, urla e spintoni, la Camera dei Deputati ha approvato in extremis la legge di bilancio. La norma era già stata votata in aula, ma ci è tornata perché il governo nel frattempo l’aveva riscritta.
La misura stabilisce appunto il bilancio dello Stato, cioè come e dove si prelevano e spendono i soldi pubblici, e deve essere approvata entro il 31 dicembre di ogni anno. Nel caso in cui ciò non avvenga, bisogna ricorrere all’esercizio provvisorio di bilancio; nella storia della repubblica italiana è successo 33 volte.
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Il testo ha ricevuto 313 voti favorevoli e 70 contrari e nella serata di ieri è stato firmato dal presidente della Repubblica Mattarella.
Se il premier Conte ha parlato di Italia “pronta a ripartire e tornare grande,” le critiche non sono mancate da parte delle opposizioni—accusate da un post sul Blog delle Stelle (poi rimosso) di fare “terrorismo mediatico e psicologico”—e hanno riguardato in primo luogo la fretta con con cui si è arrivati al voto di fiducia, che ha fatto saltare tutta una serie di passaggi parlamentari.
Anche il livello contenutistico non è stato risparmiato, essendo il testo finale della cosiddetta “manovra del popolo” frutto di un iter piuttosto tortuoso, contrassegnato dalla dura trattativa con l’Unione Europea.
Rispetto agli obiettivi fissati inizialmente dal governo va innanzitutto detto che ci sono notevoli compromessi. Nel negoziato con Bruxelles l’esecutivo ha limato ben 38 miliardi di euro per 3 anni, rivisto la crescita per il 2019 (dall’1,5 all’1 percento) e abbassato il deficit da 2,4 a 2,04 percento.
Ma vediamo quali sono i punti principali, e quelli più controversi, della cosiddetta “manovra del popolo.”
IL “REDDITO DI CITTADINANZA” E LA “QUOTA 100”
Contrariamente a quanto aveva scritto Luigi Di Maio nel suo famigerato foglietto di cose FATTE, le due misure più simboliche e propagandate non sono ancora realtà: il governo ha promesso due decreti appositi per l’inizio del 2019, e creato due fondi con meno soldi rispetto agli annunci iniziali.
Per la riforma della legge Fornero—la cosiddetta “quota 100,” cioè la possibilità per i lavoratori di andare in pensione quando la somma dell’età anagrafica e degli anni di contributi versati è pari a 100—sono stanziati circa 4 miliardi di euro per il 2019, 8.3 per il 2020, 8.6 per il 2021 e il 2022.
Per il “reddito di cittadinanza”—che, è sempre bene ricordarlo, non c’entra nulla con il vero reddito di cittadinanza—si prevedono 7,1 miliardi di euro nel 2019 (invece di 9), 8 miliardi nel 2020 e 8,3 miliardi nel 2021.
ALTRE MISURE SU PENSIONI E FISCO
Oltre alla “quota 100,” la manovra introduce il taglio delle cosiddette “pensioni d’oro” attraverso la previsione di diversi contributi in base alla fascia di reddito—si va dal 15 percento per i redditi tra i 100mila e i 130mila euro, al 40 percento per i redditi superiori a 500mila euro.
Di Maio aveva parlato di un incasso superiore al miliardo di euro, ma la relazione tecnica ha dato numeri in ribasso: appena 76 milioni di euro nel 2019, con una platea di circa 24mila assegni mensili.
La legge di bilancio contempla inoltre diverse misure fiscali. C’è quella che è stata impropriamente definitiva “flat tax” per le partite Iva: come spiega Repubblica, “potranno accedere al trattamento fiscale di vantaggio, che prevede di pagare soltanto il 15 percento di tasse, le partite Iva con ricavi fino a 65mila euro.” In precedenza, “il limite era fissato in un intervallo tra 25mila e 50mila a seconda del tipo di attività.”
Sul versante della tassazione, la manovra introduce una nuova “imposta sui servizi digitali”—ossia una “web tax” del 3 percento sui ricavi delle aziende che “prestano servizi digitali e che hanno un ammontare complessivo di ricavi pari o superiore a 750 milioni di euro, di cui almeno 5,5 milioni realizzati nel territorio italiano.” La misura sarebbe cucita addosso a colossi come Google e Facebook.
