Lo psych rock non lineare dei King Gizzard & The Lizard Wizard
L'artwork di Polygondwanaland dei King Gizzard, a cura di Jason Galea.

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Lo psych rock non lineare dei King Gizzard & The Lizard Wizard

I King Gizzard sono una delle rare storie di successo rock degli ultimi anni, e il merito è anche della caotica struttura narrativa dietro alla loro discografia.

Building Stories di Chris Ware è una graphic novel particolare. Non è un libro, ma è quattordici cose stampate in diversi formati—strisce, libriccini, libroni con copertina rigida, poster—contenute in uno scatolone che apri ed esplori un po' come ti pare. Insieme, raccontano la storia di un palazzo a Chicago e di una ragazza senza una gamba che ci vive dentro. È un esempio di struttura narrativa non lineare, il cui autore sceglie di dare al lettore un ruolo primario nella disposizione degli elementi della storia. Gli esempi non mancano, né in letteratura (penso a The Unfortunates di B.S. Johnson), né nel gaming (il mio consiglio è Her Story); in musica, invece, è piuttosto difficile creare qualcosa che rifugga il concetto di linearità imposto dal susseguirsi delle note.

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Quando parlo di linearità e del suo contrario, nel contesto di questo articolo, mi riferisco a un approccio all'ascolto che segue—o, nel secondo caso, ignora—il concetto di "album". Non che la sequenzialità dei brani sia mai stata un'imposizione: anticamente bastava alzare e abbassare la puntina del giradischi per passare di traccia in traccia, e dal CD in poi è stata tutta discesa. Ma è un dato di fatto che oggi anche il concept album più intricato è, strutturalmente parlando, solo un suggerimento. Unico baluardo della linearità in musica resta la singola composizione, limitata dal modo in cui noi esseri umani percepiamo il tempo e dai confini del file che la contiene, attaccabile solo tramite taglia-e-incolla elettronici o digitali.

Quello dei King Gizzard & The Lizard Wizard—che, semplificando, sono una jam band australiana—è uno psych rock "non lineare" nella misura in cui non incoraggia l'ascoltatore a fruirlo in una maniera ordinata, cioè dal primo all'ultimo album di una discografia, o dal primo all'ultimo brano di un singolo album. Evoca invece l'esistenza di un universo narrativo, il "Gizzverse", teorizzato da una comunità di fan che tenta di canonizzarlo e lo usa come campionario di significati da usare per creare meme, e quindi inside jokes, e quindi un forte senso di identità condivisa. E così "Rattlesnake", che potete ascoltare qua sotto nel suo video originale, viene rilavorata secondo la pratica del "X, but Y"—con il cantante Stu MacKenzie che dice "eggs" al posto di "rattlesnake", campionato da un video in cui parlava della sua colazione preferita. Ma concediamoci un minimo di linearità e partiamo dal loro principio.

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"Rattlesnake, rattlesnake, rattlesnake, rattlesnake. Rattlesnake, rattlesnake, rattlesnake, rattlesnake." I King Gizzard sono nati nel 2010 e sono diventati, con il passare degli anni, una delle rock band più prolifiche ad aver costantemente ingrossato il proprio profilo e il proprio pubblico. Avendo già pubblicato otto album in sei anni di attività, a fine 2016 dichiararono che avrebbero pubblicato cinque nuovi LP nel 2017. E così è stato, con l'ultimo—Gumboot Soup—arrivato quasi allo scadere, il 31 dicembre. Di loro si cominciò a parlare in maniera insistente con l'uscita di I'm In Your Mind Fuzz, a ottobre 2014, con il successivo Quarters! a marcare l'inizio di un ciclo incessante di tour e sessioni di registrazione che non accenna a fermarsi.

Il prefisso "psych" è, nel caso dei King Gizzard, retaggio di un'abitudine che lo attribuisce a qualsiasi band che inserisce atmosfere fumose e dilatate nelle sue composizioni. Su questa base, MacKenzie e soci hanno costruito un metaforico ziggurat sulle cui fondamenta psych si accumulano strati—sia sonori che estetici—che rimandano ad altri generi vagamente interconnessi: garage, freak folk, prog, surf, jazz fusion ed heavy metal. A farli spiccare tra i molti altri loro colleghi che si sono fatti le ossa mangiando pane, MC5, Yes, Chick Corea, The Incredible String Band e Thee Oh Sees a colazione sono, principalmente, due caratteristiche.

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La prima è la varietà. Ogni album dei King Gizzard ha dietro un'idea sonora che cerca di portare il loro discorso artistico in direzioni diverse, dando più o meno preponderanza a uno dei generi menzionati qua sopra. Qualche esempio: la musica di Flying Microtonal Banana è basata su scale non-occidentali e suonata su strumenti microtonali ("ABBIAMO CONTINUAMENTE BANALIZZATO LA COMPLESSITÀ RITMICA E FAVOREGGIATO UN GROVIGLIO ARMONICO", diceva in caps lo stato di Facebook che ne accompagnava l'annuncio). Quella di Paper Mâché Dream Balloon è interamente acustica. Quella di Eyes Like The Sky, che omaggia la pratica del radiodramma, è accompagnata da un racconto scritto e narrato in spoken word dal padre del tastierista.

I dieci minuti di "The River" rappresentano bene l'idea di animazione—e, per estensione, di arte—di Jason Galea.

