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'Perché ho superato il limite?' - Confessioni di una tossicodipendente

"Ogni giorno è la stessa storia: la sera, giuro di non farmi mai più. Spezzo le punte delle siringhe per renderle inutilizzabili."
L'autrice al Mardi Gras di Nimbin nel 2000 circa. 

‘What I Want to Tell You About Heroin’ è una nuova serie a cura dell'autrice e collaboratrice di VICE Hannah Brooks. Hannah è musicista e autrice, vive a Melbourne e negli ultimi sette anni ha lottato contro la dipendenza dall'eroina. Questi articoli sono stati scritti da Hannah mentre si trovava nel centro di riabilitazione Hope Rehab in Thailandia.

Quando si parla di riabilitazione, la fase della follia è quella in cui il soggetto ripete gli stessi errori sperando di ottenere risultati differenti. È una sorta di demenza che mi spinge a farmi anche contro la mia volontà. Vorrei smettere, ma non ci riesco. Sono fissata, è come se fossi posseduta da uno spirito malvagio che vuole farsi quanta più eroina possibile.

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Ogni giorno è la stessa storia: la sera, giuro di non farmi mai più. Spezzo le punte delle siringhe per renderle inutilizzabili. Poi la mattina dopo, mi ritrovo ad andare in pigiama a casa del mio spacciatore, fermandomi lungo la strada ad acquistare altri aghi.

Il bisogno straziante di droghe mi ha portato a fare cose che non credevo possibili. Sono andata oltre ogni limite. Un uomo mi ha strangolato talmente forte che ho sinceramente creduto di morire. Ho fatto sesso più volte con uno spacciatore in cambio di dosi di eroina. Ho avuto tre auto bianche di fila: la prima è saltata in aria perché non ci avevo mai messo né acqua, né olio. La seconda, l'ho distrutta contro un muro mentre andavo a farmi, perché mi sono addormentata su un tornante. La terza è quella con cui giro adesso, ho sempre una siringa piena accanto alla mia coscia destra, che sono pronta a iniettarmi se la polizia mi dovesse fermare.

L'autrice presso l'Hope Rehab in Thailandia. Foto di Nikky G.

Ho mentito, rubato e venduto qualsiasi cosa possedessi di valore. Sono stata arrestata e perquisita dalla testa ai piedi sul ciglio di una strada trafficata da una poliziotta, mentre altri sei ufficiali uomini guardavano interessati. Sono stata sbattuta in cella per ore, in astinenza, senza la possibilità di fare telefonate. Sono stata fermata per il possesso di un cucchiaio. Ho preso la setticemia per un'iniezione andata storta e sono quasi morta. Mi ricordo la faccia di mio fratello più piccolo mentre mi guardava contorcermi in un letto di ospedale, agonizzante. Mi ricordo quattro medici nella mia stanza che mi dicono che se mi faccio ancora, rischio la morte. Ho passato cinque giorni in ospedale, e mi sono bucata il giorno stesso in cui sono uscita.

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Ho amici che sono morti. Ho amici che si sono ripuliti e ce l'hanno fatta. Per qualche anno ci ero riuscita anche io. Ho ricostruito la mia vita, ed era straordinaria. Ma poi mi sentivo talmente gratificata che ho dimenticato tutto. Il mio cervello da tossica mi ha convinto che la dipendenza apparteneva ormai al passato e che non dovevo per forza astenermi del tutto. Ho ripreso a bere alcol, del semplice social drinking. Sei mesi più tardi, avevo perso di nuovo tutto quello che avevo guadagnato durante l'astinenza. Il mio fidanzato—che ingenuamente si era convinto che l'amore potesse sconfiggere la dipendenza—mi aveva lasciato. L'album che avevamo registrato insieme era stato accantonato. Ho smesso di preoccuparmi di tutto e di tutti, e ho iniziato a pianificare il suicidio, giorno dopo giorno.

Mi odio per le cose che ho fatto ma continuo a farle. Ho rovinato il giorno di Natale. E l'ho rovinato anche ad altre famiglie. Non riesco ad aprire le mail senza un supporto psichiatrico. Ho 16858 mail non lette. Evito i social. L'ultima volta che ho postato una mia foto su Instagram era il 25 agosto 2017. Vedere tutti quei bambini nel mio feed mi mette a disagio. Sono felice per le mie amiche, ma allo stesso tempo questo mi ricorda che non sto facendo quello che tutte le ragazze dovrebbero fare alla mia età.

Però ci provo. Ho lasciato Melbourne e mi sono ritirata a Byron Bay, la cittadina hippie dove sono nata, sulla costa orientale dell'Australia. In tre anni, ho provato 19 percorsi di riabilitazione, di disintossicazione e cliniche specializzate, sia pubbliche sia private. Alcuni li ho portati a termine, in quasi tutti ho fatto uso di droghe e da altri sono stata addirittura cacciata. Sono molto brava ad aggirare gli esami delle urine. Ho avuto alcune relazioni durante la disintossicazione, e ne ho pagato le conseguenze. Ho provato il Kratom, centinaia di incontri NA, e il metodo dei 12 passi. Sono una tossicodipendente e sono del tutto inerme. Conosco il problema e la sua soluzione. Ma questa volta, l'astinenza proprio non mi riesce.