La legge contiene anche un’ecotassa sulle auto più inquinanti (al di sopra dei 160 grammi di Co2 per chilometro), e un “ecobonus”—un incentivo—fino a 6mila euro per chi acquista un’auto elettrica. Il tutto partirà il primo marzo del 2019 e durerà fino al 2021.
Nel testo è contemplata una “tassa di sbarco” fino a 10 euro per i turisti che arrivano a Venezia, una misura chiesta a più riprese dal sindaco Luigi Brugnaro. Infine, è rimasto il raddoppio dell’Ires per gli enti no profit (dal 12 al 24 percento); sebbene sia stato difeso fino all’ultimo dalla sottosegretaria all’economia Laura Castelli con argomentazioni piuttosto imbarazzanti, Di Maio ha promesso che la norma sarà corretta.
L’AUMENTO DELL’IVA DAL 2020
A proposito di Iva, il governo è riuscito a bloccare l’aumento delle clausole che prevedono il suo aumento per il 2019. Come fanno notare in molti, però, nel 2020 sono contemplanti aggravi per 23 miliardi di euro, e quasi 29 nel 2021. Per evitarli servono dunque nuovi tagli o entrate equivalenti.
LE PRIVATIZZAZIONI
Il più gravoso impegno preso con l’Unione Europea è sicuramente quello delle privatizzazioni. Nel solo 2019, infatti, il governo dovrà incassare ben 19 miliardi di euro con le dismissioni di aziende e immobili pubblici per ridurre il debito pubblico. Secondo il Corriere della Sera, visti i tempi stretti “è ipotizzabile il trasferimento a Cassa Depositi e Prestiti delle residue partecipazioni pubbliche nelle imprese.”
I TAGLI ALL’ISTRUZIONE
Sul capitolo dedicato alle scuole si è consumato uno dei più accesi scontri tra maggioranza e opposizione. Stando a Repubblica, per il 2019 ci sono sì “quasi 9 milioni in più per l’istruzione,” ma nel triennio “il segno meno è davanti a 4 miliardi e 600 milioni: quasi 2,5 per il primo ciclo e oltre 1,1 per le superiori.”
Altri tagli sono previsti per l’edilizia scolastica (450 milioni di euro) e anche al sostegno, per il valore di oltre un miliardo.
I sindacati hanno anche denunciato il blocco delle assunzioni per il prossimo anno—ad eccezione di “duemila posti il tempo pieno alla primaria, 400 docenti nei licei musicali e 290 educatori”—annunciando una mobilitazione per il prossimo gennaio.
LA PROROGA DELLE CONCESSIONI BALNEARI
Anche questa è una misura piuttosto controversa. La manovra stabilisce una proroga delle “concessioni demaniali marittime” per i prossimi 15 anni, evitando così la messa al bando degli stabilimenti come previsto dalla direttiva Bolkenstein.
In pratica, è un grosso regalo agli stabilimenti balneari. Come spiega Il Post, significa che “gli imprenditori che gestiscono spiagge e bagni potranno mantenere le loro concessioni—ottenute a prezzi spesso molto bassi—senza il rischio che queste vengano messe a gara.”
La proroga, fortemente voluta dalla Lega, quasi sicuramente porterà a una procedura d’infrazione dell’UE contro l’Italia—con una probabilità del 99 percento, secondo quanto detto dal ministro dell’agricoltura Gian Marco Centinaio.
LE “MICRO-NORME” DELLA MANOVRA
Al di là delle misure principali, ogni legge di bilancio alloca risorse per una serie di ambiti minori; spesso e volentieri sono infilate di straforo, e sfuggono alla logica.
La manovra di quest’anno non fa eccezione. È stata dimezzata l’Iva sul tartufo—5 percento per il prodotto fresco, 10 per quello lavorato—che ora, a livello fiscale, è dunque assimilato a un bene di prima o primissima necessità (l’Iva sugli assorbenti rimane al 22 percento).
Sono stati inoltre stanziati fondi per “festival, cori e bande” (1 milione di euro), il Museo della civiltà istriana e l’Archivio di Fiume (100mila euro), le “minoranze italiane in Croazia e Slovenia” (1 milione), le “minoranze cristiane” (8 milioni in tre anni), le celebrazioni per Nilde Iotti (200mila euro) e Ugo Spirito, firmatario del Manifesto degli intellettuali fascisti (60mila euro all’anno).