La seconda è la qualità evocativa della loro musica, palese sia nel modo in cui i King Gizzard scrivono testi che in quello in cui si presentano. Sia tramite le parole che le immagini, la band australiana si presenta come il portale verso un universo narrativo colmo di misteri e leggende non dissimile a quello che un autore fantasy decide di creare per ambientarci dentro una saga. Grande contributo, in senso estetico, viene dall'artista e semi-membro Jason Galea, la cui opera è marcatamente ispirata a quel misto di surrealismo, art nouveau e post-impressionismo che ha definito la psichedelia anni Sessanta (Wes Wilson, Victor Moscoso, Alton Kelly). Curando artwork e video della band, Galea dà forma alle parole delle canzoni di MacKenzie, capitoli di un ideale libro epico che narra le strane vicende di una Terra rovinata.

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Questo pianeta sta al centro del Gizzverse, il nome che i fan della band usano per riferirsi al folklore che hanno provato a cristallizzare e teorizzare. Usando principalmente un subreddit come campo di discussione, ma senza disdegnare Genius, i fan dei King Gizzard—pur consci della nebulosità della materia che hanno sotto mano—hanno cercato di tracciare linee di connessione tra i vari album del gruppo, spinti anche dalle conferme a riguardo di MacKenzie stesso ("Esistono tutti in questo universo parallelo e forse vengono da tempi e luoghi diversi, ma possono tutti coesistere in modo significativo").

Non esiste una interpretazione univoca degli eventi del Gizzverse, ma il nocciolo della questione—narrato nella tripletta I'm In Your Mind Fuzz/Nonagon Infinity/Murder of the Universe—è il seguente. La Terra, popolata da una razza umana schifata dalle proprie malefatte nuclear-tecnologico-guerresche, viene prima minacciata e poi invasa da una forza occulta che marca l'inizio di una nuova, caotica civiltà. Questa ha numerosissime facce: è Satana che condanna l'umanità a un eterno ripetersi di dolore, ma è anche un vendicativo Dio del Fulmine che si scontra con un temibile Balrog, ma è anche un robot cosciente che si suicida e uccide l'universo ricoprendolo di vomito, e così via. Quello dei King Gizzard è un universo tormentato e adrenalinico in cui agonia lancinante e libertà LaVey-iana convivono gioiosamente, una distopia cartoonesca i cui protagonisti sorridono sia per l'amara ironia della loro sorte che per le deformazioni che le radiazioni e il tumulto hanno causato sui loro visi.

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Attorno a questo nucleo, tutto è lecito: la desertica e magica Polygondwanaland convive con i raccapriccianti prati bucolici di Paper Mâché Dream Balloon, le fumose atmosfere urbane di Sketches of Brunswick East con i canovacci mutaforme di Oddments. Il risultato è una discografia fluida—non lineare, appunto—che permette all'ascoltatore di costruirsi una personale idea delle vicende del Gizzverse, costituendo così una continua rilavorazione collettiva del suo purulento slime narrativo.

"Han-Tyumi and the Murder of the Universe", il terzo dei tre capitoli che compongono Murder of the Universe. È quello del robot che vomita e annega l'universo nello sbocco.

Vivendo e alimentandosi su piattaforme caratterizzate da linguaggi visivi e ironici fortemente codificati come Reddit e 4Chan, la fandom dei King Gizzard ha quindi creato e alimentato un sottogenere di meme con la band come protagonista. Come in ogni altra categoria memetica, al suo interno si va dal più amatoriale e scontato dei cosmic brain alla rilavorazione di video proposta dal canale king gizzard and the shitpost wizard, con la sua sana dose di clip dei Simpson modificate, collage, sovrapposizioni caotiche e "X, but Y". La band conosce e abbraccia queste pratiche, fondamentali nella contemporaneità per il sostenimento di fanbase solide, e ne sprona la prosecuzione palesandosi attivamente negli spazi di condivisione a lei dedicata. Oltre al classico AMA su Reddit, alcuni membri dei King Gizzard prendono per esempio parte a discussioni all'interno di gruppi Facebook privati fondati in loro onore.

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È in quest'ottica che nasce la scelta di pubblicare Polygondwanaland, il loro quarto album del 2017, in free download—ma con un colpo di scena. I master dell'LP sono infatti disponibili online, così come tutti i file necessari a stamparne copie in qualsiasi formato: "Avete mai voluto fondare la vostra etichetta? FATELO! Assumete i vostri amici, stampate su vinile, impacchettate scatole. Questo album non è nostro. È vostro. Forza, condividete, godetevelo", ha scritto la band su Facebook assieme a spiegazioni tecniche su quali file utilizzare per ogni esigenza di stampa. Così facendo i King Gizzard non hanno solo regalato delle tracce al pubblico ma hanno deciso di deferire alla propria fanbase l'intero processo produttivo ed economico dietro alla pubblicazione di un loro album. L'idea non è quella del pay-what-you-want quanto del do-what-you-want—ancora, contro la classica linearità top-down tipica dell'industria discografica tradizionale. Altro fattore determinante nella creazione di questo senso di comunanza è il Gizzfest, un festival annuale organizzato dalla band.

Quella dei King Gizzard è un'esperienza unica in un contesto in cui la musica-con-le-chitarre sembra essere ormai irrimediabilmente lontana dalle potenzialità ispiratrici che l'hanno resa, per decenni, la forza trainante del discorso musicale occidentale. La loro non è un'esperienza innovativa né rivoluzionaria, ma ha il merito di aver coinvolto un numero ampio di persone in una comunità le cui radici stanno non solo nell'apprezzamento e nella compartecipazione, ma nella condivisione di un immaginario. Certo, niente di dissimile da quello che molte altre band fanno in scala minore, e un contatore di views non basta ad affermare la bontà di un progetto. Ma i King Gizzard sembrano avere abbastanza carburante creativo da potersi permettere una carriera duratura, e magari un posticino nella dolorosa storia del rock contemporaneo—il che non è affatto scontato.

Elia è su Instagram: @lvslei

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