Perché continuiamo a credere che i vaccini fanno male?
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Perché continuiamo a credere che i vaccini fanno male?

Uno studio italo-scozzese ha cercato di capire perché le campagne pro-vaccini non funzionano.

Se c'è qualcosa che possono insegnarci le varie sfumature in cui viene declinato il dibattito tra chi è pro-vaccini, chi è assolutamente contro e chi assume una posizione più complessa (come i free-vax) è che, spesso, per esprimere un'opinione una laurea in medicina non è un requisito indispensabile.

A colpirmi particolarmente è proprio la diffusa sfiducia nei confronti della versione ufficiale della comunità scientifica. Il fenomeno prende il nome di Vaccine Hesitancy. Nonostante lo sforzo per far capire in ogni modo l'importanza di vaccinarsi, molti continuano a non fidarsi. La motivazione è senz'altro di tipo culturale, ma è talmente radicata da dover coinvolgere meccanismi cognitivi complessi. Insomma, è una questione psicologica.

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Nonostante tutte le giustificazioni e le controprove che ho letto, posso testare la persistenza di certi pregiudizi anche su di me: ogni volta che, per esempio, torna a girare la storia secondo cui i vaccini sono associati all'autismo, pur accettando razionalmente che si tratta di una credenza infondata dal punto di vista scientifico, una parte del mio cervello continua a chiedersi :"e se fosse vero?" Non riesco a convincermi definitivamente del contrario. Perché?

Proprio per questo, ho trovato estremamente interessante la pubblicazione su Plos One di un paper intitolato Misinformation lingers in memory: Failure of three pro-vaccination strategies ad opera di Sara Pluviano, Caroline Watt e Sergio Della Sala, psicologi dell'Università di Edimburgo e dell'Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Il loro lavoro prova a indagare sul perché le campagne pro-vaccini risultano così inefficaci sulla popolazione, valutando l'efficacia di tre strategie di comunicazione:

  • Myth versus fact: ovvero, esporre i 'miti' riguardanti vaccini per poi smontarli scientificamente.
  • Fact/icon box: rappresentare le informazioni in forma visiva per catturare l'attenzione e aiutare il lettore a processare efficacemente l'informazione.
  • Terrorismo psicologico: sottolineare i pericoli derivanti dalle malattie usando le immagini di bambini malati per sottolineare i rischi delle mancate vaccinazioni.

Lo studio ha testato l'efficacia delle tre strategie di comunicazione coinvolgendo un campione di 134 studenti reclutati tra Italia e Scozia divisi in gruppi su cui venivano testati i tre metodi. Dopo aver visionato il materiale, venivano raccolte le opinioni sui vaccini dei partecipanti e, dopo 7 giorni, valutati gli effetti.

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Secondo gli autori dello studio, nel tempo si è verificato un potenziamento delle false credenze e una diminuzione dell'intenzione vaccinale. Ad esempio sfatare il mito che i vaccini provocano l'autismo ribattendo con le evidenze scientifiche contrarie ha provocato un "ritorno di fiamma" nel corso del tempo, rendendo il mito ancora più "familiare" e credibile nella mente dei volontari attraverso la sua reiterazione. Solo la strategia Fact/icon box ha provocato meno effetti controproducenti.

Ho contattato quindi gli autori dello studio per farmi spiegare il loro lavoro. Anche in questo caso devo "fidarmi" del parere riportato da una serie di scienziati. Dato che non ho una laurea in medicina, non posso provare sulla mia pelle che la versione della scienza ufficiale è valida, ma posso sempre avere una coscienza diretta dei meccanismi psicologici che favoriscono la sopravvivenza di certi pregiudizi. Alla fine, sono pur sempre un essere umano anche io — proprio come gli anti-vax.

Sara Pluviano sta svolgendo un dottorato di ricerca in "Experimental Psychology and Cognitive Neuroscience" entro il programma bilaterale tra l'Università di Edimburgo e l'Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Si occupa di come informazioni inaccurate vengono elaborate e ricordate e ha provato a spiegarmi quali meccanismi psicologici intervengono nella persistenza dei falsi miti.

Il bias di conferma:

"Esistono dei meccanismi cognitivi complessi che possono giocare a sfavore delle campagne pro-vaccinazione. Uno di questi è il cosiddetto bias di conferma, che porta a scegliere selettivamente quelle informazioni che sostengono i nostri punti di vista precostituiti, ignorando tutto ciò che contraddice le nostre convinzioni," mi ha spiegato la ricercatrice.

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"Per questo, talvolta, se abbiamo di fronte un genitore che crede nel legame tra vaccini e autismo, più tentiamo di convincerlo che i vaccini sono sicuri, più diminuisce la probabilità che questi riveda le proprie convinzioni. Un paradosso."