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Non è sempre stato così. Ho iniziato e portato a termine l'università. Ho lavorato come autrice per anni. Ho fatto documentari e parlato a festival di letteratura. Ho suonato in diverse band, sono stata in tour e ho registrato album. Mi sono innamorata, e ho perso l'amore. Avevo tanti amici e rispondevo sempre alle loro chiamate quando si facevano sentire. Oggi non succede più. Dai 17 ai 27 anni—quando ho iniziato con l'eroina—mi sentivo ambiziosa e produttiva; mi sentivo una di successo. Credevo in me stessa e nel mio talento.

È stato durante un viaggio di lavoro che mi sono accorta di avere una dipendenza fisica dall'eroina. Una storia importante con una persona che amavo profondamente era appena finita. Ho iniziato a farmi—subito in vena—perché non mi fregava di nulla, e le altre droghe non avevano più alcun effetto. Di lì a qualche mese, mi facevo spesso anche se non tutti i giorni, ma ero ancora convinta di poter smettere in qualsiasi momento. Il viaggio era durato solo tre giorni e iniziavo a sentire i sintomi dell'astinenza.

Hannah in Thailandia. Foto di NIkky G

Perché a me? I miei amici erano conciati quanto me, o almeno mi sembrava che lo fossero. Mi erano state diagnosticate ansia e depressione clinica, come era successo a quasi tutti i miei amici tra i 20 e i 30 anni. Ma allora perché sono diventata una tossicodipendente? Perché io ho superato il limite e loro no?

Ora sto provando qualcosa di diverso: sto cercando di ripulirmi in un altro paese, la Thailandia. Sto andando nel centro di riabilitazione Hope Rehab—quello elogiato da Pete Doherty e Cat Marnell e che si trova a Sriracha, una cittadina sulla costa a circa un'ora da Bangkok. Sono stanca di vergognarmi della dipendenza. Sono stanca di chi mi dice: "smetti e basta." Sono stanca della stigmatizzazione, dei segreti e di chi finge di non vedere il problema. Non so perché, ma ora mi sento pronta per scrivere. Non ho più nulla da perdere.

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Ho preso otto Valium e mi sono fatta l'ultima pera in una zona abbandonata di Brisbane, vicino all'aeroporto. Mi lamentavo con il mio ragazzo. "Non voglio salire su quell'aereo". "Adesso chiamo Italian Billy [lo spacciatore] e mi faccio dare così tanta eroina da uccidermi." Non riuscivo a immaginare come un centro di riabilitazione potesse aiutarmi. Perché lì dovrebbe essere diverso?

Dopo sei sigarette e qualche furto nei negozi, una cosa che faccio quando sono fatta, perché mi riesce bene—due rossetti Guerlain, un Tom Ford e uno YSL tutti della stessa tonalità di rosso e un paio di occhiali da sole giganti Gucci—riesco a salire sull'aereo e mi avvolgo nella coperta della Thai Airways. Ordino un bicchiere di rosso e me lo rovescio subito addosso. Poi mi addormento, con la testa che pende nel corridoio. Nove ore dopo, arrivo a destinazione e trovo subito il mio driver con il cappellino verde del centro Hope.

Il paradosso di un centro di riabilitazione si chiama Hope ha già un impatto forte di per sé. Ma la struttura è splendida, ci sono statue e altarini in tutto il giardino e tantissimi gatti. Sono passate ormai molte ore dalla mia ultima pera e inizio a risentirne, così il medico del centro, Doug, mi dà del metadone. Un altro ospite mi dà una maglia azzurra con una scritta gialla, 'Hope is Everything'. Ci sono tante persone in giro, alcuni fumano, altri indossano le maglie Hope e portano rosari al collo. Alcuni di loro si presentano ma mi dimentico subito i loro nomi. Una donna inglese mi offre della lozione anti-zanzare. Una tedesca mi dà degli Oreo e una confezione di Mentos.

Mi viene assegnata una stanza nella struttura principale. Anche se lo staff del centro mi porta le valigie, io riesco a malapena a salire le scale. La stanza è ampia e luminosa, con un grande balcone privato che, oltre gli alberi, si affaccia sull'oceano. La mia immagine nello specchio è un vero disastro. Ho i capelli lunghi e scuri, ma avendo speso tutti i miei soldi in eroina, li ho sempre tagliati da sola, a caso.

Dovrei sistemarmi e riposare, ma non so cosa fare. Tolgo le etichette 'Hope Changes Everything' dalle bottigliette d'acqua e le appiccico sul tavolino. Riordino i prodotti in bagno. Chiamo il mio ragazzo su Skype, decisamente sollevato nel vedermi arrivata a destinazione. Scrivo liste di cose da fare per rimettere insieme i pezzi della mia vita. Più tardi, prendo altro metadone e diazepine e infine sprofondo nel letto morbido. Ho paura e sento l'ansia che mi assale, ma il peggio è passato. Ora sono qui.