24 ore a Singapore con Bjorn Shen

Foto: Franz Navarrete

Munchies e Martini presentano ‘Countdown to sundown’, un viaggio alla scoperta della cultura dell’aperitivo. Munchies, seguendo le tappe del campionato, visiterà alcune delle città più iconiche per incontrare gli chef locali alla ricerca dell’aperitivo perfetto. Oggi, incontriamo lo chef di Singapore Bjorn Shen. Creato in collaborazione con Martini.

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Guarda Countdown to Sundown con Jack Guinness e Bjorn Shen.

Bjorn Shen è una vera e propria autorità nel mondo della ristorazione a Singapore. Quando non è impegnato a sperimentare con la sua cucina mediorientale all’Artichoke, il ristorante di cui è proprietario, gli piace passare il tempo con gli amici, oppure scrivendo dei migliori posti dove mangiare a Singapore sulla sua rubrica su Time Out. Bjorn ha dato sfogo alla sua originalità anche con iniziative varie come il Bird Bird, locale dove serve pollo fritto alla thailandese, e Neh Neh Pop, una linea di gelati ai gusti più diversi per la grande distribuzione.

L’audacia con cui reinventa i classici della cucina gli è valsa numerosi premi e la fama di cuoco attento e raffinato. L’abbiamo incontrato per parlare della sua carriera di chef e ristoratore, di Singapore e del suo amore per l’aperitivo—o “happy hour”.

Hai cominciato a occuparti di cucina nel 2002, quando avevi 20 anni. Come hai fatto carriera in questo mondo?
Bjorn Shen: Be’, la svolta è stata la prima volta che ho mangiato il foie gras. Ero in un ristorante francese di lusso—all’epoca uno dei migliori di Singapore, e in cui solo pochi anni dopo sono finito a lavorare. Non avevo mai pensato al cibo come a una cosa che mi potesse trasmettere così tante nuove sensazioni, ero molto più ‘base’ a riguardo: ‘Ok, compri un buon hamburger, mangi un buon hamburger; compri una buona bistecca, mangi una buona bistecca.’ Ma non avrei mai pensato che il cibo potesse essere sexy.

Cosa rende “sexy” una pietanza?
Prima di allora pensavo che un buon piatto dovesse essere “robusto”, che dovesse poter sfamare un uomo. Pollo fritto, hot dog, cose di questo genere. E invece poi è arrivato quel piatto presentato in modo artistico, l’epitome della nouvelle cuisine francese.

Credi che quell’esperienza ti abbia portato a unire la raffinatezza della cucina di alto livello con il “cibo da uomini” che amavi e che continui a servire nei tuoi ristoranti?
Sì, certo. Nel corso della mia carriera ho lavorato sia in ristoranti di alto livello che in altri più informali, e tutte queste esperienze hanno contribuito a rendermi la persona che sono oggi. Molti aspetti della cucina “alta” sono entrati a far parte del mio modo di intendere l’esperienza culinaria.

In molti tuoi piatti c’è una forte influenza mediorientale, ma tu non sei mai stato in Medio Oriente, giusto?
Esatto [ride]. Però c’è un buon motivo se non ci sono ancora stato. Al momento sto sperimentando con la cucina del Medio Oriente. Ho imparato le ricette dai miei amici mediorientali e dalle loro famiglie durante i sette anni che ho passato in Australia. Quindi sono entrato in contatto con veri piatti mediorientali cucinati da persone mediorientali, anche se non in Medio Oriente. E mi piace questa situazione, perché la “distanza” con il Medio Oriente mi permette di sperimentare con i suoi piatti senza sentirmi troppo in colpa.

Foto: Franz Navarrete

Si può dire che sia liberatorio, in un certo senso?
Penso che se ci andassi veramente svilupperei una specie di attaccamento nei confronti dei piatti, e questo mi farebbe sentire in colpa, e diventerei incapace di continuare a fare quello che faccio qui a Singapore.

Ad eccezione degli anni in Australia, hai sempre vissuto a Singapore?
Sì.

Qual è la cosa che ti piace di più di Singapore?
Penso che sia un luogo sicuro, pulito, ben organizzato—rispetto alle altre grandi città, qui le diverse etnie sono ben integrate tra loro. Mi piace vivere con persone che vengono da Paesi diversi. Mi piace che questo equilibrio si sia creato in modo naturale, dando vita a un melting pot raffinato. Si sente spesso dire che “Singapore è un melting pot” e, per quanto possa sembrare un cliché, lo è davvero.

Pensi cha abbia influito sul tuo modo di concepire la cucina?
Certamente. Mi piace il fatto che qui ci siano così tante tradizioni culinarie diverse. Quando le sperimento, per esempio vado in Giappone o mangio in un ristorante indiano, faccio tesoro delle ricette che provo e poi le rielaboro all’interno della linea culinaria del mio ristorante.