Ma perché risulta così difficile abbandonare le nostre convinzioni anche se sbagliate? "Perché abbiamo costruito dei modelli mentali su quelle particolari informazioni scorrette. Non siamo ben disposti ad accettare la smentita di un'informazione corretta perché significherebbe accettare una lacuna nel nostro modello mentale," ha precisato Benincasa.

"In assenza di una spiegazione migliore, preferiamo modelli che contengono informazioni invalidate, rispetto a modelli incompleti che presentano un vuoto. Per ovviare al problema, si potrebbe tentare di colmare le lacune provocate dalle correzioni dei miti con una spiegazione alternativa."

Ritorno di fiamma degli effetti familiari.

A influire sulla persistenza di credenze dimostrate come false contribuiscono anche dei meccanismi mnemonici: "Nel caso della strategia myth vs fact, è stato osservato come, immediatamente dopo aver letto l'opuscolo, le persone riescano a ricordare tutti i dettagli dei fatti che confutavano i miti. Tuttavia, a distanza di tempo, il ricordo dei dettagli può affievolirsi.

"Le persone ricordano solo i miti, senza l'etichetta che li contraddistingue come informazioni false. Inoltre, possono confondere le fonti delle informazioni credendo, ad esempio, di aver letto che sia stata l'Organizzazione Mondiale di Sanità a diffondere il nesso tra vaccini e autismo."

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Quindi può accadere che sfatando un mito lo si rafforzi nella mente delle persone. "Ad esempio, l'effetto a cui abbiamo accennato — che le porta a familiarizzare e accettare con maggiore probabilità come vero un mito — è detto ritorno di fiamma degli effetti familiari. In genere è più frequente nell'età avanzata — quando siamo più predisposti a dimenticare i dettagli. Ma nel nostro studio lo abbiamo rilevato anche con giovani, il che mette in guardia della sua pericolosità."

Illusory truth

Uno degli effetti psicologici più duri a morire nel caso della strategia myth vs fact è denominato illusory truth. "Se continuiamo a leggere la stessa informazione sui giornali, anche se questa è sbagliata, finiamo per crederci. Infatti, quando un concetto viene ripetuto più volte, nella nostra mente tende a diventare vero. È un effetto che può essere amplificato anche dalla familiarità di cui gode la falsa credenza in questione, come nel caso del legame tra vaccini e autismo."

Danger-priming effect.

"Si tratta di quell'effetto per cui mostrare ai genitori delle immagini di bambini ammalati di malattie prevenibili con la vaccinazione è controproducente. Paradossalmente, aumenta la paura che i genitori nutrono nei confronti dei vaccini e con essa la convinzione che questi siano pericolosi," mi ha spiegato la ricercatrice.

In conclusione, secondo Sara Pluviano, "spesso le persone più prone a false credenze sulla medicina o la salute sono persone colte, anche se probabilmente non avvezze alla statistica o ai metodi della scienza. Inoltre, sono convinte delle loro false credenze non perché non posseggono tutte le informazioni, ma perché entrano in gioco processi cognitivi più complessi."

"Confondere il senso di un volantino dopo poco tempo, dimenticando i fatti e ricordando solo i miti, è un effetto che ha a che fare con il modo in cui funziona la nostra memoria, portata a fare errori, e con la familiarità dei miti indotta involontariamente dal dibattito stesso, che ripete i miti per sfatarli, rafforzandoli così nella mente delle persone. Invece, la preferenza per il materiale grafico è dettata dal fatto che questo appare più facile da elaborare ed immediato, utilizzando minori risorse cognitive."

E per quanto riguarda la sfiducia nei confronti della autorità? "Parte del rifiuto vaccinale ha origine proprio dalla sfiducia di oggi nei confronti della scienza e negli esperti, del "potere" in genere. Stiamo conducendo un nuovo studio proprio su questo tema. I dati che abbiamo raccolto indicano come le false credenze sui vaccini possano essere più efficacemente corrette da fonti che consideriamo affidabili, come ad esempio gli amici o la famiglia, piuttosto che da fonti esperte come i dottori. Naturalmente, la fonte più efficace sarebbe un medico di cui ci fidiamo."

Per promuovere l'adozione dei vaccini "è difficile che esista una tecnica che possa riuscire sicuramente. Appaiono invece necessari molteplici interventi, costruiti su misura, simultanei e frequenti per aumentare la probabilità di diffusione e accettazione del messaggio. È inoltre utile agire su più livelli, indirizzandosi verso tutti i fattori che possono influenzare la decisione vaccinale, fattori di ordine sociale ma anche strutturali, organizzativi e logistici."