Martini è sinonimo di aperitivo. Immagino che un tale melting pot renda l’aperitivo a Singapore un momento molto interessante, in cui persone di culture molto diverse che si riuniscono per socializzare.
A Singapore lo chiamiamo “happy hour”, però si tratta sostanzialmente della stessa cosa: quell’intervallo tra le 17 e le 19 in cui hai finito di lavorare ed esci per bere un drink e mangiare qualcosa di leggero prima di cena. Io raramente riesco a godermelo, perché cucino sempre [ride]. Diciamo che sto dall’altra parte, dietro le quinte. Qui l’aperitivo è quel bellissimo momento in cui senti ancora in corpo l’adrenalina della giornata lavorativa ma, dato che non hai voglia di rilassarti del tutto, giri per i locali e incontri persone nuove.

C’è un elemento “diverso” rispetto agli aperitivi delle altre città?
Penso che il concetto di aperitivo sia uguale un po’ per tutti: risponde alla necessità di chiudere la giornata bevendo qualche drink a prezzo contenuto. Qui ci sono locali con offerte molto vantaggiose—cocktail economici, oppure il classico prendi due paghi uno. È un ottimo “pre-serata”, diciamo così.

E tu, quando hai la possibilità di rilassarti e fare il tuo “pre-serata”?
Mai, il mio è sempre un “post-serata”.

Ok.
Dopo il lavoro e quando prendo un giorno di riposo.

Cosa fai per rilassarti e socializzare, quando ne hai l’occasione?
Ho moltissimi amici che lavorano nel mio stesso ambito. Di solito passo il mio tempo libero dispensando amore e facendo visita ai locali nuovi dei miei amici. Ogni mese, ogni settimana aprono posti nuovi. Ovviamente mi piace anche andare nei posti in cui vado sempre, oltre a informarmi su quelli nuovi. Se non sto lavorando, sicuro puoi trovarmi in un altro ristorante o locale a bere o mangiare.

Che tipo di piatti abbineresti a un Martini & Tonic?
Be’, i Martini sono molto rinfrescanti e credo che l’accompagnamento ideale sarebbe un piatto piccante. Niente di troppo esagerato però, perché si tratta di un drink elegante, quindi no a pietanze con troppi sapori che si mescolano—per esempio polpa di granchio in salsa chili sarebbe decisamente troppo. Consiglierei porzioni piccole dai sapori delicati.

Foto: Franz Navarrete

E nel tuo menù? C’è un piatto che accompagnerebbe alla perfezione un Martini?
Penso che la mia meze si sposerebbe benissimo con un Martini. Il top sarebbe crostini alle arachidi con una selezione di tre o quattro salse.

Non ho ancora pranzato, devo ammettere che mi stai facendo venire un certo languorino.
Ah, ci credo! Forse anche un hummus piccante andrebbe bene. Di solito l’hummus non è piccante, ma io ho creato una versione speziata da accompagnare a carne d’agnello—credo sarebbe davvero ottimo con un Martini e dei crostini alle arachidi.

Cosa ne pensi del Gran Premio? Da ristoratore, come cambia la città quando arriva la Formula 1?
Il primo anno in cui il mio ristorante era aperto non sapevo ancora bene come gestirlo. Però l’anno successivo abbiamo creato un evento chiamato “Dude, Where’s My Food?”—un richiamo al film “Dude, Where’s My Car?”

Sì.
In occasione di questo evento, per una settimana l’anno, lasciamo da parte la cucina mediorientale. Cuciniamo qualsiasi cosa ci vada di cucinare. Di solito ci spostiamo sul versante del “cibo da uomini”, ricco e sostanzioso. Insomma, rendiamo un po’ omaggio a quel periodo dell’anno in cui gli uomini emergono dalle loro tane per assistere al Gran Premio. Noi li sfamiamo.

Quindi un ritorno a quel cibo vigoroso “da uomini”?
Esatto. Porzioni grosse, cibi unti—ci sono alcuni temi ricorrenti in ogni nostro menù che prevede “cibo da uomini”. Hai presente, no, la cucina a chilometro zero? Gli chef dei grandi ristoranti acquistano i prodotti dalle aziende agricole limitrofe e li portano in tavola. Noi riprendiamo questo concept e adottiamo l’approccio “dal supermercato alla tavola”. Non facciamo altro che comprare i prodotti al supermercato più vicino, che è un 7-eleven, e utilizzarli per creare piatti come la zuppa di Dorito, coleslaw con i pretzel, pancake con salmone affumicato e panna acida. Più ti sembra assurdo, più ci divertiamo a farlo.

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